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Scuola, disabilità e sostegno: pochi insegnanti, troppe diagnosi

La riflessione di un insegnante di sostegno sulla carenza di docenti specializzati ma anche sull’eccesso di diagnosi di disturbi di apprendimento e bisogni educativi speciali

18/09/2020
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Corriere della sera

Claudio Ambrosini

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione di un docente di sostegno sul problema sempre più drammatico della carenza di insegnanti specializzati e più in generale sull’approccio alla disabilità nella scuola italiana.

Nessuna novità rispetto agli anni precedenti. Il Covid ha ampliato questioni già aperte, antiche, tutt’altro che nuove; sono decenni, infatti, che all’apertura delle scuole a settembre gli insegnanti di sostegno mancano, spesso non sono gli stessi degli anni precedenti, molti di loro non hanno alcuna specifica preparazione.
Vizio di fondo perpetuato e acuitosi nel corso degli anni: il bambino/il ragazzo con disabilità deve avere il suo insegnate di sostegno Il sostegno non è al bambino, bensì alla classe per cui l’insegnante di sostegno è con pieno titolo parte del corpo docente e le sue competenze dovrebbero essere utilizzate per la programmazione mirata e individualizzata degli apprendimenti della persona con disabilità inserita nel contesto classe. Poi il grado di disabilità declinerà anche il livello di integrazione, parola in disuso e sostituita da «inclusione» così da liquidare i difficili, ma evolutivi passi che solo l’integrazione può offrire a vantaggio di tutti i componenti del gruppo classe.I numeri: gli studenti disabili crescono a dismisura, sono passati da uno a 67 nel 97/98 a uno ogni 28 nel 19/20. Addirittura nella sola provincia di Modena sotto la categoria «spettro autistico» si è passati da 128 casi a 879! Se poi consideriamo che in ogni classe della primaria a Milano (situazione che conosco bene poiché a Milano vivo e nell’ambito della disabilità lavoro da 45 anni) sono presenti casi con Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA), con Bisogni Educativi Speciali (BES) e non vogliamo poi metterci qualche situazione di disagio, qualche caso con la 104, è chiaro a tutti che qualcosa nel sistema scolastico è andato fuori controllo. Il problema, quindi, è molto più ampio, non riguarda solo la scuola, anche le strutture sanitarie.

La prima questione da affrontare senza indugi, con decisione è la formazione degli insegnanti, di tutti gli insegnanti tra i quali coloro che si dedicheranno al sostegno acquisiranno competenze ulteriori rispetto alle varie tipologie di disturbi. La seconda si riferisce a un «falso»: è impossibile che vi siano così tanti studenti con disabilità e disturbi. Le varianze individuali, le naturali debolezze che accompagnano lo sviluppo, i settori di minor abilità, le diverse linee evolutive della crescita sono sempre meno qualificate come naturali e diversi profili e, invece, precocemente etichettate come disturbi e/o disabilità. Questo problema, però, non è circoscrivibile alla sola scuola, è una tendenza sociale, culturale che si sta affermando e cioè la creazione e l’individuazione di categorie cui dispensare aiuti specifici, ecco allora lo «spettro autistico», l’ADHD, il DSA e così via dimenticando che lo sviluppo infantile è un complesso intreccio di funzioni motorie, cognitive, emotive e affettive, di apprendimento che progressivamente vanno a integrarsi, equilibrarsi e hanno quindi necessità di tempo e di attenta osservazione per sedimentarsi e non immediata categorizzazione, funzionale questa solo all’adulto. Formazione, dunque, se vogliamo che la scuola cambi.

*Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE) – Centro RTP Milano Docente a contratto presso Università degli Studi di Milano (Corso in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva)