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Emergenza Coronavirus e problemi su avvio fase 2 nelle università

FLC CGIL, CISL FSUR, UIL Scuola Rua e SNALS Confsal Università mandano un importante documento al Ministro Manfredi.

12/05/2020
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Loghi unitari

Al Ministro dell’Università e della Ricerca
Ai Magnifici Rettori
Ai Direttori Generali


Oggetto: Emergenza Epidemiologica Covid-2019 - Fase 2 

Com’è noto con il DPCM 26.04.2020 sono state emanate le “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale”, dando avvio alla c.d. Fase 2 dell’emergenza epidemiologica.

Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID- 19 sull'intero territorio nazionale coerentemente con quanto previsto in precedenza, l’art.1, comma 1, lettera k) del suindicato DPCM stabilisce che “sono sospesi i servizi educativi per l'infanzia di cui all'art. 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, e le attività didattiche in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché la frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, comprese le Università e le Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani, nonché i corsi professionali e le attività formative svolte da altri enti pubblici, anche territoriali e locali e da soggetti privati, ferma in ogni caso la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza. Sono esclusi dalla sospensione i corsi di formazione specifica in medicina generale. I corsi per i medici in formazione specialistica e le attività dei tirocinanti delle professioni sanitarie e medica possono in ogni caso proseguire anche in modalità non in presenza. Al fine di mantenere il distanziamento sociale, è da
escludersi qualsiasi altra forma di aggregazione alternativa. Sono sospese le riunioni degli organi collegiali in presenza delle istituzioni scolastiche ed educative di ogni ordine e grado. Gli enti gestori provvedono ad assicurare la pulizia degli ambienti e gli adempimenti amministrativi e contabili concernenti i servizi educativi per l'infanzia richiamati, non facenti parte di circoli didattici o istituti comprensivi”.

La successiva lettera n) prevede, tra le altre cose, che “nelle università, nelle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e negli enti pubblici di ricerca possono essere svolti esami, tirocini, attività di ricerca e di laboratorio sperimentale e/o didattico ed esercitazioni, ed è altresì consentito l'utilizzo di biblioteche, a condizione che vi sia un'organizzazione degli spazi e del lavoro tale da ridurre al massimo il rischio di prossimità e di aggregazione e che vengano adottate misure organizzative di prevenzione e protezione, contestualizzate al settore della formazione superiore e della ricerca, anche avuto riguardo alle specifiche esigenze delle persone con disabilità, di cui al «Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV- 2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione» pubblicato dall'INAIL. Per le finalità di cui al precedente periodo, le università, le istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e gli enti pubblici di ricerca assicurano, ai sensi dell'art. 87, comma 1, lettera a), del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, la presenza del personale necessario allo svolgimento delle suddette attività”.

L’art.2, comma 1, ultimo periodo del DPCM 26.04.2020 prevede altresì che “per le pubbliche amministrazioni resta fermo quanto previsto dall'art. 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, e dall'art. 1 del” medesimo “decreto” e precisamente che “fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, conseguentemente ..... limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza, anche in ragione della gestione dell'emergenza”.

Ai sensi dell’art.9 del DPCM 26.04.2020, “il Prefetto competente territorialmente, informando preventivamente il Ministro dell'interno, assicura l'esecuzione delle misure di cui al” predetto “decreto” avvalendosi “delle forze di polizia, con il possibile concorso del corpo nazionale dei vigili del fuoco e, per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dell'ispettorato nazionale del lavoro e del comando carabinieri per la tutela del lavoro, nonché, ove occorra, delle forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali, dandone comunicazione al Presidente della regione e della provincia autonoma interessata”.

Ciò premesso, è doveroso, per quanto si dirà in seguito, evidenziare che condizione necessaria per poter svolgere le predette attività di cui alla lettera n) dell’art.1 del DPCM 26.04.2020 è l’adozione di un’organizzazione degli spazi e del lavoro tale da ridurre al massimo il rischio di prossimità e di aggregazione e che vengano adottate misure organizzative di prevenzione e protezione, contestualizzate al settore della formazione superiore e della ricerca, anche avuto riguardo alle specifiche esigenze delle persone con disabilità, di cui al «Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV- 2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione» pubblicato dall'INAIL.

Il predetto documento prevede due parti. La prima riguarda la predisposizione di una metodologia innovativa di valutazione integrata del rischio che tiene in considerazione il rischio di venire a contatto con fonti di contagio in occasione di lavoro, di prossimità connessa ai processi lavorativi, nonché l’impatto connesso al rischio di aggregazione sociale anche verso “terzi”. A tal riguardo è da tenere in particolare conto il diverso approccio che le Istituzioni universitarie dovranno avere nel caso dei Dipartimenti di Area Medica ove, evidentemente, il rischio assume una valenza sensibilmente maggiore per l’incidenza delle attività assistenziali inscindibili da quelle di didattica e di ricerca.

La seconda parte del documento INAIL è focalizzata sull’adozione di misure organizzative, di prevenzione e protezione, nonché di lotta all’insorgenza di focolai epidemici, anche in considerazione di quanto già contenuto nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” stipulato tra Governo e Parti sociali il 14 marzo 2020, così  come ridefinito in data 24.04.2020 (allegato n.6 al DPCM 26.04.2020) che stabilisce, in premessa, che “la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione” prevedendo, altresì, che “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza” fermo restando la possibilità di ricorrere al lavoro agile quale misura per garantire lo svolgimento delle attività, favorendo il contrasto e il contenimento della diffusione del virus.

Il predetto protocollo in particolare individua 13 campi, ciascuno con precise misure che il datore di lavoro è chiamato a porre in essere, da integrare con altre equivalenti o più incisive secondo le peculiarità della propria organizzazione, previa consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali.

Nel Pubblico Impiego le misure recate dal predetto Protocollo sono pienamente in linea con le indicazioni già fornite alle Amministrazioni con la direttiva n.2 del 12 marzo 2020 del Ministro per la Pubblica amministrazione, alla cui attuazione, devono adempiere tutte le Istituzioni pubbliche, ivi comprese le Università, unitamente alle circolare n.2 del 1° aprile 2020 dello stesso Ministro, limitando al minimo indispensabile la presenza negli uffici e adottando ogni idonea misura per la tutela della salute del proprio personale.

Quanto sopra per contemperare le esigenze di tutela della salute dei cittadini/utenti e dei cittadini/dipendenti, limitando al massimo anche ogni spostamento e le occasioni di assembramento e garantire nel contempo l’erogazione dei servizi ritenuti essenziali e indifferibili nell’attuale situazione di emergenza mediante lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile. Al fine di promuovere e agevolare il ricorso a misure necessarie a contenere la diffusione del contagio, mettere in sicurezza gli ambienti di lavoro e di accesso al pubblico e contestualmente garantire la continuità dei servizi e i livelli retributivi dei pubblici dipendenti che li prestano, è stato sottoscritto il 03.04.2020 il “Protocollo di accordo per la prevenzione e la sicurezza dei dipendenti pubblici in ordine all’emergenza sanitaria da “Covid-19”, che per quanto non espressamente previsto dalla normativa vigente, dai CCNL dei comparti e delle aree di contrattazione, nonché in coerenza con quanto previsto dalla direttiva n. 2/2020 e dalla circolare n. 2/2020 del Ministro per la pubblica amministrazione, dal DPCM 11 marzo 2020 e dal DPCM 22 marzo 2020, stabilisce, in particolare, che:

  • le amministrazioni promuovano modalità di comunicazione e confronto con le rappresentanze sindacali sui punti del protocollo al fine di condividere informazioni e azioni volte a contemperare la necessità di tutela del personale e dell’utenza, con quella di garantire l’erogazione di servizi pubblici essenziali e indifferibili;
  • le amministrazioni effettuano una rimodulazione dell’organizzazione del lavoro e degli uffici che consenta di ridurre la presenza del personale e dell’utenza e, a tal fine, anche con il ricorso alle modalità di comunicazione e confronto con le rappresentanze sindacali, le attività delle pubbliche amministrazioni sono ordinariamente svolte con modalità di lavoro agile;
  • le amministrazioni, ai fini della prosecuzione dell’attività amministrativa, garantiscono le più opportune condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro in cui le attività debbono essere svolte in presenza del personale;
  • che, laddove la capacità organizzativa delle amministrazioni e la natura della prestazione da erogare lo permetta, anche le attività e i servizi indifferibili sono il più possibile uniformemente resi da remoto, in modalità di lavoro agile o attraverso servizi informatici o telefonici e, laddove non possibile, l’erogazione di servizi al pubblico sia svolta con appuntamenti cadenzati in sede prevedendo che il personale, per adempiere alle proprie attività lavorative, sia dotato di adeguati DPI (dispositivi di protezione individuale) previsti dalla normativa e secondo le disposizioni delle competenti autorità in relazione alla specificità dei comparti e delle attività stesse, e che, nell’ambito della autonomia organizzativa, siano implementate azioni di sicurezza, anche di misura analoga a quelle riportate dal “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo 2020 rivisto, come detto in data 24 aprile.

Con riferimento al DPCM 26.04.2020, il Ministro per la Pubblica amministrazione ha fornito con la direttiva n.3 del 4 maggio 2020, ulteriori indicazioni circa le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa nell’evolversi della situazione epidemiologica da parte delle Pubbliche amministrazioni, confermando la vigenza nella c.d. Fase 2 dell’emergenza, delle disposizioni previste dall’art.87 del DL n.18/2020 concernenti il lavoro agile (notevolmente sostenuto con l’approvazione della Legge di conversione n.23/2020) e della circolare n.2/2020 che, tuttavia, in considerazione dell’ampliamento delle attività economiche (ATECO) non più soggette a sospensione, devono essere lette nel senso che, fermo restando il lavoro agile quale modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, le Pubbliche amministrazioni possono rivedere le attività indifferibili ampliando il novero di quelle individuate in prima battuta e quelle da rendere in presenza per assicurare il necessario supporto all’immediata ripresa delle attività produttive industriali e commerciali secondo quanto disposto dal DPCM 26.04.2020.

Pertanto le Amministrazioni che sono di supporto alla ripresa delle predette attività produttive possono considerare tra le attività indifferibili quelle rispetto alle quali le stesse Amministrazioni, per quanto di competenza, ricevono e danno seguito alle istanze e alle segnalazioni dei privati. Ciò potendo valutare, altresì, se tali attività possano essere svolte sia nella sede di lavoro - anche solo per alcune giornate, nel caso in cui il dipendente faccia parte del contingente minimo posto a presidio dell’ufficio - sia con modalità agile.

Con riferimento alle attività universitarie di cui alla richiamata lettera n) dell’art.1 del DPCM 26.04.2020, si ritiene che le stesse non rientrino tra quelle che possono essere di supporto alla ripresa delle attività produttive industriali e commerciali di cui alla richiamata direttiva n.3.

Per completezza d’informazione, tuttavia, si precisa che la direttiva, comunque, chiarisce che ove le fasi di riapertura dei settori e delle attività economiche rendessero necessario un ripensamento delle modalità organizzative e gestionali al fine di potenziare il ruolo propulsivo delle amministrazioni, queste dovranno assicurarne la compatibilità con la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

In relazione a quanto sopra e, in particolare, relativamente al rischio specifico e anche sulla base dell’integrazione al Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), le Amministrazioni devono individuare misure organizzative, di prevenzione e protezione adeguate al rischio di esposizione a SARS-COV-2, nell’ottica sia della tutela della salute dei lavoratori sia del rischio di aggregazione per la popolazione, coerentemente con i contenuti del documento tecnico “Ipotesi di rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” approvato dal CTS nella seduta n. 49 del 09.04.2020 e pubblicato da INAIL.

Tutto quanto sopra richiamato e rappresentato costituisce un “unicum” che deve guidare le Amministrazioni fino al termine dell’emergenza epidemiologica, non solo per contemperare la regolare continuità della propria funzione mai interrotta con la sicurezza dei lavoratori, ma per preservare il diritto alla salute di tutta la collettività.

È con riferimento al suddetto quadro normativo che a nostro avviso deve essere letta anche la nota del Ministero dell’Università e della Ricerca prot. n. 798 del 4 maggio 2020 con la quale, evidentemente, si voleva fornire al Sistema Universitario un indirizzo per avviare una programmazione condivisa e coordinata delle azioni da intraprendere per la fase 2 e la fase 3 dell’emergenza epidemiologica, pur richiamando il rispetto delle specificità dei contesti di riferimento e della autonomia delle singole istituzioni, chiarendo che, “il principio a cui ispirare la nuova programmazione delle attività deve essere quello di contemperare la sicurezza sanitaria con il pieno svolgimento di tutte le attività didattiche e di ricerca, avvalendosi dell’ausilio delle tecnologie digitali e di ogni altra modalità organizzativa, che il Governo e le autorità competenti fisseranno. Questo principio deve essere, declinato, secondo quattro direttrici prioritarie:
A. garantire la sicurezza degli studenti, del personale docente e ricercatore e del personale tecnico amministrativo, nel pieno rispetto delle più specifiche prescrizioni che in materia verranno assunte dal Governo e dalle autorità competenti;
B. assicurare la continuità della formazione e della didattica, affinché nessuno studente sia pregiudicato dalla emergenza in atto, e tenendo conto delle specifiche esigenze degli studenti con disabilità o DSA;
C. garantire un regolare sviluppo e svolgimento dell’attività di ricerca a tutti i livelli e di ogni ambito scientifico, con specifica attenzione anche ai giovani ricercatori ed ai dottorandi di ricerca;
D. assicurare le esigenze collegate ai territori di appartenenza, ai contesti di riferimento, alle specificità dei differenti modelli organizzativi e delle diverse discipline, alla disponibilità delle dotazioni infrastrutturali e alla numerosità di studenti, docenti e ricercatori, nonché del personale tecnico amministrativo”.

Nell’incontro sindacale tenutosi il 5 maggio, relativamente alla predetta nota inviata il 4 maggio alle amministrazioni vigilate, ricordiamo che è stato ulteriormente specificato:
1) La riapertura delle attività è subordinata alla verifica della sicurezza sanitaria, avendo come riferimento il documento tecnico “Ipotesi di rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” approvato dal CTS nella seduta n. 49 del 09.04.2020 e pubblicato da INAIL.
2) Nella gestione dell’emergenza è fondamentale un rapporto stretto con le rappresentanze del personale e pertanto rispetto alle misure da intraprendere, le amministrazioni devono realizzare preventivamente il confronto con le O.S. e la RSU verificandone successivamente l’applicazione e l’efficacia.

Rispetto agli obiettivi programmatici che sono stati indicati, da realizzarsi in ogni caso nel rispetto di tutte le previsioni normative richiamate nella presente, dobbiamo purtroppo registrare che molte Istituzioni universitarie hanno frainteso la funzione di indirizzo della predetta nota ministeriale, adottando in molti casi provvedimenti con immediata efficacia che anticipano soluzioni organizzative che prevederebbero la presenza in servizio del
personale o parte di esso, già a partire dall’inizio della fase 2, non per assolvere ad attività indifferibili, bensì per svolgere ad attività ordinarie. Attività, che ricordiamo, attualmente vanno garantite in modalità agile come prescritto dall’art.87 del DL n.18/2020.

Queste discutibili e gravi scelte organizzative possono esporre i lavoratori e l’utenza esterna a forti rischi e sono spesso state adottate in difetto del preventivo confronto con le parti sociali, in taluni casi negato seppur richiesto ripetutamente, sia per quanto attiene ai temi dell’organizzazione del lavoro nei vari aspetti richiamati dalla norma, dai protocolli sottoscritti dal Governo e dalle Parti Sociali, nonché prescritti da direttive, circolari e ordinanze ministeriali, sia sui temi della sicurezza, della prevenzione e protezione ove mancherebbe oltre al coinvolgimento delle OOSS territoriali, quello dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza anche per la semplice revisione del Documento di Valutazione dei Rischi.

In molti Atenei, inoltre, non sarebbero state adottate ancore tutte le misure prescritte in tema di sicurezza, prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro, in taluni casi richiedendo ai lavoratori autocertificazioni sostitute di obbligazioni proprie del datore di lavoro.

É stato segnalato, altresì, che i piani programmatici adottati da questi Atenei sarebbero già efficaci pur in assenza dell’adozione delle misure di prevenzione, protezione e sicurezza così come non sarebbero state ancora definite preventivamente e formalmente le attività indifferibili da prestare in presenza, richiedendo comunque la presenza in servizio del personale (o parte di esso) per svolgere attività ordinarie che potrebbero essere svolte in modalità agile come fatto fino ad oggi con ottimi risultati anche in termini sensibile riduzione dei costi.

Consapevoli del rischio a cui molte Istituzioni potrebbero esporre il personale e conseguentemente la collettività in questa delicata fase dell’emergenza epidemiologica, si ritiene necessario, laddove non si receda da tali atti o si verifichino ulteriori casi di mancato rispetto delle previsioni normative, dei protocolli Governo-Sindacati, del documento INAIL, delle direttive, delle circolari e delle ordinanze ministeriali citate nella presente o che saranno emanate in seguito o, comunque, non richiamate ma di interesse per la sicurezza, prevenzione e protezione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che siano le lavoratrici e i lavoratori anche mediante le parti sociali, a richiedere all’Amministrazione la certificazione, per tutti gli aspetti civili e penali, dell’assolvimento degli adempimenti in materia di sicurezza, prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro, con indicazione dei nominativi dei responsabili sia a livello di Amministrazione che di singolo luogo di lavoro, a cui i lavoratori stessi potranno fare riferimento qualora, chiamati a svolgere attività in presenza nel proprio ufficio, dovessero riscontrare criticità in merito alla tutela del propri diritti.

Resta inteso che qualora ciò non sia stato fatto ancora, è necessario che le Amministrazioni convochino le parti sociali su tutte le materie richiamate dalla disciplina menzionata nella presente nota. Non di meno, alla luce dei protocolli già concordati, emergono ampie e incomprensibili differenze relativamente a molti aspetti delle misure di sicurezza sanitaria adottate (distanza di sicurezza, tempistica dei cicli di pulizia e sanificazione, rilevamento della temperatura corporea, quarantena dei libri, autocertificazioni richieste ai dipendenti) che non sembrano essere in alcun modo riconducibili alle specificità dei territori o dei singoli atenei e pertanto è opinione delle scriventi che sia opportuno concordare a livello nazionale un protocollo sulla fase 2 che dia alle Amministrazioni indirizzi più stringenti e puntuali rispetto agli adempimenti, anche di carattere procedurale, che le amministrazioni devono adottare.

Certi della più ampia disponibilità a definire percorsi condivisi nel comune interesse di garantire il massimo contrasto alla pandemia in atto e le più ampie tutele ai lavoratori nell’interesse della collettività.