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Unità on-line - Scuola e università, la misura della miopia di un governo

Scuola e università, la misura della miopia di un governo di Margherita Hack Recenti inchieste sullo stato della scuola in Europa ci informano che i nostri studenti sono fra i meno preparati s...

17/12/2001
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l'Unità

Scuola e università, la misura della miopia di un governo
di Margherita Hack

Recenti inchieste sullo stato della scuola in Europa ci informano che i nostri studenti sono fra i meno preparati sia nelle materie letterarie, ma ancora peggio in quelle scientifiche.
Malgrado questa nostra posizione di fanalino di coda o quasi, la ministra dell'Istruzione (non più Pubblica?) Moratti propone di ridurre gli anni di scuola superiore da cinque a quattro, di eliminare molte materie di insegnamento, fra cui - udite, udite - la matematica al liceo classico. Tanto per far di conto ci sono i calcolatorini tascabili, e per la cultura generale ci sono i quiz televisivi.
Per risparmiare queste inutili spese per l'istruzione - perché quanto più uno è ignorante tanto meglio lo si governa - si tagliano i fondi alle scuole pubbliche a tutto vantaggio delle private - cattoliche al 90% - azione che nemmeno la democrazia cristiana aveva mai osato proporre nei suoi quasi cinquant'anni di governo.
Ogni persona eletta dal popolo al Parlamento dovrebbe rendersi conto che la scuola e l'università sono uno dei punti qualificanti di ogni governo che abbia a cuore il progresso del proprio paese, e qualunque sia la sua appartenenza politica, battersi per migliorarle. Invece si permette a questo governo di smantellare la riforma appena varata dai ministri Luigi Berlinguer e De Mauro e la ministra Moratti propone addirittura un ritorno agli anni 40, perché già ragazzini di 14 anni dovrebbero scegliere una via che li porterà agli studi superiori e poi all'università, per divenire cittadini di serie A, oppure al precoce avviamento al lavoro, come cittadini di serie B.
Sempre a proposito della scuola, è stata istituita una commissione per il comportamento deontologico degli insegnanti (evidentemente ritenuti non abbastanza intelligenti da potersi dare una loro propria deontologia) presieduta niente di meno che dal cardinal Tonini, ottima persona, ma non certo la più adatta a difendere il laicismo della scuola di uno stato laico, multietnico e multireligioso. Altri scandalosi provvedimenti, probabilmente illegali e per cui ritengo ci saranno innumerevoli ricorsi, quelli che hanno permesso a insegnanti di scuole private, assunti senza concorsi pubblico, di scavalcare numerosi vincitori di regolari concorsi. E ultima chicca, insegnanti di religione assunti in ruolo, pagati dallo Stato, ma purché ci sia il beneplacito di Santa Romana Chiesa. Ma poiché lo Stato è laico, l'insegnante di religione caso mai non dovrebbe insegnare la storia delle religioni, di tutte le maggiori religioni?
Ma i problemi non riguardano solo la scuola, ma anche l'università e tutti gli istituti di ricerca e in particolare il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr).
C'era una volta il ministero della Pubblica istruzione. Poi saggiamente dal ministero della PI, che seguitò ad occuparsi di scuola, dalle materne alle superiori, fu staccato e creato il ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e tecnologica (Murst). Come tutte le cose intelligenti, il Murst ha avuto vita breve. Come diceva il nome, si voleva sottolineare la stretta correlazione che c'è fra università e ricerca, sia pura che applicata. Poiché la ricerca ha bisogno di decisioni rapide, al passo con l'evolversi delle società tecnologicamente avanzate, il Murst era un organismo molto più agile del carrozzone della PI. Malgrado i fondi per la ricerca siano stati sempre abbastanza scarsi, c'era stato un lieve incremento all'inizio degli anni 90. Poi la necessità di risanare l'enorme debito pubblico accumulato nei decenni precedenti, per potere entrare nel gruppo dell'Euro, ha frenato la crescita. Ora, dopo il risanamento delle finanze pubbliche operate dal centrosinistra, sarebbe stato possibile per la Moratti mantenere le promesse di portare le spese per l'università e la ricerca al 2% del Pil. Invece siamo tornati all'1% scarso, contro quasi il 3% di Francia, Germania e Gran Bretagna e addirittura il 5% del Giappone.
È chiaro che, almeno per quanto riguarda la ricerca, al Cavaliere non interessa essere alla pari con i tre "Grandi". Il grande disinteresse del centrodestra per la ricerca si manifesta attraverso i tagli al fondo speciale per la ricerca applicata, che dovrebbe essere di interesse primario per le industrie, che di ricerca ne fanno pochissima, salvo rare eccezioni; tagli ai fondi per la ricerca di base, quasi dimezzati; nessuna nuova risorsa al fondo per l'incentivazione della ricerca di base, istituito dal governo Amato.
Ancora più grave è il blocco delle assunzioni di nuovi ricercatori nel 2002. Eppure l'Italia ha un numero di ricercatori pai a metà di quello della Francia, un terzo della Germania e della Gran Bretagna. Inoltre l'età media dei ricercatori italiani si aggira ormai sui 50 anni. Le statistiche dicono chiaramente che, almeno nel campo scientifico, i maggiori risultati, quelli più innovativi sono ottenuti dai giovani al di sotto dei 40 anni. Purtroppo il potenziale rappresentato dai giovani ricercatori è spesso sprecato. Infatti, quando con la riforma delle università dei primi anni 80, fu istituito il ruolo dei ricercatori, primo scalino della carriera universitaria, si intendeva che il loro compito primario avrebbe dovuto essere la ricerca. Invece sappiamo bene che essi vengono impiegati per i corsi più pesanti dei primi anni, per i laboratori, per le esercitazioni, insomma per tutti quei corsi seguiti da un gran numero di studenti e che richiedono un grande dispendio di tempo. In pratica oggi il ricercatore, come l'assistente di una volta, svolge i compiti didattici più pesanti, al posto del professore di prima o seconda fascia e di tempo per la ricerca gliene resta ben poco. Il risultato? I migliori neolaureati e dottori di ricerca se ne vanno all'estero.
Malgrado tutto, alcuni campi di ricerca in Italia sono all'avanguardia: si tratta della fisica delle particelle, dell'astrofisica e della ricerca spaziale. La fisica delle particelle ha una lunga tradizione iniziata con Fermi e i famosi ragazzi di via Panisperna; inoltre l'essersi organizzati nell'Infn (Istituto Nazionale Fisica Nazionale) ed essere parte del Cern di Ginevra è stato fondamentale per mantenere alto il livello della ricerca fisica italiana. Su questo modello è stato anche recentemente istituito l'Infm (Istituto Nazionale Fisica della Materia) e ancora più recentemente l'Iaf (Istituto Nazionale Astrofisica). Come il Cern per i fisici nucleari, così l'appartenenza dell'Italia all'Eso (European Southern Observatory) e all'Esa (European Space Agency) ha reso possibile l'accesso a strumentazione di punta e alla crescita degli astrofisici italiani.
Anche la ricerca spaziale italiana, sia tramite l'Agenzia spaziale italiana (Asi) sia attraverso collaborazioni Asi-Esa o con altre nazioni, ha avuto recenti importanti successi, in particolare col satellite per raggi X e Gamma Beppo-Sax, che ha permesso di risolvere il problema della natura dei "lampi Gamma" e Boomerang che ha dato un eccezionale contributo alla conoscenza dell'universo.
Credo che sia stato fondamentale per fisici e astrofisici essersi battuti per entrare a far parte di grossi organismi europei, che il governo è vincolato a finanziare da accordi internazionali, e cercare di unire le forze degli istituti che lavorano negli stessi campi, seguendo l'esempio dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Resta comunque il sospetto che si preferisca finanziare campi eticamente asettici, piuttosto che campi di grande avvenire e straordinario interesse per la salute umana come quelli della biofisica e delle biotecnologie, che suscitano sospetti e rivolte, indici di una grande ignoranza scientifica e una gretta mentalità che sa tanto di medioevo e di inquisizione.
In conclusione ritengo che una classe dirigente che non capisce quanto sia importante la cultura e la ricerca scientifica è una classe miope, che non vede altro che il successo economico immediato, che non capisce che la ricerca richiede tempi lunghi, che non si sa mai quali sbocchi potrà avere una ricerca, apparentemente lontana da fini pratici.
Io credo che se l'uomo si fosse sempre chiesto a cosa serve una ricerca, non avrebbe scoperto nemmeno il fuoco. È la curiosità disinteressata della conoscenza che ha portato la specie umana dall'età della pietra a quella dell'informatica e delle biotecnologie.
Una classe dirigente che non si rende conto di tutto ciò, condanna il proprio paese ad una dipendenza da brevetti e industrie straniere, condanna i propri migliori ricercatori a emigrare, e vedrà fatalmente diminuire le proprie risorse economiche. Infatti soltanto i prodotti ad alta tecnologia frutto della ricerca, potranno renderci competitivi, e non certo i prodotti a bassa tecnologia, che i paesi in via di sviluppo possono produrre a costi irrisori, grazie al supersfruttamento dei loro lavoratori, in gran parte purtroppo lavoratori bambini.