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Docenti ricercatori lettera inviata a La Repubblica dal sen. Manis.

In rete il testo completo della lettera inviata a La Repubblica dal sen. Manis.

16/02/1999
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Mettiamo in rete il testo completo della lettera inviata a La Repubblica dal sen. Manis.

A nostro sommesso giudizio, i tagli apportati (testo grassettato) non sembrano esclusivamente ispirati da esigenze giornalistiche di coincisione e chiarezza.

Ma questo si iscrive in una linea di assoluta continuità con la politica editoriale che da qualche anno caratterizza le opzioni "accademiche" di questo giornale.

Restiamo in fiduciosa attesa che anche la lettera inviata sul medesimo argomento dal nostro Segretario Generale sia pubblicata.

O no?
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Di tutto l'articolo dell'illustre accademico prof. Sabino Cassese, a mio modesto avviso non condivisibile, l'aspetto piu' sconcertante è costituito dalla sollecitazione che rivolge al governo affinchè richiami "all' ordine" le indisciplinate forze parlamentari di maggioranza, poichè avrebbero commesso la biricchinata di proporre una legge demagogica per l'istituzione della terza fascia della docenza universitaria.

Come può un giurista raffinato, peraltro già Ministro della Funzione Pubblica, dimenticare il principio costituzionale della sovranità del Parlamento a legiferare in piena libertà?

Si è trattato evidentemente di un incidente costituzionale cui è incorso Cassese, reso ancora piu' clamoroso dalla considerazione che il testo in discussione alla VII Commissione del Senato è sostenuto da tutte le forze politiche (maggioranza e opposizione) presenti a Palazzo Madama, che hanno approvato all'unanimità il testo unitario uscito dalla Commissione.

Già il titolo dell'articolo "promozioni di massa", tradisce la volontà tendenziosa di impressionare il lettore su operazioni squalificanti del Parlamento, quasi si trattasse, istituendo la terza fascia della docenza, di promuovere quale professore universitario il primo passante per l'Università.

In realtà, essendo Cassese un autorevole esponente dell'Accademia, egli sa bene, come sanno tutti i Senatori che hanno lavorato al progetto, che si tratta non di promuovere ma di prendere atto di una realtà già esistente: i docenti di fatto. I ricercatori da anni, ricoprendo supplenze, insegnamenti e quant'altro affine, costituiscono la struttura portante della didattica universitaria. Si provi a immaginare cosa accadrebbe se i circa ventimila interessati decidessero di incrociare le braccia, in quanto da troppi anni delusi e dunque frustrati e demotivati. Sarebbe la paralisi di tutto il sistema universitario italiano. E sta proprio qui una delle ambiguità di fondo della situazione di stallo del riassetto della docenza universitaria. Prendere atto della insufficienza numerica dei professori universitari rispetto alle reali necessità, promuovere quindi i ricercatori a status di docenti di fatto, utilizzarli per il sistema universitario del Paese, ed infine disconoscerne disinvoltamente la professionalità acquisita, liquidandoli, secondo il principio di chiara marca conservatrice, quali truppe graduate (sic!) non assimilabili ai generali promossi a seguito di un concorso nazionale che ha accertato la maturità scientifica. Verrebbe da chiedersi: ma non sono stati i generali ad avere riconosciuto sul campo i requisiti didattici per i quali è stato consentito ai ricercatori di salire in cattedra?

Ritengo che sarebbe stato piu' onesto riconoscere lo stato di collasso dell'Università italiana, anche alla luce delle acclarate esigenze di elevare il tasso culturale del Paese e sollecitare con forza provvedimenti di riforma del sistema, consistenti tra l'altro nell'attivazione di meccanismi concorsuali, snelli e trasparenti, tali da consentire l'ingresso nelle università di nuove energie caratterizzate dal merito culturale e dalla produttività didattica e scientifica. Viceversa assistiamo oggi ad una guerra di religione per una questione giuridica di riconoscimento di professionalità acquisita nel corso di anni e che, peraltro, non altera dal punto di vista economico la posizione apicale dei docenti ordinari e associati. Ma se così non è, poichè la casistica dimostra che tutti i tentativi di ammodernamento del sistema universitario , compreso quello della realizzazione della piena autonomia, hanno trovato insormontabili ostacoli quando si è giunti a porre in discussione favori e privilegi di una ristretta categoria di docenti (per esempio, la possibilità anche per gli associati ed i ricercatori di essere eletti preside di facoltà e rettore), è dovere del legislatore sanare una situazione esistente e gettare le premesse per un progetto successivo di riforma globale.

Avrei condiviso l'intervento del professore Cassese se avesse posto l'accento sull'aspetto focale della complessa problematica in questione: quale tipo di servizio formativo offre oggi l'Università italiana? Quale tipo di riforma per le nuove esigenze del sistema dell'alta formazione?

Credo che una delle valenze culturali del DDL oggi in discussione al Senato, consista nell'aver ricordato alle Facoltà il principio ineludibile della programmazione didattica, nonchè quello della ridistribuzione delle responsabilità cui anche i ricercatori, al pari degli associati e degli ordinari, dovranno sottoporsi per dovere professionale e non piu' per scelta personale.

L'Università italiana dovrà qualificarsi per un ampliamento della propria offerta formativa, armonizzando sempre piu' i propri curricula alle realtà universitarie dei nostri vicini europei.

Adolfo Manis
Senatore Gruppo Ri - Indipendenti