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unità: Mussi: entro il 2007 riforma del sistema Università

«Un bordello? Dico basta al caos tra i diversi poteri. Eviteremo la proliferazione di facoltà e corsi di laurea»

21/09/2006
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l'Unità

di Massimo Franchi

«HO PARLATO di bordello riferendomi alla governance dell’Università italiana, di come è gestito il sistema universitario del nostro paese a partire dal ministero per finire alla struttura interna degli atenei. Il paragone Università-bordello è offensivo. Siamo gli ultimi nella spesa pro-capite in ricerca, ma non nei risultati dove abbiamo punte di eccellenza. Ciò significa che il sistema universitario italiano è sostanzialmente sano». Il ministro Mussi puntualizza le parole di martedì al convegno di Confindustria, annunciando che la sua riforma della governance del sistema universitario «sarà presentata al Parlamento per la seconda metà del 2007».

Ministro, non può negare che l’espressione “ho trovato un discreto bordello” era abbastanza forte...

«Era un’espressione in slang, frutto di un confronto franco fatto con gli industriali che ha portato all’obiettivo comune di rilanciare la ricerca in Italia. Mi riferivo però ad uno specifico problema, quello della governance del sistema universitario. A quel complesso sistema di regole, istituzioni, poteri attraverso i quali il sistema stesso viene governato, dal ministero al Consiglio universitario, ai consigli accademici. Si tratta di un sistema antiquato e malfunzionante che va profondamente riformato. Il problema principale è rompere la tendenza alla conservazione. Dal ministero fino agli atenei esistono sovrapposizioni di competenze che rendono difficile ogni cambiamento. Semplificheremo tutto il sistema, precisando le singole competenze, delegando in modo chiaro i diversi poteri. E vogliamo che ogni ateneo, ogni facoltà siano valutati da un’Agenzia indipendente da governo ed enti stessi che ne rilevi risultati, legando a questo una parte negli anni crescente del budget, premiando coloro che fanno bene. Non vogliamo "controllare" dirigisticamente il merito dei vertici, mica siamo “guardie rosse” durante la rivoluzione culturale cinese... ».

Un esempio pratico di queste sovrapposizioni?

«La proliferazione delle Università denunciata anche dal presidente della Repubblica è l’esempio migliore: in vent'anni gli Atenei sono quasi raddoppiati e sono proliferati le facoltà e i corsi, con una spinta dal basso e dall'alto. Ciò è stato possibile proprio perché il sistema non aveva capacità di autocorrezione. Questa è la crisi della governance. Ora bisogna far rispettare e rendere più rigorosi i requisiti minimi e gli standard. Comunque, già a legge esistente, ho fermato l'Università di Villa San Giovanni e 5 nuove telematiche che si aggiungevano alle 12 già esistenti».

Lei cerca consenso per questa “rivoluzione”. E i rettori?

«I rettori mi dicono: “È giusto, ma è questione assai delicata”. E io rispondo: è delicata, ma va affrontata. Stabilendo che entro il 2007 presenteremo al Parlamento la riforma, ascoltando le indicazioni di tutte le componenti dell’Università italiana».

Ma negli atenei il potere dei baronati è sempre forte...

«Non mi piacciono gli slogan, chi parla di baroni si salva l’anima ma non affronta il problema. Nei prossimi cinque anni andranno in pensione 30 mila docenti, il 47% del totale. È un’occasione straordinaria per aprire le porte dell’università ai giovani. Per questo chiedo in Finanziaria l'inizio di un piano decennale di assunzione di giovani ricercatori e la rimozione del blocco del turn over per università e ricerca».

Le lauree triennali non danno sbocco verso il mondo del lavoro.

«La riforma di Berlinguer è stata positiva, ma ha avuto effetti collaterali indesiderati aggravati dagli interventi della Moratti. Le lauree triennali sono diventate spesso un vicolo cieco, non sono né carne né pesce. Dobbiamo fare in modo che diano un profilo culturale e professionale per dare sbocchi precisi nel mondo del lavoro. Per farlo ho già ridotto il numero degli esami previsti, arrivati in certi casi anche a 35, fissando il limite a 20. Ora bisogna ridurre il numero dei corsi proliferati da 2300 a 5500. Nel decreto sulle classi di laurea c'è una norma che lo renderà possibile».