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Scuola d’estate, tutti contro: presidi, professori e studenti: «È stato un anno faticoso»

Il 70% delle scuole, secondo un sondaggio di Orizzonte Scuola, dice no al piano per l’apertura estiva. Il capo dei presidi: «Un surplus di lavoro». La dirigente del liceo Righi di Roma: «Idea tardiva, in un anno infinito, eterno e pieno di cambiamenti»

01/05/2021
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

Sembrava la soluzione panacea per compensare i deficit dei ragazzi e recuperare quanto perso in un anno scolastico a dir poco complicato: e invece il piano estate presentato dal ministero dell’Istruzione, con un cospicuo fondo per gli istituti, non ha riscosso l’entusiasmo immaginato. Secondo un sondaggio lanciato dal sito Orizzonte scuola, e a cui finora hanno risposto in 5 mila, oltre il 70% delle scuole non intende partecipare e il 10% è ancora indeciso. Quanto agli studenti, stando almeno ai pareri raccolti dalla piattaforma Skuola.net, 8 su dieci si guarderebbero bene dall’aderire a eventuali attività organizzate a scuola. Anche il sondaggio di Tecnica della scuola ha finora raccolto più dissensi che adesioni: il piano non interessa circa l’80% degli addetti ai lavori, ovvero i 4.447 lettori, suddivisi tra docenti (67.1%), genitori (22.9 %), studenti (7.8%) e personale Ata (1.5%). Più di tutti, ha detto di non volere essere coinvolta la categoria degli insegnanti: addirittura l’87,7% dei docenti ha detto di non volere partecipare alle attività, contro appena il 7.5% dei sì. Altrettanto disinteressati si sono detti gli studenti, per la maggior parte di scuola superiore di secondo grado, che hanno espresso il loro dissenso, facendo registrare una percentuale pari all’81.2% di posizioni contrarie. Anche tra i genitori non sembra esserci un interesse altissimo: solo il 23.3%, uno su quattro, sembrerebbe orientato a far frequentare le attività estive organizzate nelle scuole.

I dubbi sui rimborsi e sul contratto

Il punto è che il piano richiede un grosso coinvolgimento di presidi, insegnanti, e anche collaboratori scolastici, che dovrebbe essere impegnato molto più a lungo e in maniera continuativa rispetto a quanto avviene oggi: in genere, con la chiusura delle scuole l’attività si rallenta. «Condividiamo il significato politico e il valore sociale del Piano estate 2021, specie con riferimento ai soggetti meno tutelati e, quindi, più colpiti dai nefasti effetti della pandemia- spiega il presidente dell’associazione nazionale presidi Antonello Giannelli - Non possiamo ignorare però che l’organizzazione del piano è affidata al personale scolastico, estremamente provato da un anno scolastico terribilmente faticoso. Qualsiasi esercito ha bisogno di riposarsi tra una battaglia e l’altra e questo principio è valido anche per la scuola». I dirigenti potrebbero tirarsi indietro? No, spiega Giannelli: «Sappiamo bene che i colleghi assicureranno, come hanno sempre fatto, il loro impegno per il Paese con lo straordinario senso di responsabilità che li contraddistingue» ma «chiediamo che questo sforzo sia adeguatamente compreso e valorizzato dall’Amministrazione- insiste- Non possiamo fare a meno di evidenziare, infatti, che l’attuazione del Piano Estate richiede ai dirigenti un surplus di lavoro». Non si tratta solo di risorse e ricompense, in realtà. Come sottolinea la preside del liceo scientifico Righi di Roma, Monica Galloni, «il Piano Estate è una idea valida ma avulsa dal contesto più generale del contratto di lavoro degli insegnanti. È tardiva, in un anno scolastico infinito, eterno e pieno di cambiamenti. Non si può continuare a lavorare a macchia di leopardo e chiedere a poco più di un mese dalla fine senza indicarmi le risorse che avrò a disposizione e senza dire prima quanto mi paghi. Perché la mancetta ai professori, no!».

I nodi: personale amministrativo e tempi burocratici

Al di là di contratti e impegni, la verità è che chi ha lavorato in anticipo per tenere aperte le scuole d’estate, non dovrà far altro che chiedere i finanziamenti e metterli a frutto. Ma per chi non aveva in programma un proseguimento delle attività scolastica, significa mettere a punto in un mese un’organizzazione non da poco. Lo spiega Alfonso D’Ambrosio, preside della scuola di Vo’Euganeo che già ha il piano pronto per l’estate: «Ho diverse perplessità, secondo me non sarà facile per chi non si è già organizzato. Non ci sono i tempi. Noi abbiamo avviato il primo luglio 2020 il patto territoriale con i nostri Comuni, con una lettera di intenti, e scritto il progetto a settembre 2020. A quel punto lo abbiamo presentato all’ufficio scolastico regionale del Veneto, e abbiamo avuto 20 mila euro: con questi fondi ora eroghiamo circa 300 ore, spendendo circa 5700 euro, e con gli altri soldi compreremo il materiale. Questo è un altro problema: questi moduli non prevedono non l’acquisto di materiali, se non quelli di facile consumo. Per cui se ad esempio una scuola vuole fare un’attività di robot, se non la fa normalmente, deve comprare da sé ciò che serve quindi questo limita le attività a quelle che una scuola deve solo potenziare. Se per il 21 maggio bisogna presentare le domande, con la pubblicazione delle graduatorie definitive (il 23-24 maggio) bisogna iniziare a fare gli avvisi per affidare l’incarico a chi si occuperà dei progetti: un avviso per un esperto esterno (associazioni o altri docenti di altre scuole), supposto che non ci siano esperti interni, richiede almeno 15 giorni. Quindi siamo già arrivati al 10 giugno: a quel punto tra avvisi, comunicazioni e graduatorie definitive, difficilmente si può partire prima del 20-25 giugno. Quindi abbiamo perso il momento più importante, giugno, quando buona parte degli studenti e insegnanti sono ancora presenti. E arriviamo a luglio e agosto, periodo meno efficace, perché i docenti iniziano a prendere le ferie e i ragazzi a partire. Infine, la gestione di un Pon richiede un impegno amministrativo enorme, che non tutte le scuole possono assumersi per tre mesi, per motivi di personale: nelle scuole piccole come la mia si chiude alle 14 e c’è un solo amministrativo per turno per più plessi. Noi ci siamo messi in rete con altre scuole per unire le forze. Forse non bisognava chiamarlo piano estate- conclude D’Ambrosio- ma patto educativo di comunità e spingere i dirigenti a farlo partire durante tutto l’anno, con un respiro diverso: avrebbe messo meno in criticità le scuole».