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Unità-La comunità non terapeutica di San Patrignano

La comunità non terapeutica di San Patrignano Luigi Cancrini Maurizio Coletti Caro Luigi, in questi giorni circolano dati e risultati di un "progetto di valutazione" della Comunità Terapeu...

26/09/2005
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l'Unità

La comunità non terapeutica di San Patrignano

Luigi Cancrini
Maurizio Coletti

Caro Luigi,
in questi giorni circolano dati e risultati di un "progetto di valutazione" della Comunità Terapeutica di San Patrignano che si presenta come uno studio scientifico condotto da eminenti universitari. Si usava un tempo presentare i risultati dei progetti finanziati con lo stesso Fondo Nazionale di Lotta alla Droga attraverso Convegni, seminari od incontri pubblici discutendone con la collettività scientifica e professionale. La scelta fatta stavolta è quella di una conferenza stampa, senza esperti e senza dibattito. Tu che ne dici? Anche, se credi, a proposito di ciò che è stato raccontato sulla "ricerca". In assenza di un minimo di discussione pubblica, dobbiamo accontentarci, infatti, delle "notizie provenienti dalla stampa".

Vorrei, per discuterne un po', riprendere i dati di quella che San Patrignano presenta come una ricerca. Le ricerche, tu hai ragione, non si presentano in una conferenza stampa, si discutono in un convegno scientifico, dove ci sono persone in grado di valutarne metodi e risultati. I dati filtrano, tuttavia, e se ne deve discutere.
Partiamo, per farlo, dal campione. Composto, si dice, da 511 utenti che hanno passato tre anni in comunità ma di cui si comprende dopo che erano solo 287, quelli effettivamente rintracciati. Non sottolineando quanto sia importante, dopo una permanenza di tre anni in comunità, il dato della rintracciabilità. Accettiamo pure l'idea, infatti, di un 10% di persone non rintracciate per difficoltà oggettive (trasferimenti, errori di indirizzo) per tutti gli altri vale l'idea per cui chi è stato da te e con te per tre anni non lo trovi perché è ricaduto e non vuole farsi rintracciare o perché è ricaduto e non è più rintracciabile presso il domicilio dove era diretto quando è uscito. Nessuno può escludere, certo, che qualcuno non voglia farsi rintracciare semplicemente perché non vuole più avere niente a che fare con una comunità e con degli operatori che l'hanno "costretto" a stare con loro per tre anni. Anche questo, tuttavia, non mi sembra un buon indizio e rinforza il dubbio sulla validità di una ricerca che parte da 511 ex utenti e ne incontra solo 287.
Un altro criterio di inclusione nel campione esaminato, lo abbiamo visto, è quello dei tre anni passati in comunità. Esaminata sulla base dei dati offerti dalla letteratura internazionale, tuttavia, la scelta di un criterio del genere esclude che chi lo utilizza stia portando dati sulla efficacia di un trattamento comunitario. Quello che sappiamo con certezza infatti, è che il problema delle Comunità è quello di ottenere la permanenza dell'utente e la sua partecipazione attiva al programma terapeutico per un tempo sufficientemente lungo. Riesaminata a distanza di tempo, l'efficacia del trattamento è sempre direttamente proporzionale alla quantità di tempo passata in comunità. Con due conseguenze importanti dal punto di vista metodologico. Scegliendo di valutare quelli che sono stati in comunità per almeno tre anni, (a) si valuta solo l'esito dei trattamenti con più alta probabilità di riuscita; (b) nulla si dice, non prendendoli in considerazione, di tutti quelli che, pur essendo stati in contatto con il programma, non ne hanno tratto alcun giovamento o sono, come pure accade, peggiorati. Facendo un'operazione simile a quella che farebbe un medico o un'industria farmaceutica che valuta l'efficacia di un trattamento chemioterapico escludendo tutti i pazienti che muoiono o che lo abbandonano e includendo nel suo campione solo i pazienti oncologici che sopravvivono per almeno tre anni.
La scorrettezza di questa procedura non deve stupire, tuttavia. Centrata sul carisma del grande capo che ha trasmesso al figlio i suoi "magici poteri", l'attività che si volge a San Patrignano non ha mai accettato il confronto con quelle che si svolgono in altri luoghi. Legata a doppio filo ad una posizione politica di destra, protetta e beneficiata da un certo numero di "vip" della finanza e dello spettacolo, San Patrignano piace ai giornalisti per la spettacolarità delle sue prese di posizione ma non considera degni di attenzione quelli che lavorano e fanno ricerca nel campo della tossicodipendenza. Annunciare in una conferenza stampa che il 70% dei suoi ospiti sono "guariti" dalla tossicodipendenza non è solo un modo di imbrogliare chi ci crede e di farsi pubblicità a buon mercato, è soprattutto un modo semplice di evitare dei confronti difficili. Offrendo all'onorevole Giovanardi, l'uomo che ha raccolto il cerino lasciato acceso dal generale Sotgiu prima e dall'onorevole Carlesi poi, la possibilità di dire e di far credere che il governo di cui fa parte ha fatto qualcosa nel campo delle tossicodipendenze. I pochi soldi del Fondo Nazionale Droga sfuggiti alla falce "creativa" di Tremonti sono andati tutti lì, infatti, a San Patrignano, e da San Patrignano qualcosa, a questo governo, doveva dunque tornare. In preparazione, magari, di quella conferenza triennale (di anni ne sono passati più di quattro) che l'onorevole Giovanardi dice di voler comunque organizzare a dicembre e di cui è possibile dir fin d'ora che si farà, se davvero la si farà, senza il concorso e la partecipazione degli operatori e dei ricercatori che hanno continuato a portare avanti il loro lavoro e le loro ricerche basate, invece che sui finanziamenti promozionali, sulla professionalità e sulla passione di chi ancora crede nel lavoro che fa.
Epilogo triste di un quadriennio da dimenticare, la conferenza stampa sulla non ricerca autocelebrativa (o autoerotica) di San Patrignano, è utile soprattutto per riproporre, a tutti quelli che lavorano in questo settore, la pesantezza e la gravità di quello che accade, nel sociale, quando chi governa un paese si ispira alla filosofia dei neoconservatori. Una filosofia centrata sull'abbattimento dello stato sociale e sulla condanna aprioristica di chi, essendo più debole, non è competitivo funziona solo se riesce a far credere che i deboli sono persone colpevoli da rinchiudere o da perseguitare, non persone sfortunate da aiutare. Perché questo messaggio sia veicolato al grande pubblico quello di cui c'è bisogno, però, è un gruppo di persone in grado di sostenere e di "provare" la pericolosità immorale del diverso e la necessità di intervenire con lui sul piano del contenimento e della repressione invece che su quello della vicinanza e dell'assistenza. Come Fini avrebbe voluto che si facesse con tutti i tossicodipendenti: seguendo l'esempio niente affatto luminoso delle comunità non terapeutiche di San Patrignano.

DIRITTI NEGATI