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Tempi, scelte ed incubi dell’attuale reclutamento universitario: cosa non va e come cambiare

L’avvio delle procedure per la ripartenza dell’abilitazione scientifica nazionale ha intensificato il dibattito tra gli appartenenti alle comunità scientifiche. Dibattito che, in realtà, non si era mai spento; ma che, a ben vedere, aveva accompagnato, fin dalle origini, la messa in opera delle nuove regole in tema di reclutamento dei professori e dei ricercatori previsti dalla cosiddetta riforma Gelmini

08/07/2017
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ROARS

In questo articolato saggio Alessandro Bellavista esamina la nuova disciplina del reclutamento dei professori e dei ricercatori universitari alla luce delle recenti pratiche di valutazione della ricerca e delle tendenze regolative del sistema universitario nazionale. Lo studio mette in evidenza, da un lato, i difetti di architettura dei meccanismi di reclutamento e di valutazione costruiti dal legislatore che si enfatizzano nella loro applicazione in concreto; dall’altro lato, e soprattutto, la continua e profonda invasione della politica nel mondo accademico, che comporta il rischio di una inammissibile lesione dei valori, costituzionalmente riconosciuti, della libertà di ricerca e dell’autonomia universitaria.

SOMMARIO: 1. Premessa.- 2. Concorso pubblico, cooptazione, sorteggio, elezione.- 3. I criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni. L’abilitazione scientifica nazionale.– 4. L’Asn 2.0: un incubo giuridico?- 5. Dislocazione incontrollata di potere normativo e politica della ricerca.- 6. L’invasione diretta della politica nel sistema universitario.- 7. Precarietà, primo ingresso nel sistema, selezioni locali.- 8. Proposte di modifica della carriera accademica.

Di seguito pubblichiamo l’introduzione dell’articolo, rinviando il lettore interessato all’articolo nella sua interezza, originariamente pubblicato su Munus, Rivista giuridica dei servizi pubblici, fasc. 3, 2016.

PREMESSA

L’avvio delle procedure per la ripartenza dell’abilitazione scientifica nazionale ha intensificato il dibattito tra gli appartenenti alle comunità scientifiche. Dibattito che, in realtà, non si era mai spento; ma che, a ben vedere, aveva accompagnato, fin dalle origini, la messa in opera delle nuove regole in tema di reclutamento dei professori e dei ricercatori previsti dalla cosiddetta riforma Gelmini, e cioè dalla l. 30 dicembre 2010, n. 240. Particolare interesse e preoccupazione sollevano le recenti scelte del governo nazionale in relazione sia all’introduzione di innovative tecniche di finanziamento del sistema universitario (legge di bilancio per il 2017) sia alla creazione di una sorta di procedura straordinaria (del tutto extra ordinem) di reclutamento dei professori (cosiddette “cattedre Natta”). Entrambe le decisioni destano molteplici perplessità, non solo sul piano politico, ma anche e soprattutto su quello della loro coerenza tecnico-giuridica e dell’evidente mancato rispetto dei principi costituzionali che disciplinano il ruolo dello Stato nel campo della formazione superiore e che, in particolare, salvaguardano l’autonomia delle istituzioni universitarie.

Peraltro, l’esame delle più importanti opzioni, degli ultimi anni, in materia di politica universitaria si intreccia profondamente con il discorso pubblico sulla medesima università. A tal punto che è probabile che la nota e distorta narrazione dei molteplici difetti del sistema universitario italiano[1], quando non sia stata disegnata ad arte con specifici obiettivi politici, abbia fortemente influenzato parecchie scelte politiche sull’università, o quantomeno abbia contribuito a formare un’opinione pubblica favorevole (oppure insensibile) al progressivo indebolimento delle istituzioni universitarie: realizzato specie, ma non solo, attraverso il cosiddetto “avvelenamento dei pozzi”, e cioè attuando misure di definanziamento, in prima battuta, e poi di costante sottofinanziamento[2] e di vari vincoli[3] al turnover.

Sia chiaro, com’è stato osservato dagli studiosi più attenti, l’università italiana «è tutt’altro che innocente,…ha molte colpe a suo carico, e molto da correggere al suo interno»[4]. Tuttavia, l’immagine pubblica dell’università diffusa e propagandata dai media e utilizzata dai policy makers, in modo bipartisan, è «ferocemente denigratoria», basata su informazioni manipolate alla bisogna e argomentazioni caratterizzate da «disonestà intellettuale»[5]. Tutto questo ha favorito un vero e proprio processo di «manomissione punitiva» del sistema universitario (a partire dal 2008 e fino a questi giorni) che «va ben al di là delle effettive responsabilità, dei guasti e degli sprechi materialmente riscontrabili e si configura come un conseguente tentativo di disarticolare il sistema formativo prodotto, con tutti i suoi pregi e le sue carenze, da un secolo e mezzo di storia nazionale»[6].

Beninteso, ormai da diversi anni, il centro ministeriale e la collegata agenzia di valutazione (l’Anvur) elaborano prescrizioni che, ispirate dalla massima diffidenza nei confronti del mondo accademico, ingabbiano entro schemi precostituiti gli altri attori del sistema e si basano su un trittico elementare: sorvegliare, punire[7], premiare[8]. L’Anvur risulta così dotata di un enorme potere ed estende le sue capacità regolative, a macchia d’olio, anche al di là delle sue competenze formali, su ogni minuto aspetto dell’attività delle università. Non solo resta fortemente discutibile la posizione di autonomia dell’Anvur rispetto al centro politico del sistema, a causa del meccanismo delle nomine dei componenti di tale organo[9]; ma tale agenzia ha realizzato la creazione di un vero e proprio “cerchio magico” di esperti della valutazione. E cioè di un “élite di accademici” scelti da Anvur, in modo autoreferenziale, senza una reale selezione pubblica, i quali hanno il compito di guidare i suddetti processi, non incontrando limiti se non quelli della propria morale[10]. Insomma, autonomia universitaria e libertà della scienza sono sempre più in pericolo di fronte a vaste ed incontrollate ingerenze esterne[11].

[1] Cfr. A.Banfi, Prima che la nave affondi: un rapido bilancio della riforma dell’università e qualche possibile intervento correttivo, in Giorn. dir. amm., 2013, 548 ss.; nonché i costanti e molteplici contributi sul sito www.roars.it.

[2] Cfr. Università in declino, a cura di G.Viesti, Roma, Donzelli, 2016.

[3] Cfr. M.Ricci, Il reclutamento dei professori universitari a livello locale: vincoli finanziari e riparto di competenze tra gli organi collegialiin Abilitazione scientifica per i professori universitari, a cura di F.Carinci – M.Brollo, Milano, Ipsoa, 2013, 99 ss.

[4] M.Moretti, “Noi e le nostre università”, in Università e formazione dei ceti dirigenti, Bologna, Bonomia University Press, 2015, 522.

[5] M. Moretti, “Noi e le nostre università”, cit., 523.

[6] M. Moretti, Sul governo delle università nell’Italia contemporanea, in Annali di storia delle università italiane, 14, 2010, 11.

[7] Cfr. V. Pinto, Valutare e punire, Napoli, Cronopio, 2012.

[8] Cfr. C. Barbati, L’assicurazione della qualità nel sistema universitario al tempo di Anvurin Giorn. dir. amm.,2013, 701 ss.

[9] Cfr. C. Barbati, Il governo del sistema universitario: soggetti in cerca di un ruolo, in Riv. trim. dir. pubb., 2014, 344; R. Calvano, La legge e l’Università pubblica, Napoli, Jovene, 2012, 101 ss.

[10] Cfr. A. Baccini, Come e perché ridisegnare la valutazione, in il Mulino, 2013, 80 ss.

[11] Cfr. Pinelli, Autonomia universitaria, libertà della scienza e valutazione dell’attività scientifica, in Munus, 2011, 567 ss.; e F. Denozza, La ricerca scientifica e le tecniche di valutazioneivi, 589 ss.