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Università, pochi soldi e sempre ai più ricchi

Deludente il decreto che stabilisce i finanziamenti ordinari per il prossimo anno accademico. L'aumento è solo nominale e con la scusa del merito aumentano le risorse destinate agli atenei che già se la passano meglio. L'emergenza covid avrebbe bisogno di ben altri interventi

25/09/2020
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Stefano Iucci

Università: sempre sottofinanziata e sempre (più) liberista. Neanche l’emergenza Covid sembra far cambiare idea su quelli che sono gli elementi costanti degli ultimi anni, almeno a partire dalla riforma Gelmini. Poco importa che l'Italia sia all’ultimo posto tra i 28 Paesi dell’Ue per risorse dedicate dell’università. Vince un’ideologia che, con il mantra del merito, alloca più soldi dove si è più ricchi, penalizzando in particolare soprattutto – ma non solo – le università del Sud. “Questa situazione – spiega Luca Scacchi, Flc Cgil nazionale – avrebbe dovuto indurre Miur e governo, nel quadro del più grande intervento pubblico della storia (oltre 100 miliardi in pochi mesi), a prevedere uno stanziamento eccezionale per le università. Sarebbe stato inoltre utile sospendere le logiche premiali dell’ultimo decennio e dotare gli atenei di maggiori risorse straordinarie per garantire una riapertura in sicurezza e per ridurre il rischio di rinuncia agli studi, come nel 2009-2011 (eliminando, o tagliando sostanzialmente, tasse e contributi studenteschi). Purtroppo non è stato così”. 

Quest’anno secondo lo schema di decreto appena presentato il Fondo di finanziamento ordinario delle università è di 7,8 miliardi di euro. Ci sarebbe un aumento nominale di 365 milioni di euro, ma 165 milioni sono destinati alla no tax area (e sono comunque pochi: appena il 10 per cento delle tasse universitarie pagate in Italia, tra le più alte in Europa) e dunque sono soldi che, seppur da altre tasse, sarebbero comunque entrati nelle casse degli atenei. Il resto è dovuto alla copertura economica del passaggio da triennale a biennale degli scatti docenti e per l’assunzione di nuovi ricercatori. Di fatto, commenta Scacchi, “non ci sono neanche le risorse straordinarie necessarie per gestire l’emergenza”. 

Non si tratta solo di una questione quantitativa, ma anche qualitativa. Come da dieci anni a questa parte e in un’ottica neoliberista, a calare è la quota base, quella che va a tutti (4,2 miliardi, -1,8 per cento) e a salire quella premiale (2,1 miliardi, + 8,1 per cento). Il trend è impressionante: oggi la quota base è il 54 per cento del fondo, 5 anni fa era addirittura il 72 per cento

L’aggravante, come detto, è legata al covid: “È stata un’estate segnata dall’emergenza pandemica – riprende il sindacalista –. In particolare, dopo la lunga sospensione delle attività in presenza, di fatto tutto il secondo semestre dell’anno accademico 2019-2020, gli Atenei devono organizzare la riapertura dei corsi in autunno. Diversamente da una certa narrazione, nelle università italiane non è andato proprio tutto bene”. Insomma, come per la scuola, ci sarebbe bisogno di investimenti straordinari e invece le poche risorse disponibili continuano ad affluire soprattutto verso gli atenei più ricchi e più grandi.

Conclude Scacchi: “Non possiamo che ribadire la necessità di cambiare passo e direzione. Serve difendere e rilanciare il sistema nazionale universitario, a partire da una ripresa sostanziale del finanziamento pubblico e da una sua diversa logica distributiva, e serve al Paese anche un grande investimento sul diritto allo studio universitario”. Su questo, “la Flc Cgil continuerà la propria azione nel prossimo autunno in tutta la comunità universitaria, cercando di avviare una mobilitazione in grado di sospingere questa inversione nelle politiche universitarie. Ora, prima che sia troppo tardi”.