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Unità: L’Università ci riprova

C’è un campo, quello dell’istruzione e in particolare di quella superiore, in cui le note degli esponenti del centrodestra suonano particolarmente stonate

23/07/2006
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l'Unità

Nicola Tranfaglia

In queste settimane di inizio legislatura si sente ripetere dall’opposizione di centrodestra un ritornello che rischia di diventare ossessivo: «Voi state distruggendo le grandi riforme che noi abbiamo fatto o almeno stavamo facendo prima che quel fatale 10 aprile arrivaste voi».

Ma c’è un campo, quello dell’istruzione e in particolare di quella superiore, in cui le note degli esponenti del centrodestra suonano particolarmente stonate. In questi cinque anni le nostre università hanno sofferto tutte, con qualche eccezione di tipo clientelare, di un dimagrimento progressivo delle risorse finanziarie, e di una legislazione che non ha affrontato i problemi fondamentali della ricerca come del diritto allo studio e che si è dedicata invece a esperimenti spericolati sulla pelle delle generazioni più giovani e dei ricercatori. Ultimo quel decreto legge 230 che alcune Università si stanno affrettando ad applicare un po’ sconsideratamente pur dopo che il ministro dell’Università Fabio Mussi ha espresso le sue riserve su quel provvedimento preparandosi a un intervento assai deciso, come gli consente peraltro la legge.

Ma in questi giorni, dopo molte polemiche che si sono svolte a livello politico e giornalistico, Mussi ha terminato la sua audizione di fronte alla commissione Cultura della Camera esponendo il suo progetto complessivo che è stato, come era inevitabile, subito attaccato dall’opposizione. Si tratta, è bene dirlo, di un progetto che si caratterizza per l’ambizione dell’impianto generale e per l’ampiezza delle proposte che ne possano derivare.

Si prende atto prima di tutto di una situazione di cui in Italia si parla assai spesso solo in termini generici: il nostro grande ritardo rispetto all’Europa e al mondo nel campo dell’istruzione che non è e non può essere la conseguenza soltanto degli ultimi cinque anni ma che nasce a nostro avviso da una troppo lunga e generale disattenzione delle classi dirigenti italiane verso questo tema fondamentale per lo sviluppo economico e civile del Paese.

Finalmente il ministro, a differenza dell’ineffabile Letizia Moratti è consapevole e preoccupato del ritardo e ha puntualizzato con precisione il problema centrale che dobbiamo risolvere: «Il nostro sistema dell’istruzione superiore e della ricerca produce buona materia prima, spesso eccellente materia prima: la rivista Nature ha pubblicato uno studio che colloca i ricercatori italiani ultimi per finanziamenti ma al terzo posto per la produttività scientifica tra i Paesi del G8. Materia prima buona per l’esportazione, pronta a essere utilizzata altrove (resto d’Europa, Asia e soprattutto Stati Uniti) nella produzione di cultura, sapere e tecnologia.»

È necessario insomma un grande sforzo del Paese, del Governo e delle forze produttive per entrare finalmente nel nuovo mondo della conoscenza che si sta creando in Occidente come in Oriente (Cina e India ma anche Corea e Thailandia e altri Paesi asiatici stanno raddoppiando di anno in anno i loro investimenti nella ricerca) e non si può continuare una politica che fa dell’Italia una grande cava in cui i talenti vengono coltivati per poi essere sfruttati altrove lasciando il Paese di origine privo delle proprie migliori energie.

Ma il governo Prodi saprà fare nei prossimi cinque anni gli sforzi necessari per uscire da una simile, pericolosa stagnazione? Fabio Mussi ne è convinto e ha esposto un progetto complessivo che accanto a un graduale ma costante aumento di investimenti nella Ricerca, intende cercare di coinvolgere imprenditori e pubblica amministrazione nell’utilizzazione dei dottori di ricerca e prevede tra il 2007 e il 2008 un reclutamento eccezionale di giovani ricercatori destinati peraltro a sostituire nei prossimi dieci anni l’esercito di professori anziani che lasceranno l’università nei prossimi 5-10 anni.

Il ministro non intende riformare più di tanto il “3 più 2” ma si pone, credo a ragione, il problema non ancora risolto delle lauree specialistico-magistrali che in questi anni non hanno costituito una soluzione adeguata al problema né della specializzazione né del necessario aumento del livello di preparazione dei nostri giovani. Qui è urgente trovare una soluzione rispetto alla situazione attuale che sia capace di innovare rispetto alla riforma Berlinguer che si era dedicata prima di tutto alla delineazione delle lauree triennali.