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Silvia, prof di sostegno «per caso»: non cambio ma ogni anno è la lotteria

Precaria, ha un contratto al 30 giugno e non sa se avrà la conferma del suo incarico. Ma non cambierebbe per niente al mondo: «Sono il loro punto di riferimento». Le famiglie sperano. Ma 40 mila cattedre restano «precarie» come lei

24/04/2018
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Valentina Santarpia

Ad un certo punto della sua carriera, avrebbe potuto scegliere, Sivlia Luglia, 41 anni, di Modena: se insegnare informatica, la materia per cui si è abilitata dopo la laurea in giurisprudenza, o continuare a seguire quei ragazzini difficili. Lei non ha avuto dubbi: «Mi sono sentita attratta dal sostegno: eppure ho iniziato per caso, e senza alcuna competenza. Ma ho capito che quella era la mia strada». Una vocazione, un bisogno, una necessità, di certo non un’improvvisazione: «Oggi sembra che tutti si mettano sul sostegno per cambiare sede, per avere punti, per ottenere la cattedra o la scuola ambita. Non è giusto. Io lo scelgo ogni giorno perché i miei alunni mi danno qualcosa di speciale, ogni giorno». Le danno anche un sacco di grattacapi, per carità. Quando sette anni fa fu messa a seguire un ragazzo autistico all’istituto Meucci di Carpi, lei che insegnava solo da tre anni e non aveva alcuna esperienza di sostegno, le sembrò complicatissimo: «A volte lui diventava violento, e io non sapevo come comportarmi. Non avevo gli strumenti. Chiedevo, leggevo, studiavo. Mi sono messa a studiare. Il corso di specializzazione mi ha aiutato tantissimo: ho scoperto che mi piace entrare in empatia con i ragazzi che hanno qualche difficoltà, l’ho presa come una sfida».

Il precariato

Silvia è ancora precaria, ha un contratto al 30 giugno in un istituto professionale di Vallauri dove segue tre studenti «speciali». «Avevo finito il Pas troppo tardi per riuscire a fare il concorso, poi quando sono stata inserita nelle prove suppletive non le ho superate. Non importa. A me interessa continuare a lavorare con loro, non perderli, come temo ogni anno». Due studenti hanno ritardi mentali lievi/medi, un altro è autistico e soffre di un mutismo selettivo: «Con lui è fondamentale l’atteggiamento giusto. Ad esempio, lui ha difficoltà nel rispondere presente all’appello, e se il professore di turno lo chiama insistentemente si sente aggredito. Basta spiegare che bastava usare un tono normale e tranquillo, e lui avrebbe risposto». Piccoli «trucchi», di chi ogni giorno studia per creare un canale di comunicazione, un ponte tra scuola e handicap. «Sono rimasta qui dall’anno scorso, ma non so se ci sarò l’anno prossimo: con 40 mila cattedre di sostegno che restano ballerine, da confermare ogni anno, non è detto che gli alunni ritrovino il proprio insegnante. Per me non è un problema ricominciare ogni volta, ma per loro è una tragedia: l’anno scorso c’era un ragazzo autistico molto grave che ha subito ben tre insegnanti diversi che sono andati in malattia, a gennaio non aveva ancora un riferimento, come si fa a pensare che possa progredire?».

Le cattedre ballerine

Ne sanno qualcosa le famiglie che da settembre devono farsi carico di rimpalli continui e ritardi snervanti per poter ottenere il giusto riconoscimento di ore e tutela dei nostri figli. «La continuità didattica col docente specializzato è fondamentale per un’adeguata crescita formativa degli alunni con disabilità- sottolinea Ernesto Ciraci, presidente dell’associazione MISoS, movimento insegnanti di sostegno specializzati- come può realizzarsi senza la stabilizzazione dei tantissimi insegnanti specializzati precari e senza la trasformazione delle cattedre di sostegno in organico di diritto?- Occorre cambiare passo sul sostegno e operare scelte di responsabilità». Anche perché di sostegno non si può solo sopravvivere, ma ci si può elevare: «Il sorriso, la fiducia con cui mi accolgono- insiste Silvia- non c’è niente di paragonabile, non cambierei con niente al mondo. Sono un punto di riferimento e di sostegno, e sì, sono un po’ il loro angelo!».