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Dalla legge di stabilità briciole per il sistema universitario. Serve un radicale cambio di rotta

Il collasso dell’università è una grande e prioritaria questione nazionale a cui la legge di stabilità offre risposte inadeguate: indispensabile una mobilitazione vasta di soggetti, movimenti associazioni e istituzioni.

21/01/2016
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L’università italiana da anni vive una crisi profonda risultato di una politica pluriennale e trasversale di tagli finanziari come dimostrano tutti gli indicatori: dal calo progressivo degli immatricolati, all’aumento dei divari territoriali; dall’espulsione dei precari alla progressiva riduzione delle risorse per svolgere le attività di ricerca. La FLC CGIL insieme ad altre organizzazioni e movimenti ha rilanciato per questo una vertenza nazionale che pone al centro la funzione sociale dell’università, le prospettive di questa istituzione, la qualità del lavoro che in essa si svolge, la possibilità concreta che i meritevoli e privi di mezzi possano accedervi attraverso strumenti veri che garantiscano il diritto allo studio, le prospettive di migliaia di ricercatrici e ricercatori precari su cui oggi pesa gran parte del lavoro di ricerca e didattica e che sono a rischio di espulsione dal sistema.

Il collasso dell’università è una grande e prioritaria questione nazionale.
Questa situazione drammatica non è un accidente del destino. Piuttosto è la conseguenza di precise scelte politiche che sono state accompagnate da una campagna mediatica di denigrazione dell’università pubblica finalizzata a costruire le condizioni per un attacco diretto a questa istituzione attuato con i tagli del fondo ordinario e l’approvazione della legge 240/10.

Strumento privilegiato della politica di dismissione dell’università italiana è l’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR) per il ruolo abnorme che ha assunto e per le metodologie adottate nella valutazione la cui funzione originale è mutata da quella di incentivare il miglioramento del sistema a quella di legittimarne il progressivo ridimensionamento e controllare che l’applicazione degli strumenti di dismissione dell’università pubblica proceda celermente e correttamente.
Infatti, non esiste alcun progetto per l’università che non sia quello della riduzione delle sue articolazioni territoriali, del suo personale, dei suoi iscritti in particolare in alcune aree geografiche a partire dal Mezzogiorno ma non solo del Mezzogiorno a vantaggio di pochissimi atenei. In sostanza i tagli enormi di questi anni sono stati ridistribuiti in modo profondamente asimmetrico.

La legge di stabilità 2016 contiene alcuni interventi per l’università ma non rappresenta un’inversione di tendenza. Si inserisce piuttosto nel solco delle policy degli ultimi anni pur destinando poche risorse ad alcune parti del sistema.

Inadeguato risulta il finanziamento per il diritto allo studio che viene incrementato di 55 milioni di euro non sufficienti (ne sarebbero occorsi almeno 200) a coprire tutti gli idonei senza borsa.

Rimane, possibilmente peggiorata rispetto al testo uscito dal Senato, la norma sull’assunzione dei 500 “superprofessori” che crea una nuova figura derogando peraltro alle attuali norme sul reclutamento. Piuttosto che risolvere il pasticcio dell’abilitazione scientifica nazionale si crea l’ennesima corsia preferenziale per pochi.

Non si sblocca il turn over per tutte le figure ed è inadeguato il piano di assunzioni per ricercatori di tipo b). Inoltre la liberalizzazione degli rtd di tipo a) (per i soli atenei “virtuosi”), in costanza di limitazioni del turn over, produrrà l’effetto di incoraggiare gli atenei ad avvalersi di ricercatori precari - meno costosi e più governabili rispetto alle figure con tenure-track.

I ricercatori di tipo a) assunti non avranno concrete prospettive di entrare in tenure-track per la mancanza dei necessari punti organico.

Si prevede un mini piano di assunzioni per professori di prima fascia, ma il cui risultato appare farsesco alla luce dell’effetto prodotto: numeri risibili per alcuni atenei certamente nessuno per gli atenei più piccoli.

Il Fondo per il Finanziamento Ordinario viene incrementato di 25 milioni per il 2016 e di 30 per il 2017, ma questo incremento va sulla quota premiale acuendo le divaricazioni tra aree geografiche e settori disciplinari e verrà assorbito del riavvio del pagamento degli scatti stipendiali per i docenti dove verrà attribuito.

Rimane confermata la possibilità di istituire aziende sanitarie uniche incorporando le aziende ospedaliere-universitarie nelle aziende sanitarie locali, limitandola però alle Regioni a statuto speciale.

Viene prorogata la DIS-COLL per il 2016 ma si mantiene l’indecorosa esclusione da questa indennità di disoccupazione per assegnisti, borsisti e dottorandi, nonostante la commissione lavoro della Camera avesse approvato una norma di estensione.

Il nostro giudizio sulla misure contenute nella legge di stabilità rispetto alla quale avevamo presentato precisi emendamenti è quindi negativo anche perché a fronte delle modestissime risorse “stanziate” ben più ingenti finanziamenti vengono destinati alla riduzione delle tasse sulle imprese e a una moltitudine di incentivi per singoli settori frutto della pressione degli ambienti che questo governo privilegia.

Tutto ciò si accompagna alla scelta di destinare con un decreto di urgenza 80 milioni di euro a IIT per un nuovo insediamento di ricerca in un’area dell’Expo. Si tratta dell’ennesimo regalo ad un ente che gode di un trattamento privilegiato, essendo stato creato e finanziato direttamente dal Mef e che, rispetto alla sua missione originaria di supporto all’industria, non ha realizzato quasi nulla diventando piuttosto un ente di ricerca generalista ed una agenzia di finanziamento che gode di condizioni enormemente più favorevoli rispetto agli altri enti.
Risorse che sarebbe stato normale distribuire con un bando pubblico a cui avrebbero potuto partecipare molte istituzioni scientifiche che in questi anni al contrario di IIT hanno subito solo tagli.

È sempre più necessaria una mobilitazione di tutte le componenti dell’università per rimettere al centro la sua funzione sociale, la qualità del lavoro e il diritto allo studio.
In questo senso la FLC CGIL ritiene che tutte le forme di protesta a partire da quelle che contestano il ruolo che ha assunto l’Anvur a fronte del collasso del sistema universitario, utili a mantenere l’attenzione sulla questione, debbano esprimere un carattere rivendicativo generale – che guardi quindi all’insieme delle criticità che attraversano i nostri atenei – e capacità di aggregazione ampie tra tutte le componenti dell’università.
In particolare l’operato dell’Anvur, e le sue finalità, devono essere oggetto del rilancio di una iniziativa, che porti a una revisione del ruolo e del potere dell’Agenzia, anche attraverso un blocco reale dell’intero sistema universitario.
In ogni caso le adesioni a singole iniziative non possono diventare oggetto di censure e sanzioni disciplinari rispetto cui la FLC si opporrà in ogni sede.

L’emergenza salariale si pone per tutti i lavoratori dell’università.
L’irrisoria dotazione finanziaria per i rinnovi contrattuali, il blocco delle risorse per la contrattazione integrativa e la mancata risoluzione delle problematiche relative alla certificazione dei fondi per il salario accessorio sono un insulto a tutto il pubblico impiego e in particolare al personale contrattualizzato dell’Università le cui retribuzioni sono ferme al 2009. Ciò è aggravato dalle incursioni del Mef in molti atenei che nei fatti commissariano l’attività negoziale.
Gli scatti per la docenza - il cui sblocco era già previsto dal 2016 - sono ripartiti dal primo gennaio e, al termine del primo scatto utile verranno attribuiti sulla base di regolamenti di ateneo con criteri tutti ancora da scrivere e che dovrebbero contenere solamente le modalità di verifica dello svolgimento dei compiti attribuiti ai docenti e non essere ispirati alle modalità di valutazione Anvur. In questo caso diventerebbero strumenti di controllo, coercizione e contrapposizione interna con conseguenti effetti deleteri. Il rischio di un’enorme discrezionalità e di un’inaccettabile confusione tra remunerazione della prestazione e utilizzo di incentivi finalizzati alla produttività è fortissimo. A differenza di quanto accaduto per altri rapporti di lavoro non contrattualizzati è escluso il recupero di quanto fino ad oggi perso, così come è escluso il riconoscimento dell’anzianità maturata nel quadriennio di blocco. La risposta a questa condizione è fare coalizione intorno alle emergenze salariali in atto, e avanzare proposte condivise e partecipate per l’attribuzione degli scatti, fondate su elementi oggettivi e trasparenti.

Sul fronte dei salari si deve, quindi, mettere in campo una vertenza articolata che coinvolga direttamente gli atenei chiamando in causa la responsabilità degli organi di governo a partire da rettori e direttori generali. Non possono lavarsene le mani ma devono rendersi disponibili a trovare le soluzioni maggiormente favorevoli al personale tutto in funzione di una miglior qualità della formazione universitaria e attivarsi affinché il recupero delle risorse necessarie a remunerare il lavoro da parte del governo torni ad essere priorità.

I prossimi mesi saranno determinanti perché dovrà essere rilanciata una vertenza nazionale sul salario di tutti i lavoratori dell’università.
La Corte Costituzionale del resto ha già sanzionato il blocco dei salari nei settori pubblici evidenziando come non si può subordinare l’azione sindacale e negoziale a un presunto interesse generale.
Stiamo infine valutando anche nuove azioni legali a tutela del personale contrattualizzato e della docenza: il blocco della contrattazione decentrata è in contrasto con i contenuti della sentenza della Corte ed è palese la diversità di trattamento tra i docenti e altre categorie non contrattualizzate di dipendenti pubblici.

È necessario portare avanti con la determinazione che abbiamo dimostrato in questi mesi la vertenza sulla estensione della DIS-COLL agli assegnisti, ai dottorandi di ricerca e ai borsisti chiedendo ora una partecipazione attiva a tutte le altre componenti dell’università. Le affermazioni del Ministero del lavoro sulla natura di queste attività rappresentano un insulto per tutti. Sostenere che non abbiano diritto all’indennità di disoccupazione perché non sarebbero lavori richiede una risposta forte e partecipata. Serve in particolare una solidarietà attiva e una assunzione di responsabilità dei docenti e dei ricercatori strutturati ma serve altrettanto una risposta dei vertici dell’università ad iniziare dalla Conferenza dei Rettori.

In sostanza serve una nuova università partendo dalla ricostruzione degli spazi democratici conculcati dalla legge 240, dalle destinazione di risorse adeguate al funzionamento di tutti gli atenei, dalla realizzazione di un sistema di diritto allo studio dentro un sistema di welfare universale, dal riconoscimento della dignità del lavoro di tutti a partire dal salario e del diritto alla contrattazione delle condizioni di lavoro, dal rilancio di un reclutamento vero e dall’estensione dei diritti di cittadinanza a tutti i lavoratori.
Per realizzarla è necessaria una rete ampia di soggetti, movimenti associazioni e istituzioni.

Noi siamo in campo.