Seminario Nazionale sulla Formazione Professionale

  • 17:15

    Enrico Panini, Segretario Generale della FLC Cgil chiude i lavori della giornata. Di seguito la sintesi del suo intervento.

    "La Formazione Professionale è da tempo presente all’attenzione della CGIL. Il seminario è stato pensato da tempo e l’avevamo fissato per oggi pensando ad una giornata “tranquilla”. Invece, oggi c’è stata questa grande manifestazione di docenti universitari e ricercatori precari e di studenti. Quindi siamo di fronte ad una giornata particolarmente importante. In ogni caso cerchiamo di precedere la quotidianità: la Segreteria ha già deciso un convegno per gennaio su sapere, istruzione e lavoro, prima di andare al Congresso nazionale che dal 15 al 18 febbraio dovrà fare il punto anche su questo aspetto. Abbiamo avuto oggi presenze di rilievo, dovute al fatto che questo è un classico tema di intreccio con la confederazione, anzi è confederale a tutto tondo.

    Noi volevamo e vogliamo fare il contratto dei lavoratori della formazione professionale. Siamo disponibili su ciò ad ascoltare tutte le ragioni dei lavoratori ma non quelle di chi vuole praticare, come intendono fare molti enti, l’ennesimo rinvio della contrattazione. Respingiamo l’ipotesi che i problemi che nascono possano essere attribuiti alla scelta della CGIL per l’innalzamento dell’obbligo a 18 anni. Anche in una prospettiva di questo genere la CGIL è intenzionata a non lasciare nessuno in mezzo alla strada, ma è anche decisa a non essere subordinata ad un buonsensismo tecnocratico che vede soluzioni già a portata di mano.

    Vogliamo ragionare di merito:

    - aprire un tavolo vero con le Regioni

    - affrontare la questione degli accreditamenti;

    - affrontare i processi sul mercato del lavoro.

    La Formazione Professionale va riportata alla sua funzione originaria, tanto più oggi che assistiamo a forti cambiamenti nella fase produttiva. Questi pongono un blocco di questioni che vanno affrontate se non si vuole finire in un cul de sac in cui a pagare sono i lavoratori.

    Moratti ha devastato il sistema, nulla è più come prima e non possiamo pensare che passata lei si ricominci come se niente fosse. Ci manca una lettura critica dell’integrazione alla luce del nuovo contesto. Il tema della cultura del lavoro riguarda la Formazione Professionale ma anche la scuola e il lavoro. Le condizioni, di fatto, sono cambiate.

    Il Congresso della CGIL sarà complesso ma assumerà delle decisioni e saranno decisioni serie. La scelta è:

    - ricostruire il paese;

    - mettere al centro lavoro e sapere;

    - portare l’obbligo a 16 anni subito e a 18 entro la legislatura;

    - affrontare il mercato del lavoro;

    - dare in tutto ciò un ruolo alla Formazione Professionale.

    E si parte dal dato che sono cambiati i tempi per l’apprendimento per i ragazzi, è cambiato il mercato del lavoro, i saperi sono essenziali per la democrazia e c’è una crisi di partecipazione ai percorsi di apprendimento tra i 16 e i 18 anni. Tante delle perplessità che oggi ci sono sull’innalzamento dell’obbligo sono analoghe a quelle che ci furono sulla scuola media unica. Oggi abbiamo l’autonomia scolastica che può e deve essere lo strumento per lottare contro l’esclusione.

    Bisognerà fare un giro di assemblee, praticare l’intervento con la CGIL nelle diverse sedi, arrivare ad una manifestazione nazionale unitaria della Formazione Professionale che dia visibilità al problema.

  • 16:15

    Proseguono gli interventi dei partecipanti ai lavori. Di seguito le sintesi.

    Patrizia Venturini, Segretaria regionale CGIL Umbria

    “Affermare che si deve andare all’obbligo scolastico fino a 18 anni, obbliga che in questo paese non si potrà lavorare fino a quella età.

    È questa la nostra posizione o ci convincono le proposte della CGIL elaborate nel convegno “Oltre la Legge 30”?. Certamente questo paese non ha bisogno di manodopera dequalificata, quindi mi convince l’allungamento del percorso formativo funzionale ad un nuovo modello di sviluppo, ma sul momento dell’accesso al lavoro non possiamo essere ambigui. La società deve sapere dove si disloca un pezzo del mercato del lavoro così importante.

    Altri nodi dobbiamo chiarire: quando il giovane matura la sua formazione professionale, quando acquisisce le competenze per poter lavorare e dove le acquisisce. Siamo convinti che la Formazione Professionale debba intervenire solo dopo i 18 anni oppure deve farlo sempre un momento prima dell’ingresso nel mondo del lavoro? Se ipotizziamo questo è evidente che lo Stato debba garantire a tutti questa opportunità per l’accesso al mondo del lavoro, con risorse nazionali certe. Strategico diventa il ruolo dei Centri per l’impiego. Le qualifiche professionali dovrebbero essere rilasciate esclusivamente dalla Formazione Professionale. Vedo l’integrazione nel triennio come un arricchimento del percorso di istruzione, come consapevolezza dei diversi stili di apprendimento e delle diverse intelligenze. I percorsi sperimentali attuati in Umbria hanno visto il 99% dei giovani scegliere dopo due anni il percorso scolastico. Si può lavorare con le proprie specificità e ruoli insieme per concorrere alla valorizzazione e al successo dei nostri giovani”.

    Ilaria Lani, Esecutivo nazionale della Formazione Professionale per la Toscana

    La formazione continua, la formazione professionale nel corso degli anni sono state poco prese in considerazione e forse per questo motivo delegate alle regioni.

    Costruire un sistema formativo vuol dire individuare gli obiettivi del sistema, le materie su cui intervenire sono i finanziamenti, la certificazione, gli accreditamenti. La certificazione è importante anche rispetto a come si interviene nei modelli di formazione continua. Gli obiettivi del sistema si diversificano anche rispetto ai progetti definiti dalla regioni. Non c’è concorrenza, nessun incentivo alla qualità per come sono definiti i sistemi, bisogna intervenire con sistemi di qualità più trasparenti e che rispondano a standards formativi qualitativi certi.

    Un altro problema da affrontare è quello delle tipologie contrattuali, non spre condivisibili, utilizzate dagli enti formativi.

    Nando Di Lauro, Dipartimento mercato del lavoro CGIL Lombardia

    Oggi la FLC ha fatto una proposta coraggiosa, è un progetto sostenibile e condivisibile, ma bisogna verificare se è praticabile, realizzabile. Quattro sono i punti critici di discussione:

    - sistema nazionale: anche se sotto l’aspetto giuridico è fattibile, bisogna capire se a tale sistema professionale gli si attribuisce un ruolo istituzionale;

    - status dei formatori: ragioniamo sui titoli o sulle competenze; dobbiamo considerare che abbiamo una preponderanza di competenze rispetto ai titoli;

    - soggetti privati: società, enti di formazione, associazioni; soggetti di varie ispirazioni;

    - rapporto tra istruzione professionale e formazione professionale: l’istruzione professionale non deve occuparsi delle qualifiche professionali che diventano di esclusiva competenza di una formazione professionale nazionale.

    Oggi sul tappeto abbiamo molteplici problemi: uno per tutti è la bilateralità; la capacità formativa delle imprese, la certificazione, le qualifiche professionali. Le aziende tendono a portare dalla loro parte sia la formazione per gli addestramenti che le stesse certificazioni.

    Giovanni Lo Cicero, Esecutivo Nazionale Formazione Professionale - Responsabile regionale Sicilia

    La Costituzione repubblicana fonda la repubblica sul lavoro, la cultura del lavoro deve pertanto entrare nei percorsi di istruzione e formazione. E un modo per farla entrare intutti i percorsi formativi e dell'istruzione è attraverso la formazione professionale, o anche attraverso modelli di integrazione che usino le modalità proprie della formazione professionale.

    Anche innalzando l'obbligo prima a 16 e poi a 18 anni, vanno pensati percorsi di integrazione. Questo sia per ridurre il rischio di dispersione, sia perchè, a partire dall'assunto costituzionale,la cultura del lavoro arricchisce ogni percorso formativo ed è utile e necessaria alla costruzione di un cittadino a tutto tondo.

    Inoltre nella integrazione dei percorsi, utilizzando le metodologie e gli approcci propri della Formazione professionale, vanno messe al servizio dell'istruzione tutte quelle competenze di sistema in ambito orientativo che sono presenti nella Formazione professionale. E questo soprattutto a parttire dagli snodi di transizione, per ridurre ulteriormente il rischio della dispersione e dell'abbandono che corrono molti giovani. I percorsi di integrazione non possono naturalmente essere la sola attività della Formazione professionale che, invece, deve prevalentemente occuparsi di Formazione per il lavoro, nel lavoro e sul lavoro, ma questo obiettivo può essere raggiunto soltanto se si prevedono percorsi consentano il conseguimento della qualifica e l'accesso al lavoro solo attraverso moduli formativi di una qualche consistenza, offerti come opportunità dal sistema di formazione professionale.

  • 15:45

    Interviene Fulvio Fammoni – Segretario Nazionale CGIL

    "Abbiamo affrontato un percorso lungo che ha trovato sbocco nella proposta complessiva di tutta la confederazione, dai documenti della categoria fino alle tesi congressuali confederali, che mai come oggi hanno valorizzato i temi della formazione, dell’istruzione e della ricerca.

    Questo perché il modello di sviluppo prefigurato dalla Cgil per il Paese non può essere che basato sulla conoscenza. Le nostre proposte provocano però alcune preoccupazioni, perciò abbiamo l’obbligo di essere espliciti, di risolverle dal punto di vista delle persone che rappresentiamo, ma anche di risolverle dal punto di vista del merito ed allora sorgono alcuni ostacoli concreti.

    Bisogna introdurre elementi di credibilità su un terreno che è di possibile divaricazione con quelle forze sociali che potrebbero sostenere il nostro modello di sviluppo.

    Vi sono certamente due ordini di problemi: se non si cambiasse la legge 53 vi sarebbe un danno sostanziale. L’altro è il problema delle risorse. Se non si risolve la questione del reperimento delle risorse il problema è ben più pesante ed è aggravato dall’allargamento dell’UE, e dai tempi di acquisizione.

    La prima cosa di cui c’è bisogno è lo stanziamento di risorse dedicate.

    La seconda è una controparte datoriale più rappresentativa.

    La proposta di un contratto di comparto è importante, ma si scontra con la difficoltà di identificare la controparte nell’attuale frammentarietà.

    Ciò non è indifferente per l’idea di sistema nazionale di cui si è dibattuto.

    Importante è il ruolo delle regioni, che per questa materia sono controparte naturale. Oggi,nel confronto con loro la situazione sembra volgere positivamente, ma il peso di regioni popolose come la Lombardia, la Sicilia e il Veneto incide negativamente.

    Per questo il confronto con le regioni non è ancora approdato ad una sintesi che sia soddisfacente e garantista per noi.

    Nel merito di alcune questioni specifiche, riteniamo necessario entrare su quelle dell’accreditamento che va certamente rivisto, anche se non può essere cancellato, perché la situazione attuale vede oggi in gran parte privati che usano risorse pubbliche.

    Bisogna però rivederlo, consapevoli che farlo può provocare ricadute sui lavoratori, affrontadolo come un percorso di riconversione produttiva.

    Serve la certezza della riallocazione produttiva e lo sviluppo di azioni che introducano più conoscenza nei percorsi per l’accesso al lavoro, per la formazione nel lavoro e sul lavoro.

    Vanno sviluppati i percorsi d’IFTS, di formazione continua e permanente, la formazione per gli operatori della Pubblica Amministrazione allargata.

    Vanno identificati e sviluppati ammortizzatori sociali che permettano il transito tra una situazione e l’altra, per gestire la fase di transizione.

    Sul contratto Scozzaro ha detto molto, ma bisogna prestare attenzione a non introdurre elementi di rigidità contingentando il ricorso alle prestazioni atipiche, semmai vanno introdotte maggiori tutele per tutto il personale.

    La difficoltà di avviare il tavolo contrattuale sconta anche la nostra diversa concezione della bilateralità, in particolare rispetto alla formazione.

    Concludendo, certamente la formazione professionale deve mantenere pari dignità culturale nei confronti dell’istruzione, la cui riforma non può essere effettuata senza il coinvolgimento diretto dei lavoratori che vi operano.

    Rispondo comunque alla domanda posta nella relazione di Maria Brigida: la formazione professionale è un settore da abbandonare? Certamente NO, ma non così come la prefigura la Moratti nella Legge 53!."

  • 15:00

    Di seguito la sintesi di altri interventi da parte dei partecipanti al seminario

    Carmine Cirella, del Molise.

    “Sull’art.117 si registra un atteggiamento nuovo, forse un errore l’esclusiva competenza della F.P. alle regioni.

    Dobbiamo delineare quindi un nuovo sistema della F.P. e la CGIL deve stare in prima fila.

    La sfida è tra il sistema che c’è e il sistema che vogliamo.

    L’innovazione deve vedere protagonista la F.P., in realtà ciò non sta avvenendo anche se la F.P. ha dato grandi contributi alle politiche attive del lavoro, ma sostanzialmente è rimasta come era 10 anni fa.

    La CGIL può dare un contributo determinante al nuovo sistema perché ragiona tenendo conto della sfera globale dei diritti di cittadinanza, partendo da questo si può dire che il sistema è veramente nazionale senza però dimenticare che il nuovo sistema non può prescindere dall’avere un CCNL, senza il CCNL non ci può essere il sistema. Non facciamo prima la “riforma” della F.P e poi il CCNL, si partirebbe con il piede sbagliato”.

    Franca Cecchini, della Toscana.

    “Doveva essere presente Giacomo Gambino - dirigente servizio Formazione e lavoro della regione Toscana -, lo si dovrà risentire assolutamente.

    In Toscana c’è un sistema di accreditamento collaudato che può entrare in crisi per la mancanza di risorse FSE visto i 1850 enti accreditati.

    Dobbiamo avviare anche un processo per i contratti di riallineamento applicando il più possibile il CCNL della F.P.

    Stiamo anche lavorando su un nuovo manuale di gestione.

    Sull’accreditamento: o si fa una revisione a monte o altrimenti tutto a bando.

    Sulle agenzie formative: privilegiamo quelle con le parti sociali o tutte hanno pari dignità e pari opportunità?

    Anche sul pubblico si deve sapere che ciò non significa automaticamente che la gestione è tutta pubblica, ma può anche essere mista.

    Sull’integrazione non si può prescindere dalla necessità di riformare l’attuale scuola superiore prima di ipotizzare un qualsiasi modello”.

    Pino Patroncini - FLC Nazionale

    Stamattina sono stati posti paletti chiari su cosa deve fare la F.P: sono quelli indicati da

    Maria Brigida. Ma poi la discussione verte continuamente sui confini tra F.P. e scuola statale.

    Questa discussione però assume toni molto concreti quando si discute su cosa si debba intendere per F.P in un modello integrato, ad es. nel triennio eventuale: una cosa è certa la F.P. non può essere un surrogato dell’alternanza scuola lavoro in un modello di scuola a tempo parziale.

    Accreditamento: es. della Lombardia, cosa facciamo per escludere dall’accreditamento tutti coloro che impropriamente si sono inseriti nel sistema con le maglie larghe sinora previste? Non ho sentito alcuna proposta concreta in tal senso.

  • 14:30

    I lavori riprendono con il contributo di Fabrizio Dacrema, responsabile Dipartimento Formazione della CGIL, che ha sottolineato la necessità del rilancio del settore e dell'elaborazione di una proposta per il suo sviluppo.

    Scarica le schede

  • 13:30

    Pausa dei lavori.

  • 13:00

    Interviene Claudio Treves, Responsabile Dipartimento Mercato del Lavoro della Cgil. Di seguito i punti principali del suo intervento.

    A) D’accordo sulla necessità di un quadro nazionale di riferimento per la FP; da questo punto di vista dobbiamo dare un’interpretazione del Titolo V in cui i livelli essenziali non siano i livelli minimi di prestazione, ma appunto quelli essenziali. Altrimenti ci potremmo trovare di fronte ad un quadro che non elimina la frammentazione: da questo punto di vista l’esperienza che stiamo conducendo con il coordinamento delle Regioni in tema di apprendistato professionalizzante può rappresentare un esempio utile;

    B) Ci sono due ulteriori strumenti da sottolineare in questo contesto, la previsione legislativa di un Repertorio nazionale delle professioni e l’inizio della sperimentazione del libretto formativo. Proprio l’intreccio tra il riconoscimento delle esperienze di formazione e di lavoro può portarci alla richiesta di un sistema nazionale di riconoscimento delle qualifiche, che superi l’attuale stato della legislazione: Regioni in ordine sparso con logiche significativamente divergenti (profili Isfol o Sistemi regionali delle qualifiche?) con esiti rilevanti anche sui sistemi contrattuali di inquadramento;

    a. Capacità formativa dell’impresa tema non sciolto né tra le Regioni né tra le parti sociali; idem dicasi per la definizione di “formazione formale” (cfr. vicende del mancato avviso comune tra le parti sull’apprendistato)

    C) Autonomia finanziaria: attenzione alla prospettiva certa di riduzione del FSE, dovuta alla ridiscussione del bilancio comunitario anche come conseguenza dell’allargamento;

    D) Tutto questo richiama un approfondimento della nostra idea di “obbligo scolastico” fino a 18 anni, e un posizionamento della formazione professionale come sistema che interfaccia il lavoro, sia come ingresso che come successive fasi di aggiornamento, e garantisce di evitare l’idea della formazione come semplice affiancamento oppure come scuola per svantaggiati (cfr. i dati drammatici sulla dispersione anche degli apprendisti!);

    E) Ciò comporta quindi un sistema della Fp che sappia rispondere anche a modalità nuove di svolgimento, che sappia contrastare la fuga dei giovani e il disinteresse delle famiglie e delle imprese;

    F) In questo contesto la nostra proposta di pulitura delle tipologie contrattuali a causa mista con la indicazione di un solo “contratto a finalità formativa” di durata inferiore a quanto previsto oggi per l’apprendistato perché successivo e complementare all’elevazione almeno a 16 anni dell’obbligo d’istruzione è coerente con la proposta complessiva della Cgil;

    G) Governare la prossima fase transitoria significa ragionare su criteri rigorosi di accreditamento ma al contempo di misure universali di ammortizzatori sociali

  • 12:15

    Alle relazioni e ai contributi sono seguiti alcuni interventi dei partecipanti ai lavori, di seguito le sintesi.

    Wolfango Pirelli, Segretario generale FLC Lombardia

    “Si mantiene la promessa della FLC di affrontare le questioni sulla F.P in particolare dopo l’elaborazione dei documenti congressuali. Ci vuole una risposta alta che tenga conto delle esigenze elaborate dalle tesi ma anche delle aspettative dei singoli operatori della formazione professionale.

    Apprezzabile la provocazione sull’ipotesi che le qualifiche professionali divengano esclusiva prerogativa della F.P., apprezzabile se questa provocazione significa aprire una discussione seria sul ruolo e la funzione dell’istruzione professionale statale all’interno della nostra organizzazione.

    Ma se la FLC apre seriamente la discussione sull’identità di questo sistema e sulla sua visibilità non può non affrontare la questione dell’integrazione con la scuola statale anche nel biennio unitario e non solo nel triennio, ma sapendo esattamente cosa deve fare la F.P.

    In Lombardia la discussione è aperta anche se l’integrazione nel biennio unitario non sarebbe strutturale perché la titolarità verrebbe mantenuta senza alcun dubbio dalla scuola statale.

    Bisogna poi trovare un non facile equilibrio tra i Livelli essenziali delle prestazioni nazionali e ciò che viene richiesto ai formatori dal punto di vista professionale per essere considerati tali: attenzione perché questi requisiti minimi potrebbero limitare la platea attuale dei formatori, anche in Lombardia.

    Anche sulla questione riguardante la Gestione pubblico-privato bisogna andare cauti: se ciò avvenisse in Lombardia, le carenze sarebbero superiori ai vantaggi. Ciò che si richiede è una forte presa di responsabilità di governo di indirizzo ed orientamento del sistema.

    Adesso vi è la necessità di affrontare l’emergenza ma apriremo un grande confronto politico sui possibili sistemi della F.P. in Lombardia”.

    Filomena Trizio, Segretaria regionale Cgil Puglia

    “Partiamo subito dalla legge 53: nel nostro contesto sociale pugliese è totalmente anacronistica in particolare il 2° canale non legge affatto la complessità del sociale quotidiano.

    Anche la F.P è stata ricacciata nel passato su una formazione di base forse valida negli anni 50’, ma che oggi la marginalizza ulteriormente perché viene costretta a sostituire la scuola.

    In Puglia, poi, può essere definita una malaformazione perché non solo è ancorata sulla formazione di base ma anche perchè sconta la scarsa considerazione che l’opinione pubblica ha degli operatori associati ingiustamente alle questioni di malaffare che l’ha caratterizzata in questi ultimi anni.

    Non solo, si è anche avviata una destrutturazione totale del sistema che è stata sostituito da un totale spontaneismo del tutto impreparato alla nuova sfida che la FLC vuole lanciare.

    Sono stata tentata dall’ipotesi di dire che la F.P. non serve ma poi l’intervento della Poggi ha aperto nuove prospettive.

    Dove ricollocare la FP? Il riposizionamento non può che essere sul lavoro. In Puglia spendibile sulla funzione di orientamento in particolare nei centri territoriali per l’impiego, ma come rendere le figure F.P qualificanti anche sulla formazione continua e sulle procedure complessive riguardanti le politiche attive del lavoro?

    L’integrazione con la scuola è possibile su due punti: primo impatto lavorativo per gli studenti con tirocini anche se rivisti; status di formatore correlato ad un nuovo accreditamento che superi quello attuale.

    Problema della regionalizzazione: praticabile se si prevede un ruolo di protagonismo delle province”.

  • 11:30

    Interviene Giusto Scozzaro, responsabile nazionale dell'Esecutivo della Formazione Professionale FLC Cgil, il quale sottolinea come il seminario di oggi intenda segnare un passo in avanti nella nostra elaborazione congressuale sul comparto che è al centro dello scontro sociale in atto, e che ha messo in discussione le proposte della CGIL contenute nel patto per il lavoro del 1996 e nel patto per l’occupazione del 1998.

    Il nostro progetto, prosegue Scozzaro, tenta di affrancare la formazione professionale da quel ruolo di subalternità, ora alla scuola ora al lavoro, che da sempre le opposte tifoserie gli hanno assegnato. Vogliamo costruire un sistema nazionale di formazione professionale con una sua identità, con un suo ruolo e con la sua autonomia; un sistema visibile e identificabile con la qualifica professionale che deve essere una sua esclusiva prerogativa.

    Il settore attraversa una fase di crisi dovuta anche alle scelte sbagliate delle Regioni sulle sperimentazioni triennali, con minacce di licenziamenti di centinaia di lavoratori in Sardegna, Lombardia e Veneto senza copertura sociale. Bisogna estendere gli ammortizzatori sociali anche a questo comparto che è soggetto a continui cambiamenti dell’offerta formativa e quindi soggetto a continui adeguamenti delle professionalità dei lavoratori. Anche per questo occorre aprire insieme a CGIL, CISL e UIL una vertenza nazionale sulla formazione professionale .

    Le Regioni devono rivedere i dispositivi di accreditamento delle strutture formative con clausole stringenti sull’applicazione del contratto nazionale della formazione professionale. Inoltre, devono garantire una formazione professionale che costituisca un’attività di interesse pubblico e sociale per l’accesso al lavoro e svolgere ruolo politico attraverso un loro “protagonismo sindacale” in una gestione delle risorse che non è neutra rispetto agli istituti contrattuali e visto che gli operatori sono pagati interamente con queste. Un sistema di formazione professionale per il lavoro e nel lavoro ha bisogno di una regia nazionale delle strategie di sviluppo locale, ha bisogno della certezza delle risorse per diventare una opportunità per chi vuole entrare dopo l’obbligo scolastico nel mondo del lavoro. Non può basarsi su finanziamenti aleatori o sussidiari e su riduzioni costanti del costo del lavoro che portano inevitabilmente ad abbassamento di qualità e ad una precarietà selvaggia.

    Insieme a CISL e UIL scuola è stato elaborato un documento unitario per avviare la fase negoziale per il rinnovo contrattuale e aprire un confronto con il Coordinamento delle Regioni sull’accreditamento, sulle risorse finanziarie, sulle crisi regionali e gli ammortizzatori sociali, sul ruolo delle regioni nella contrattazione, sulle qualifiche professionali e la certificazione dei crediti.

    Rilanciamo la proposta di aprire subito il negoziato per il rinnovo contrattuale a partire dalla definizione di un protocollo politico di riferimento e dagli aumenti salariali.

    La prossima piattaforma contrattuale dovrà affrontare alcune priorità: il trattamento economico e la valorizzazione professionale, l’allargamento delle tutele per il lavoro non subordinato, la previdenza integrativa, le salvaguardie occupazionali, l’orario di lavoro, i diritti sindacali e la rappresentanza, la contrattazione regionale e la bilateralità.

    Scarica la relazione integrale

  • 11:00

    Porta il suo contributo Anna Maria Poggi, docente dell'Università di Torino la quale ha riflettuto sulla domanda se è sostenibile un sistema nazionale di formazione professionale.

    La prof. Anna Maria Poggi risponde senza esitazione che non solo un sistema di formazione professionale nazionale è sostenibile, ma che rispetto al diritto dei cittadini e rispetto al principio giuridico delle prestazioni essenziali, l'ipotesi sulla quale è stata chiamata a rispondere sia addirittura un obbligo.

    Tale obbligo deriva dal prinicpio dell'aterritorialità dei diritti che non possono essere soggetti alle varie declinazioni regionali ma devono essere garantiti a tutti. I livelli essenziali delle prestazioni rispondono a questa esigenza. La Corte Costituzionale ha affermato che i LEP e gli standards del servizio non sono di competenza regionale ma nazionale. Spetta invece alle regioni, che conoscono i bisogni del territorio, hanno i rapporti con le imprese e le università, definire i modelli di gestione e organizzativi nel rispetto degli standards e dei LEP. Gli standards permettono di armonizzare i diritti dell'utenza con le possibilità di offerta. I LEP, che non sono i livelli minimi delle prestazioni, definiscono i diritti dei destinatari della formazione. Essi riguardano i diritti di:

    1)accesso;

    2)tutela;

    3)qualità della prestazione;

    4)titoli spendibili su tutto il territorio nazionale;

    5) titoli di accesso dei formatori definiti a livello nazionale.

    6) crediti riconosciuti a livello nazionale.

    Il modello di organizzazione di gestione spetta dunque alle regioni, atteso che valutazione (ci vuole un sistema nazionale), crediti, titoli, standards, prestazioni fanno parte di un quadro normativo da definire nazionalmente. Tutto ciò si ricava dal testo costituzionale, dove poi vada collocata l'istruzione/formazione professionale è campo di legislazione concorrente, fermo restando che l'istruzione è di competenza dello Stato e la formazione professionale delle regioni.