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Unità: È l’ora della svolta battiamo Berlusconi

Guglielmo Epifani parla del difficile momento dell’Italia, elogia lo sforzo di Prodi di proporre soluzioni ai problemi concreti delle famiglie e delle imprese. Ma avverte di non far confusione su questioni come le tasse. Il premier usa il populismo e il parossismo per non parlare dei drammi del Paese

01/04/2006
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l'Unità

INTERVISTA Guglielmo Epifani parla del difficile
momento dell’Italia, elogia lo sforzo di Prodi di
proporre soluzioni ai problemi concreti delle famiglie
e delle imprese. Ma avverte di non far confusione su questioni come le tasse. Il premier usa il populismo e il parossismo per non parlare dei drammi del Paese

Una campagna elettorale distante dai problemi reali, «per responsabilità del premier che devia sull’ideologia fino al parossismo», sostiene Guglielmo Epifani. In nessuna parte del mondo i bambini bolliti sarebbero argomento di competizione elettorale. E poi il «populismo», «le solite promesse». «Il paese ha bisogno di una svolta», altrimenti galleggerà, sarà una stagnazione permanente. Al centrosinistra il compito di fare «un’operazione verità», «con precisione, senza paure». Sulle tasse «aumentate in questi anni per lavoratori e pensionati», sui condoni «su cui bisogna farla finita», sull’evasione fiscale «contro cui il governo Berlusconi non ha fatto nulla». Per il leader della Cgil il miglior modo di aumentare l’area imponibile resta quello di «far ripartire la crescita e i consumi». Quanto alle critiche sul «governo amico» Epifani replica: «Montezemolo ha trasferito su di noi una valutazione che il premier aveva fatto sugli industriali. A Vicenza era in discussione il rapporto tra il governo e viale dell’Astronomia. Non altro».
È passato un mese dal congresso della Cgil e manca una settimana alle elezioni. Quanto del vostro dibattito sopravvive nella campagna elettorale?
«Con il nostro congresso abbiamo fatto una grande operazione di rigore e di amore verso il futuro del paese. Pochi come noi in questi anni hanno visto con precisione le caratteristiche del declino italiano e secondo me pochi come noi hanno avuto la forza e il coraggio di assumere l’orizzonte di un cambiamento alto. A me sembra che l’eco del congresso sia stata forte: da parte di chi ne ha apprezzato lo spirito e le proposte, a partire da Romano Prodi, da chi ha fatto qualche distinguo di merito pur condividendone l’impianto, e da chi invece come il centrodestra e una parte dell’impresa ha criticato le nostre proposte. La Cgil è stata in campo come deve stare, come un sindacato, soggetto autonomo che ha una sua parzialità di rappresentanza ma che si preoccupa di un progetto per tutto il paese».
Osservando lo scontro tra i due fronti, lei il progetto lo vede?
«No, la campagna elettorale stenta ad avere un “cuore” che siano i problemi reali. La responsabilità è del centrodestra e in particolare del premier il quale ha operato per deviare l’attenzione dai problemi. Lo ha fatto riscoprendo un po’ di bagaglio ideologico talvolta al limite del parossismo ideologico, basti pensare i bambini cinesi bolliti. Sono temi che nessun paese al mondo vedrebbe in una competizione elettorale. Il tutto è attraversato da vene di populismo, dagli 800 euro ai pensionati alla tassazione che sparirà, le solite promesse con cui prova a tenere insieme tutto».
Però in passato il populismo si è dimostrato efficace...
«... Oggi se vincesse il centrodestra avremmo come risultato che il “dato zero” di crescita sarebbe la costante dei prossimi anni. O il paese adotta una politica diversa o è destinato a galleggiare. C’è un dato, tra gli altri: l’incognita dei conti pubblici che lascia questo governo, basti vedere lo strano tiramolla sulla trimestrale di cassa. Anche l’Fmi ha rivisto al ribasso le stime di crescita. Insomma, o c’è una scossa o sarà sempre stagnazione. È questo il vero senso della sfida del 9 e 10 aprile. Su questo ho visto con piacere che anche la Cisl e la Uil hanno espresso nel merito dei programmi giudizi abbastanza simili ai nostri. Si può dire che il grosso dello schieramento confederale avverte il bisogno di un cambiamento. E questo non vuol dire ledere né l’autonomia del sindacato né i diversi punti di vista».
E il centrosinistra? Si sta muovendo in modo convincente?
«Da una parte fa uno sforzo per rimettere questi problemi al centro, penso al confronto che c’è stato in tv tra Prodi-Berlusconi, e spero che lo stesso sforzo Prodi lo faccia lunedì. Dall’altra parte si sono avute difficoltà, sfrangiamenti, un po’ si è rincorso Berlusconi sul suo terreno. E per quanto riguarda le tasse c’è stata secondo me un po’ di confusione. I messaggi mandati non sono stati univoci e quando si fa così si ingenera più paura che persuasione».
Può spiegare a cosa si riferisce?
«Se l’Unione crede nel suo programma deve fare un’operazione di verità. Dovrebbe dire che in questi anni le tasse sono aumentate per i pensionati e i lavoratori, che c’è stata una redistribuzione al rovescio, e che il prelievo fiscale e contributivo sui produttori ha creato problemi in una competizione in cui anche questo può fare la differenza. E che il migliore modo per allargare l’area imponibile è far ripartire la crescita e i consumi. Il messaggio non deve essere “si devono pagare più tasse” ma la lotta all’elusione e all’evasione fiscale, cosa che Berlusconi non ha fatto, si deve dire che è ora di finirla con i condoni, un messaggio semplice e condiviso da molti cittadini».
E sulla tassazione delle rendite?
«Che non è una cosa così spaventosa visto che in Europa ce l’hanno praticamente tutti più alta della nostra; che è uno scandalo che chi guadagna in plusvalenze centinaia di milioni non paghi un euro di tasse, e che abbassare il prelievo sui depositi bancari e postali è una scelta di assoluta equità. Anche sulla riduzione del cuneo contributivo, misura importante, va detto che una parte deve andare ai salari. Sono queste le cose che vanno messe in ordine senza tentennamenti, senza paure, dando cifre, avanzando proposte. E senza avere sei posizioni diverse. Prodi deve essere, per questo, preciso perché sulla paura gli altri giocano per creare insicurezza e disorientamento che possono colpire quei redditi medi che pure in questi anni non sono stati agevolati. L’insicurezza si batte quando le proposte sono chiare. Un po’ come ha fatto la Cgil. Ha avuto il coraggio di dire il suo punto di vista, ha avuto critiche, si è fatta degli avversari però ha tenuto una linea chiara».
La Cgil ha una grande capacità di attrarre le critiche. Le ha avute durante e dopo Rimini sul «governo amico». E dopo Vicenza Montezemolo vi ha dato del «sindacato ideologico». Epifani, la Cgil si fa tirare per la giacchetta o tira quella del governo amico?
«La Cgil non si fa tirare da nessuno e non tira nessuno. La Cgil ha le sue opinioni che pesano perché è un’organizzazione importante e perché in genere ha opinioni chiare. Romano Prodi è venuto a Rimini ha detto la sua, noi replicando gli abbiamo detto che siamo contenti di aver trovato delle sintonie soprattutto sulla necessità del cambiamento, e che naturalmente verificheremo- se vincerà il centrosinistra - come il governo manterrà gli impegni. Aggiungo che molti studi confermano che il voto dei lavoratori dipendenti questa volta andrà verso il centrosinistra in maniera molto più forte. E questo l’Unione dovrà ricordarlo. Poi ho già detto che il programma della Cgil è il programma della Cgil, quello dell’Unione è dell’Unione, manterremo un profilo di rigorosa autonomia. La critica di essere il sindacato del governo amico è ingenerosa, non ha alcun fondamento».
«Ingenerosa»: è tutto quello che risponde a Montezemolo?
«Anche se non l’ho commentata ho trovato una forzatura quello che ha detto Montezemolo dopo Vicenza. Lì Berlusconi ha detto agli industriali “Voi sieti amici dell’Unione”; Montezemolo ha detto “La Cgil è amica dell’Unione”, ha trasferito su di noi una valutazione che riguardava lui. Non si risponde in questo modo. Il problema era quello del rapporto tra governo di centrodestra e gli industriali, non altro».
In questi giorni si parla molto di flessibilità e di welfare. Lo fanno anche in Francia con il Cpe. Che cosa indica quell’esperienza?
«In Francia si è aperta una vera discussione. Anche le parole di Chirac sono il riconoscimento della forza della protesta anche se le sue risposte non sono quelle che ci si aspettava. In ogni caso il movimento francese ci dice che vanno mantenute centrali le condizioni dei giovani, dei lavoratori e dei pensionati, anche in questi ultimi giorni di campagna elettorale. Gli studenti francesi, i sindacati e soprattutto il 65% dei cittadini ritengono che insistere sul modello sociale fondato sulla precarietà sia sbagliato. Si parla molto del modello scandinavo, sono proprio i paesi dove la coesione sociale è assunta come scelta e cultura che infatti si sviluppano di più. Il centrosinistra deve assumere con forza questa scelta. La flessibilità non c’entra nulla quando ci sono lavoratori - e capita sempre di più - che da 14 anni hanno solo contratti a tempo. Non è un problema di flessibilità, è proprio precarietà che alimenta l’insicurezza delle persone. Affrontare di petto questo problema deve essere parte di un progetto di cambiamento. Anche in questo il paese ha bisogno di una svolta».

di Felicia Masocco