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UNIVERSITÀ DELLO SFRUTTAMENTO 26.869 docenti precari pagati come colf

I nostri atenei si reggono sulle spalle dei precari

19/10/2018
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di ALFREDO ARDUINO (da la Verità)

A tré anni dalle mirabolanti promesse di Matteo Renzi da una Leopolda, la bolla dei docenti universitari precari ha raggiunto la cifra record di 26.869. Sono insegnanti a tempo, costretti a lavorare in più atenei a 30 euro lordi l'ora. Un compenso da fame, che scende addirittura a 7 euro se non si contano soltanto le ore di lezione, ma anche i colloqui con gli studenti e lo studio. A tré anni dalle promesse di Renzi il numero degli insegnanti a tempo negli atenei è da record (+11,7% in un anno). Ciascuno di lor prende m media 30 euro lordi all'ora, che scendono a 7 se non si contano solo le lezioni. Appena il 2% ha speranza di essere assunto•

Quattro corsi distinti, in tré atenei diversi, in città lontane l ' una dall'altra. Centocinquanta ore di docenza in totale, comprensive del tempo da dedicare a esami, tesi e ricevimento degli studenti, che fruttano poco più di lo.ooo euro l'anno. Meno di mille euro al mese. È così che nel nostro Paese vivono e lavorano 26.869 docenti universitari precari. Sono i cosiddetti professori a contratto, insegnanti a tutti gli effetti, ma senza il ruolo. Senza neppure un ufficio dove preparare le lezioni e incontrare gli studenti. Questi docenti senza cattedra passano la vita a salta rè da un treno all'altro, da un'aula all'altra, da una materia all'altra. Perché solo in questo modo riescono a mettere assieme uno stipendio che permette loro di sopravvivere. Tra loro c'è anche Luca Cianciabilla, bolognese, 44 anni. Per 36 ore l'anno insegna all'università di Firenze, nel resto del tempo si divide fra l'università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l'Alma Mater, spostandosi fra le sedi di Bologna e Ravenna. Stipendio lordo 900 euro al mese. La bolla dei precari si è gonfiata di anno in anno fino ad arrivare, nel 2017, all'attuale cifra record. Perché le assunzioni sono di fatto bloccate , cosi come il turnover che procede con il contagocce. Stessa situazione riguarda anche i ricercatori.

PAROLE AL VENTO Sembra ieri quando l'ex premier, Matteo Renzi, prometteva alla Leopolda la fine della spending review per il comparto dell'istruzione e l'ingresso di forze fresche, e non precarie, nelle aule universitarie. Ma tré anni dopo nulla è cambiato, le promesse sono state disattese e, anzi, la situazione è peggiorata. A dimostrare come le politiche messe in campo dai governi democratici non abbiano funzionato, arrivano i nuovi dati diffusi dal Miur e relativi al 2017. L'esercito dei precari è cresciuto dell'n,7% rispetto al 2016, con ben 3.000 docenti senza ruolo in più, in soli. 12 mesi . Se nel 1998 questi docenti «di serie B» erano 16.274, nel 2017 sono saliti a quasi 27.000, a fronte di 32.917 strutturati. Ovvero regolarmente assunti dagli atenei. Quello che sorprende sono anche le cifre percepite da questi lavoratori: ognuno di loro guadagna fra 25 e 100 euro lordi all'ora, in base ai bandi pubblicati dai diversi atenei. La cifra più comunemente pattuita è di 30 euro lordi ogni ora . Ma questi soldi vengono riconosciuti solo per il tempo effettivamente dedicato ai corsi, senza tenere conto di quanto ci vuole per preparare una lezione, seguire uno studente, incontrarlo quando deve preparare la tesi o nelle ordinarie ore di ricevimento. Facendo due conti, la FlcCgil ha calcolato che, in base al lavoro effettivamente svolto, i docenti precari guadagnano appena 7 euro nette all'ora, Meno della maggior parte delle colf e delle babysitter. Per esempio, solo all'università di Bologna, sono circa 700 i docenti senza cattedra. Hanno tutti un'età compresa fra 28 e 40 anni, almeno un dottorato di ricerca nel curriculu m e una lunga Usta di pubblicazioni scientifiche. Eppure spesso sono costretti ad arrotondare con lavori di fortuna. «I docenti a contratto vengono considerati degli esterni, come dei professionisti prestati alla didatt
ica. La reata invece parla spesso di persone in possesso di un alto titolo di studio, utilizzate per garantire la sopravvivenza di corsi di laurea penalizzati da un reclutamento che manca. Per loro l'unica possibilità per sperare nella carriera accademica è quella di sommare più insegnamenti», spiega Barbara Griming, del Coordinamento precari e docenti a contratto. In origine queste docenze senza assunzione erano state introdotte come collaborazioni occasionali, venivano affidate per lo più a professionisti di altri settori per arricchire con le loro competenze i corsi tradizionali. Ma con il passare del tempo gli atenei hanno cominciato ad abusarne, con l'obiettivo di allargare il corpo docenti nonostante il blocco delle assunzioni. Come spiega Francesco Vitueci, segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerea italiani: «Lo Stato negli ultimi anni ha utilizzato il precariato per far fronte ai tagli e far sopravvivere l'istituzione dell'università. Se non avesse sfruttato gli assegnisti di ricerca, i professori a contratto e altre fi gure, le università sarebbero implose». Cosi si è arrivati a quello che di fatto è diventato un esercito di professori universitari a partita Iva. Spesso hanno alzato la voce, protestano per ottenere che i compensi siano innalzati. Ma anche per chiedere al governo di superare tutte le attuali forme atipiche di insegnamento. VOLTARE PAGINA Per il momento dall'esecutivo gialloblù sono arrivate alcune promesse. «Serve un piano pluriennale per l'università e la ricerca. Innanzitutto occorre riflettere per migliorare il sistema di reclutamento in termini meritocratici, di trasparenza e di esigenza degli atenei», ha dichiarato in Parlamento il ministro dell'Istruzione, Marco Bussetti. «Abbiamo bisogno di accrescere il numero dei ricercatori e dei professori aumentando globalmente la dotazione organica», ha aggiunto. Nel frattempo i precari restano a guardare. Costretti ad accettare uno squilibrio fortissimo con i loro colleghi di ruolo. In termini economici, ma anche quantitativi. Basti pensare che attualmente i docenti associati e ordinari più i ricercatori di tipo «b», che hanno la strada avviata per la docenza, sono 50.020. Invece i ricercatori a tempo determinato, gli insegnanti precari, i borsisti post lau rea e gli assegnisti di ricerca sono 63.244. Fra loro, solo il 2% ogni anno ha la speranza di entrare. Nel frattempo cercano di andare avanti accumulando più corsi, pubblicando saggi, partecipando a convegni o facendo lavoretti che con l'insegnamento universitario non hanno nulla a che fare.