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Scuola, l'ascensore sociale è fermo: solo il 12% dei ragazzi svantaggiati riesce bene negli studi

I dati del rapporto Ocse-Pisa "Equity in education". Le difficoltà si vedono già a 10 anni. Il livello culturale dei genitori influsice anche sulla scelta di garantire ai figli insegnanti migliori

24/10/2018
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la Repubblica

Corrado Zunino

Nelle nostre classi disuguali solo il 12 per cento degli studenti più svantaggiati sulla scala socio-economica entra nel novero dei "più bravi". Uno ogni otto. La conferma del fatto che l'ascensore sociale è fermo emerge dal nuovo rapporto sulle disuguaglianze a scuola redatto dall'Ocse, "Equity in education", che già dal titolo racconta, e questo vale in tutto il mondo industrializzato, come gli svantaggi scolastici inizino a manifestarsi già a dieci anni. Da noi è l'età della quinta elementare.
 

I tre ingredienti della resilienza

Dicevamo quel 12 per cento, povero, che resiste. E che frequenta, perlopiù, un liceo. S'interrogano i ricercatori dello studio internazionale: dove si trova la forza, che cosa ispira la resilienza di questo gruppo che ha compreso presto come la scuola sia la prima e più alta opportunità di cambiamento delle singole vite? Il direttore di Ocse education, Andreas Schleicher, indica tre motivazioni alla base di questo successo di nicchia: l'assiduità del ragazzo in classe, l'origine sociale "media" degli altri studenti dell'istituto (se un povero fosse inserito in un contesto di ricchi pagherebbe maggiormente questa distanza) e un migliore "clima di disciplina" a scuola. Le strutture più organizzate e serie servono soprattutto ai meno abbienti.
 
Ecco, in Italia, come spiega l'analista Francesco Avvisati che ha curato il focus nel perimetro del nostro Paese, le competenze acquisite sono legate fortemente all'origine sociale. Sulla scala Pisa, più di 150 punti separano la valutazione media del 25 per cento più bravo dal punteggio raggiunto dal 25 per cento più svantaggiato. I dati presi in esame sono quelli della stagione 2014-2015, la grande indagine che ora viene analizzata nei suoi dettagli.
 

Il tasso di segregazione

La metà degli studenti meno abbienti frequenta il 25 per cento delle scuole più svantaggiate del Paese, ancora. Solo il 6 per cento viene iscritto negli istituti prestigiosi.  L'Ocse lo chiama "livello di segregazione" e dice che l'Italia è nella media degli altri 34 Paesi testati. Tra l'altro, l'organizzazione di Parigi aveva già messo in rilievo come il buon inserimento di "alunni svantaggiati" costituisca una risorsa per tutti, figli di famiglia bene compresi.  La percentuale di studenti svantaggiati che dichiara di "sentirsi nel suo ambiente" a scuola è diminuita, tra il 2003 e il 2015, dall'85 per cento al 64 per cento, un calo più significativo - quasi venti punti - di quello registrato nel resto della popolazione.
 

L'importanza della cultura dei genitori

Va ricordato che in Italia, secondo dati raccolti nel 2012, solo il nove per cento dei 25-64enni i cui genitori non hanno raggiunto il livello d'istruzione secondario superiore ha completato gli studi a livello terziario (la media Ocse è del 21 per cento). La percentuale sale al 59 per cento (cinque volte tanto) tra coloro con almeno un genitore con un'istruzione secondaria superiore e addirittura all'87 per cento tra coloro che hanno un genitore laureato. L'81 per cento degli adulti con padre e madre senza un livello d'istruzione da maturità ha terminato gli studi allo stesso ciclo d'istruzione:  significa che solo il 19 per cento, uno su cinque, è riuscito a raggiungere un livello di formazione e competenze più elevato rispetto ai propri genitori.
 

La scelta degli insegnanti

L'origine sociale incide fortemente anche nella scelta dei docenti cui affidare la preparazione dei figli. Il rapporto pubblicato a giugno 2018 sottolineava le forti iniquità nelle possibilità di accesso a insegnanti esperti e qualificati. Le scuole superiori con una maggiore concentrazione di studenti svantaggiati tendono ad avere una percentuale minore di insegnanti abilitati (83 per cento contro il 97). Le scuole difficili e periferiche, nel 2015, avevano più insegnanti precari: 26 per cento tra i docenti di scienze, per esempio, contro il 12 per cento degli istituti blasonati. In generale, nelle scuole di periferie vi sono insegnanti più giovani (meno esperienza) che lasciano più in fretta l'istituto assegnato.