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Il Sole 24 ore: E per i professori si annuncia il raddoppio delle ore di lezione.

Nella solita corsa al comodo "omnibus" dei collegati alla Finanziaria ha tentato di inserirsi anche il ministro dell'Università, con una definizione normativa del "ruolo docente".

30/10/1999
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di Paolo Pombeni

Nella solita corsa al comodo "omnibus" dei collegati alla Finanziaria ha tentato di inserirsi anche il ministro dell'Università, con una definizione normativa del "ruolo docente". Una sistemazione attesa, poiché l'accavallarsi delle riforme aveva creato non pochi problemi di gestione, cui si erano aggiunte le polemiche populistiche contro i professori pagati molto per lavorare poco. Al momento non è affatto certo che il ministro riuscirà nel suo intento. Anzi, se dobbiamo giudicare dal documento di sintesi finale dei lavori di un'apposita commissione, ne dubitiamo.
La nuova normativa cerca innanzitutto di ridefinire le tre fasce: stabilendo con chiarezza la posizione apicale che spetta ai professori di prima fascia (ordinari) e dettando qualche principio sull'accesso al ruolo dei ricercatori (il dottorato, più altri tre anni di borsa di addestramento alla didattica e alla ricerca). Vi è poi un passaggio che farà molto discutere. Si incrementa il carico di lavoro didattico dei docenti: per tutti vi sono 120 ore annue di insegnamento frontale, cioè di "corsi". In pratica si tratta di un raddoppio dell'attuale impegno, che però potrà trovare anche strade diverse da quel "secondo corso" che molti auspicavano come panacea.
Almeno il 50% di questo impegno dovrà svolgersi in corsi "di primo livello". E ciò sembrerebbe risolvere il problema del "3+2". In poche parole, ogni professore farà due corsi, uno nel triennio e uno nel biennio successivo. La norma è generale, e ciò significa che tutti hanno diritto alla "promozione". Così forse non dovrebbe essere, perché sulle allocazioni del docente giudicherà qualcuno, anche se non si sa chi: l'ateneo, la facoltà o qualcun altro, che però non è chiaro come potrà agire.
E questo dà la stura a una girandola di revisioni fantasmagoriche. Stabilito che il docente debba lavorare molto in tutti i campi, didattica, ricerca, partecipazione agli organi (si ventila un numero cabalistico di 1.500 ore annue), ci si imbatte nei tre nodi duri del rapporto con la docenza: presenza, tempo pieno, stipendio.
Come accertare la prima non si sa bene. Si abolisce finalmente l'assurdo "obbligo di residenza" (tranquillamente eluso) a favore di un impegno di presenza oraria. Molti atenei però non hanno studi, biblioteche e laboratori a sufficienza per contenere i docenti soprattutto nelle facoltà umanistiche.
Sull'opzione tempo pieno e tempo definito, anch'essa oggi in discussione, si propone in sostanza di lasciare agli atenei una contrattazione su come consentire attività extra universitarie e come mutare di conseguenza la posizione dei docenti: una cosa che, immaginata come ipotesi concreta, è sufficiente a togliere il sonno a chi sa come funzionerebbero queste cose negli atenei.
Sul trattamento economico, infine, ci si lancia nelle proposte più varie. Una, relativamente ragionevole ma di complessa attuazione, prevede lo stipendio con una parte fissa più una parte accessoria che retribuisce gli altri impegni, dai ruoli di gestione alla ricerca, più un'ulteriore parte di "incentivi". Altre ipotesi prevedono contratti di diritto privato con ogni singolo docente, in modo da personalizzare tutti i trattamenti. Infine, si ventila la proposta di abolire gli scatti di anzianità, da sostituirsi con scatti periodici da attribuire sulla base di giudizi di "non demerito" (testuale!). Che cosa potrà ricavare il ministro da proposte tanto confuse?