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Università, dal Censis i migliori atenei italiani. Sinopoli, Flc Cgil: classifiche senza senso. Le università del Sud sempre più penalizzate dai tagli

in questi anni le poche risorse dell’università sono state distribuite a favore di alcune università penalizzando gran parte del sistema e contribuendo ad indebolirlo. In sostanza i tagli sono stati ripartiti in modo disuguale colpendo le aree più deboli

05/07/2017
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Come ogni anno è il momento delle pagelle per l’istituto di ricerca socio-economica Censis, che ha redatto le classifiche delle università italiane. Puntuali e sincronizzate alla fine degli esami di maturità, sfilano le eccellenze del panorama italiano, in una gara vinta a mani basse, grazie “all’internazionalizzazione e ai servizi”, come recita il Censis, da università come Bologna, Perugia, Siena e Camerino.

È il capoluogo emiliano, infatti, a confermarsi primo tra i mega atenei, con un punteggio complessivo di 92. Seguono Firenze e Padova. Pisa conquista un buon punteggio nei servizi, La Sapienza di Roma nelle borse di studio mentre le università di Palermo e Torino nella comunicazione e nei servizi digitali (+ 5 punti rispetto allo scorso anno). Ultima in classifica invece è, come lo scorso anno, l’università di Napoli Federico II. Penultima l’università di Catania, che ha perso una posizione, mentre si conferma terzultima la Statale di Milano. Nella classifica dei “grandi” atenei, tra i 20mila e i 40mila iscritti spicca Perugia, che ha buoni punteggi per comunicazione, servizi digitali e internazionalizzazione. Al secondo posto c’è Pavia e al terzo Parma. Siena sorpassa Trento tra i “medi” e Camerino si conferma in testa alla classifica dei “piccoli”. Al primo posto tra i grandi atenei non statali c’è la Bocconi di Milano, seguita dalla Cattolica. Tra gli atenei di medie dimensioni il primo posto va alla Luiss di Roma, seguita dalla Lumsa. Bolzano, nata nel 1997, ha la pagella migliore in assoluto: 108,8 di media con tutti i voti sopra a cento.

Niente di nuovo, dunque. O quasi. Nelle ore successive la pubblicazione della ricerca i quotidiani si sono lanciati nella ressa mediatica dell’informazione costi quel che costi dando, ad esempio, in pasto agli italiani università autorevoli, come la Federico II di Napoli, relegata all’ultimo posto “senza se e senza ma”. Senza mettere a fuoco il contesto italiano, senza ricordare che negli ultimi anni le poche risorse destinate all’università sono state distribuite principalmente a favore di alcuni atenei, penalizzando gran parte del sistema. Contribuendo ad indebolirlo. Lo ha denunciato in un comunicato stampa Francesco Sinopoli, segretario generale della FLC CGIL: “il fatto è che esiste un vero e proprio allarme per l’alta formazione universitaria, che colpisce in modo violentissimo proprio il Mezzogiorno e le aree depresse del Paese, suscitato proprio da quella barocca e inefficace ideologia della ‘eccellenza’ e del ‘merito’, che crea inutili competizioni tra atenei, inutili sfide, inutili graduatorie. Non si può negare che  l’accanimento verso alcuni atenei in particolare, sia pure ingenuo e ‘per diritto di cronaca’, alimenta la già massiccia fuga dei giovani dal Sud verso il Nord guarda caso proprio quando si tratta di scegliere la sede. Nel 2016 sono stati 25mila gli immatricolati del Sud in atenei del Nord, il 10% sull’intera massa degli studenti, ma il 30 se si considerano solo quelli meridionali. E poiché il sistema universitario è stato congegnato come un cane che si morde la coda, meno iscritti uguale a meno risorse, e meno risorse uguale a minore offerta formativa”.

“Lo abbiamo detto più volte e lo ribadiamo ancora – ha continuato Sinopoli – non esiste alcun criterio scientifico nell’elaborazione delle graduatorie per gli atenei. Esiste però una certezza: in questi anni le poche risorse dell’università sono state distribuite a favore di alcune università penalizzando gran parte del sistema e contribuendo ad indebolirlo. In sostanza i tagli sono stati ripartiti in modo disuguale colpendo le aree più deboli a partire dal Mezzogiorno, ma non solo. Occorre cambiare segno e politiche verso l’alta formazione universitaria: investire risorse raggiungendo i grandi Paesi europei, stabilire criteri diversi per la distribuzione delle risorse, e infine lavorare per rendere davvero universale l’accesso partendo da investimenti veri nel diritto allo studio”.