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Tuttoscuola-quattro domande al Ministro

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24/12/2001
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Tuttoscuola

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Dal documento Bertagna al rapporto di sintesi: quattro domande al Ministro

- Licei di 4 anni, chi paga il prezzo?

- Orari obbligatori e facoltativi: con meno ore di lezione si impara di più?

- Tempo pieno: si può sapere se ci sarà?

- Orientamento e scelta degli studi: chi decide?

- Maestri e professori: una stessa formazione iniziale

1. Dal documento Bertagna al rapporto di sintesi: quattro domande al Ministro

Era nell'aria da qualche giorno: il Gruppo ristretto di lavoro istituito dal ministro Moratti per elaborare un'ipotesi di riforma degli ordinamenti scolastici, ha redatto un nuovo rapporto di sintesi, frutto collegiale della commissione, che "segue quello elaborato dal Presidente Giuseppe Bertagna".
Quali le novità? Lo schema dell'impianto "Bertagna" è confermato nella sostanza, ma non mancano precisazioni e attenuazioni, come nel caso della durata quadriennale dell'istruzione e formazione secondaria. Insomma, questa sintesi (14 mila parole, contro le 33 mila della prima versione) dei lavori della commissione Bertagna, presentata proprio alla vigilia degli Stati generali della scuola, è diventata un'occasione per chiarire meglio la proposta e in qualche caso anche (legittimamente) per aggiustare il tiro.
Il nuovo Rapporto è arricchito nella seconda parte da un lungo elenco di "raccomandazioni" (ben 32), che aiutano a capire le direttrici seguite dal gruppo di lavoro e a tratteggiare le linee della riforma che viene proposta.
Ma vediamo quali sono i principali nodi che emergono dal nuovo testo e i chiarimenti rispetto alla versione che era stata presentata. Infine, le domande, che "Tuttoscuola NEWS" pone agli estensori del documento e, ovviamente, al Ministro Moratti, le quali speriamo possano trovare risposta durante gli Stati generali che si aprono oggi a Roma e nel dibattito che seguirà.

2. Licei di 4 anni, chi paga il prezzo?

Il rapporto di sintesi fornisce finalmente una risposta chiara all'interrogativo (vedi anche "TuttoscuolaNEWS" n. 27) sulle ragioni della riduzione di un anno del percorso complessivo di istruzione (definita ora peraltro un'opzione "border line", che non rientra "tra i cardini del progetto").
Ebbene, non viene chiamato in causa l'allineamento all'Europa (che tale non sarebbe, se non a una parte di essa), ma si afferma invece che è "fortemente consigliabile fissare in 12 anni la durata complessiva del percorso della istruzione e/o formazione preuniversitaria. consentendo così anche ai nostri giovani di accedere all'università o a una formazione superiore. in coincidenza con il compimento della maggiore età". Terminare il percorso formativo a 18 anni - sacrificando un anno di secondaria superiore - serve, insomma, per arrivare prima all'università o alla formazione professionale superiore (IFTS).
Ma ecco una prima riflessione che non può non esser fatta (e i membri della commissione ne mostrano peraltro nel testo consapevolezza): quell'arrivare prima comporta un prezzo rilevante in termini formativi (un anno in meno di studio), con il conseguente rischio di minore preparazione.
Si può obiettare che con il percorso universitario - il cui accesso verrebbe così reso più scorrevole - quel gap può essere recuperato, e il gioco varrebbe la candela. Ma per chi, per quanti? Dai dati Istat di fine 2000 la popolazione italiana tra i 24 e i 39 anni è di 13.378.169 persone. Di queste risultano in possesso di laurea 1.402.493 (cioè poco più del 10%), e 4.782.163 si fermano al diploma (quasi il 36%).
Prima domanda per gli Stati generali: se un anno in meno di scuola ha un prezzo in termini di quantità e qualità dell'istruzione, è giusto che a pagarlo sia quella maggioranza di oltre un terzo che non va oltre il diploma e a beneficiarne sia quel 10% che arriva alla laurea?

3. Orari obbligatori e facoltativi: con meno ore di lezione si impara di più?

Lo avevamo rilevato già all'indomani della pubblicazione del "rapporto Bertagna" (vedi "TuttoscuolaNEWS" n. 24 del 30 novembre). Con la riduzione dell'orario obbligatorio (lo ripetiamo, obbligatorio) a 25 ore settimanali e una annualità in meno, le ore di lezione minime richieste, dalla prima elementare all'ultimo anno di secondaria, sarebbero state di 9.900 contro le attuali 12.672 (-22%). La notizia è stata ripresa da molti giornali, sia pure spesso confondendo l'orario obbligatorio con quello complessivo (la proposta Bertagna prevede un percorso facoltativo di 300 ore l'anno - e quindi di 3.600 nei 12 anni - che gli studenti possono aggiungere al monte ore obbligatorio). Il rapporto di sintesi ritorna sull'argomento, affermando che il dato non è così "allarmante come sembra emergere da alcuni commenti e valutazioni, soprattutto se si tiene conto del fatto che avremmo comunque, nei 12 anni di obbligo di istruzione e/o formazione, un totale di 13.500 ore di lezione, contro le 12.740 distribuite negli attuali 13 anni".
Ci spiace contraddire il rapporto, ma i calcoli - fatti in termini omogenei - portano a un altro risultato, come si evince dalla tabella allegata (Orari di lezione dell'intero itinerario scolastico ).
Se confrontiamo, infatti, il numero minimo di ore di lezione che si richiede ad ogni studente obbligatoriamente di frequentare per ottenere il diploma, il totale è quello sopra indicato (12.700 circa oggi, 9.900 nella nuova proposta).
Se confrontiamo invece il numero massimo di ore che lo studente può frequentare avvalendosi anche dell'offerta facoltativa, va considerato che anche nel sistema attuale esiste un orario facoltativo, di cui le famiglie possono scegliere di avvalersi (e molte lo fanno): è quello del tempo pieno delle elementari e del tempo prolungato delle medie: altre 2.442 ore per un totale di offerta attuale di 15.114 ore complessive, cioè 1.600 più di quelle dell'ipotesi del gruppo di lavoro (13.500). Una riduzione dell'orario complessivo (obbligatorio + facoltativo) dell'11 per cento.
Seconda domanda per gli Stati: è possibile (e se sì, come) con meno ore di lezione imparare di più?

4. Tempo pieno: si può sapere se ci sarà?

C'è un passaggio della relazione Bertagna presentata a fine novembre che aveva acceso forti polemiche, spingendo qualcuno a parlare di "pay school". Si tratta della questione del servizio a pagamento oltre le 300 ore di laboratorio. Nel documento si leggeva: "oltre le 300 ore annuali le famiglie devono pagare il servizio nella misura stabilita dalle istituzioni scolastiche". Qualche giornale aveva anche fatto confusione parlando di richiesta di pagamento per le stesse 300 ore di laboratorio.
Ebbene, nel nuovo testo quel passaggio è stato cassato. È da ritenere a questo punto che l'ipotesi sia stata ritirata o quantomeno rimandata ad altro momento.
Ma c'è un'altra questione di cui non si fa menzione nel nuovo documento di sintesi del Gruppo ristretto di lavoro: la questione del tempo pieno nella scuola elementare, di cui si paventava la riduzione, in base alla dotazione oraria prevista nel progetto di riforma.
Nonostante ci fosse l'occasione, come avvenuto per altri argomenti, di apportare qualche chiarimento, nella sintesi è rimasto sul tempo pieno il completo silenzio.
Vogliamo ricordare che oggi l'alunno che sceglie il tempo pieno è obbligato a frequentare 40 ore settimanali di scuola, mensa compresa.
Nel rapporto invece vengono confermate le 25 ore di lezione e le quasi 10 di laboratorio. Non viene mai nominata la mensa. Non si capisce pertanto se il tempo mensa è incluso o meno in quelle 35 ore complessive. Se poi il progetto di riforma sottintenda in qualche modo un'offerta di altro tempo, non la lascia certo capire.
Terza domanda per gli Stati: se si vuole tener conto della domanda di quasi un quarto delle famiglie di alunni di scuola elementare, perché non si dice esplicitamente che il modello di tempo pieno è completamente confermato?

5. Orientamento e scelta degli studi: chi decide?

Qualche sorpresa nasce sul versante dell'orientamento: tra le "raccomandazioni" ne compare una, formulata in modo piuttosto secco, che suggerisce che "l'accesso agli studi liceali (solo a quelli, ndr), sia proposto dai consigli di classe dell'ultimo anno della scuola media", e che tale "decisione" sia "trasmessa alle direzioni dei licei rispettivi". Insomma, assai più che un consiglio, quasi un obbligo amministrativo.
Però "studenti e famiglie possono opporsi alle decisioni dei consigli di classe", e in tal caso l'opposizione viene discussa (con i consigli di classe, sembra di capire), e ad ogni buon conto essa viene "registrata nel portfolio" dello studente. Un'ipotesi originale, che non sembra però tanto in linea con il dichiarato intento di voler rafforzare la libertà di scelta delle famiglie e degli studenti.
La tematica dell'orientamento ricompare anche nei "due anni terminali degli studi liceali", nei quali dovrebbe addirittura assumere il rilievo di "preoccupazione dominante": si prevede che accanto al diploma sia fornito anche un "consiglio d'orientamento attendibile, discusso e vagliato con ogni studente".
Quarta domanda per gli Stati: non si correrà il rischio, in tal modo, di condizionare eccessivamente la struttura curricolare (contenuti, obiettivi) di quei due anni, fino ad appannare la coerenza e la specifica finalità formativa dei singoli percorsi liceali?

6. Maestri e professori: una stessa formazione iniziale

La terza parte del rapporto di sintesi contiene una previsione a dir poco storica per la tradizione pedagogica del nostro paese.
Prevede infatti che la formazione iniziale degli insegnanti abbia una identica durata per tutti (dalla scuola dell'infanzia alla scuola secondaria), anche se articolata in modo differenziato.
Si tratta di un passo decisivo che sancisce la pari dignità effettiva della funzione docente.
Da sempre la formazione iniziale degli insegnanti italiani ha diviso la categoria in laureati e non laureati, dove quel "non" stava a significare quasi una "minorità" della funzione dei docenti di scuola elementare.
Ricordiamo che la formazione universitaria degli insegnanti, compresi quelli di scuola elementare e dell'infanzia si è realizzata solamente nel 1990, ma ha trovato effettiva applicazione quasi otto anni dopo. E anche quella norma ha mantenuto una differenza, prevedendo durate diverse dei piani di studio a seconda dell'ordine di scuola di destinazione. Lo stesso Regolamento per i titoli universitari, predisposto dall'ex ministro De Mauro e ritirato dal ministro Moratti, non era riuscito a compiere il salto decisivo verso la parità.
Il rapporto di sintesi, come già abbozzato dal rapporto Bertagna, finalmente afferma categoricamente questa pari dignità della professione docente, realizzata attraverso una formazione iniziale universitaria di uguale durata per tutti. E chissà che, stabilito questo principio, non si apra successivamente la prospettiva di passare al ruolo unico e quindi anche all'equiparazione retributiva tra maestri e professori (oggi i primi rispetto ai secondi lavorano più ore ma guadagnano di meno).