Convegno FLC Cgil - CGIL Piemonte: "L'Identità europea: Una sfida da promuovere - Una disciplina da apprendere" - Seconda giornata

  • 12:00

    Terminati gli interventi si apre la Tavola rotonda sul tema " Sistema formativo e politiche attive per educare alla cittadinanza europea" moderata da Alberto Artioli, Responsabile politiche della conoscenza CGIL Piemonte.

    Partecipano alla Tavola rotonda Paolo Garbarino, Rettore dell'Università del Piemonte Orientale; Giovanna Pentenero, Assessore all'Istruzione e Formazione della Regione Piemonte; Nunzia del Vento, Presidente Asapi (Associazione scuole autonome del Piemonte); Vincenzo Scudiere, Segretario Generale CGIL Piemonte; Francesc De Sanctis, Direttore Regionale per l'Istruzione del Piemonte; Gabriella Giorgetti, Centro Nazionale FLC Cgil.

    Alberto Artioli propone l'argomento della discussione: " Il convegno di oggi ha scombinato le mie letture sull'identità europea; l'identità forse è un male necessario, ha aspetti contradditori, marca una appartenenza e sottolinea delle differenze; almeno alcune questioni l'Europa sul fronte della cittadinanza, le sta affrontando, alcuni passi avanti forti sono stati fatti nel cammino della costruzione europea".

    Garbarino Paolo ( Rettore Università del Piemonte Orientale)

    L’università del Piemonte Orientale (Alessandria – Vercelli – Novara) ha dovuto affrontare il problema dell’internazionalizzazione cercando di staccarsi dall’Università di Torino.

    Sono tre i punti su cui porre l’attenzione:

    1) l’università del Piemonte Orientale fa emergere una domanda che altrimenti non ci sarebbe stata; ha su tutta l’Italia (fonte Almalaurea) i dati agli estremi delle categorie rispetto agli studenti con:

    • nessun genitore laureato: 35% degli iscritti;

    • entrambi i genitori laureati:3% degli iscritti.

    2) il problema non risiede nel settore della ricerca: non c’è ricerca senza internazionalizzazione . Il problema da risolvere è portare l’internazionalizzazione nella didattica , fra gli studenti. L’Erasmus è un buon strumento ma gli importi delle borse di studio sono troppo esigui. Se lo studente non ha una famiglia alle spalle in grado di contribuire non riesce a partecipare al progetto. L’università ha deciso di raddoppiare il contributo attraverso lo stanziamento di proprie risorse ma non è ancora sufficiente; quindi gli studenti rinunciano ad effettuare questa esperienza formativa perché non hanno la possibilità economica di vivere all’estero per alcuni mesi.

    3) Assoluta carenza di posti nei collegi non permette di far diventare queste 3 città poli universitari internazionali come sono Pavia, Camerino o Urbino.

    In Piemonte abbiamo fra le migliori università italiane (sia grosse, sia tecniche e sia piccole) ma nelle indagini statistiche otteniamo sempre i risultati più bassi per i servizi offerti agli studenti.

    Del Vento Nunzia ( Presidente ASAPI)

    Oggi si è parlato molto di università tralasciando però un pezzo importante del sistema formativo che va dalla scuola per l’infanzia alle scuole superiori.
    L’internazionalizzazione esiste già nelle nostre scuole.
    Ad esempio nella mia scuola il 50% degli allievi è straniero e di questi però il 50% sono nati a Torino – quindi cos’è la cittadinanza?
    Quali sono gli ostacoli all’interno delle scuole che non permettono di arrivare ad un effettivo “plurilinguismo”?

    1. la mancanza di Formazione plurilingue di tutti gli operatori a partire dai collaboratori scolastici sino ad arrivare ai docenti;

    2. la riforma Moratti che ha cancellato tutte le lingue per favorire solo la “I” dell’inglese;

    3. la maggior parte del precariato della scuola si concentra sulle lingue straniere.

    4. mancano risorse per le nuove lingue (orientali e asiatiche) perché senza conoscenza della lingua non può esserci confronto fra le culture.

    5. e necessario che nelle scuole si cominci nuovamente a ragionare su obiettivi a medio lungo termine e non solo più su progetti

    De Sanctis Francesco ( Direttore Regionale per l’istruzione del Piemonte)

    Torino è una grande città in cui l’impegno per l’integrazione e per l’educazione alla cittadinanza è continuo.
    Torino è stata scelta come sede di un progetto per lo sviluppo dell’educazione alla cittadinanza.
    Torino è anche, però, la città dove ci sono insediamenti degli stranieri che insistono sugli stessi luoghi: noi non possiamo consentire la formazione di classi ghetto e non possiamo permettere che parlino tra loro all’interno della scuola un'altra lingua che non sia l’italiano.
    L’iniziativa “Un pallone di speranza” non deve essere episodica ma deve diventare uno strumento che aiuti a risolvere il problema dell’integrazione e serva ad educare alla cittadinanza.

    Pentenero Giovanna ( Assessore all’istruzione e Formazione della Regione Piemonte)

    Sono otto le competenze chiave che stanno all’interno della Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio per l’apprendimento permanente e se le leggiamo attentamente ci rendiamo conto che sono utilizzabili fin dalla scuola dell’infanzia.
    Quella che mi sta più a cuore è “Apprendere ad Apprendere”.
    Per questo è necessario lavorare su due grandi temi

    • processo di formazione dei nostri insegnanti

    • sulla loro valutazione.

    Entrambi non sono competenze che attengono alla regione.
    La nostra regione non immagina 21 sistemi scolastici diversi ma 21 risposte diverse del sistema scolastico ai problemi che vengono dal territorio.
    Dobbiamo smettere di fare pubblicità negativa alle scuole (enfatizzando i fatti di cronaca) e incominciare a valorizzare le esperienze positive.

    Scudiere Vincenzo ( Segretario Generale CGIL Piemonte)

    Se il Ministro della Pubblica Istruzione si ricorda populisticamente che gli insegnanti guadagnano in media 1500 euro al mese (contro una media europea di 2500 euro) ma poi no propone nessuna soluzione.
    Se il lavoratore è pensato come uno strumento: usato all’occorrenza e poi abbandonato ; è logico che non si usino i tanti soldi che già sono stati messi a disposizione per la formazione permanente.
    Se tutti i giovani del paese non hanno la stessa capacità di studiare: la colpa di chi è?
    Dei professori? Dei genitori? Della società?
    Se chiediamo ai professori è dei genitori; se chiediamo ai genitori è dei professori e se chiediamo alla società è del governo!!!
    Il solito cane che si morde la coda senza proporre o trovare soluzioni.
    Il Sindacato non è un isola felice:è esattamente l’altra faccia della medaglia.
    Dove c’è un impresa autoritaria c’è un sindacato conflittuale.
    Dove c’è un impresa dialogante c’è un sindacato dialogante.
    Dove c’è un paese che non funziona c’è un sindacato che si arrampica per denunciare come ad esempio la questione salariale da noi denunciata molto tempo fa e ora tutti ne parlano.
    Il sindacato europeo deve smettere di essere solo la somma dei diversi sindacati nazionali e dare una grande risposta attraverso un’azione comune sui diritti a livello europeo.

    Giorgetti Gabriella ( Esperta di sistemi scolastici FLC Cgil Nazionale)

    Io normalmente penso sempre positivo ma voglio portarvi tre esempi del perché in questo caso mi viene difficile farlo:

    1. Per cercare di raggiungere gli obiettivi fissati nella strategia di Lisbona nel 2010 sono stati formati nel 2005 dei gruppi di lavoro a livello europeo: fino allo scorso anno l’Italia non vi partecipava e no certo perché li aveva già raggiunti;

    2. indagine PISA: in quasi tutti i paesi nordici i risultati dell’indagine hanno provocato profonde discussioni sul perché; da noi ci siamo limitati ad apprenderli dai giornali e a sorridere delle differenze regionali;

    3. ogni anno tutti i paesi sono obbligati a comunicare i risultati intermedi per il raggiungimento dei target fissati dalla strategia di Lisbona: per quanto riguarda l’Italia sono reperibili solo sul sito dell’OCSE e solo in lingua inglese. Questo per spiegare quanto poco si condivida il processo con le parti sociali e quanto poco si faccia per correggerci.

    La mobilità come strumento per combattere il localismo: in Europa si vede solo più la paura del diverso.
    Se vogliamo fare degli studenti europei dobbiamo fare anche degli insegnanti europei. Quindi è importante aprire il dibattito sulla formazione dei docenti non trascurando però tutto quello che su questo tema è già stato fatto a livello europeo.

    Termina la Tavola rotonda ed anche il Convegno

  • 11:20

    Interviene Stefano A. E. Leoni, Conservatorio di Musica "G.Verdi" Torino - La Musa, Laboratorio di Musica e Sociologia delle arti IMES, Facoltà di Sociologia, Università degli studi di Urbino.

    "L’Europa ha conosciuto più di una fase identitaria dal punto di vista dei linguaggi e degli stili musicali, ma forse soltanto in termini di identità di classe; la storia, come storia della musica, è naturalmente storia solo di una porzione elitaria della produzione e consumo della musica, variabile in termini di appartenza sociale, religiosa, etnica, di genere, di censo o di classe, appunto.

    Probabilmente, mentre oggi occorre ripensare in termini critici ai termini stessi di nazione, di coscienza nazionale e di Stato, riflettendo sulla statuarietà ancora assai imperfetta dell’Europa, ma ancor più sulla precaria “appartenenza” ad una Nazione europea intesa come un insieme di persone che hanno in comune la lingua, le usanze, la cultura, la religione, la storia, si può anche riscoprire, con le dovute cautele, l’identità europea a partire dalla musica, da un passato universalistico. Non si vuole naturalmente riprendere le fila della vexata quaestio sull’individualità o universalità del linguaggio musicale, né discutere sulla legittimità stessa dell’allocuzione “linguaggio musicale”.

    Forse la questione supera l’aspetto identirario, quello di una spasmodica ricerca di radici comuni, di storie in parallelo, per chiarirsi, ancor più oggi, con l’assunzione del molteplice come dato vincente. Evidentemente anche a partire dalle identità.

    L’idea di identità, dal punto di vista della musica, è un fatto psicologico nutrito di una forte componente sociale; sempre e ovunque la musica, il fare e l’ascoltare, l’amare l’una musica o l’altra, è un’attività che, al tempo stesso, ci accomuna a qualcuno e ci separa da qualcun altro, sempre ed ovunque. E’ un modo di chiarire a noi stessi e a chi ci osserva chi siamo o pensiamo di essere, o desideriamo essere; con chi o che cosa, con che “cultura” ci identifichiamo e con chi o con che cosa invece non desideriamo confonderci.

    In un recente scritto, Elita Maule, sulla scorta delle prezione indicazioni in questo senso che Mario Baroni ha prodotto negli ultimi anni, ha fissato quale “macro-obiettivo” dell’insegnamento della musica e delle discipline storico-musicali nella scuola il “saper ascoltare”.

    In quest’ottica, le finalità socioeducative della studio della storia musicale vengono sintetizzate così: a) riconquista del senso di appartenza e delle identità storico-culturali delle nostre comunità; b) apprezzamento, tutela, valorizzazione dei patrimoni ambientali e storico-artistici; c) educare alla tolleranza, alla convivenza, al rispetto dell’ “altro” musicale.

    L’aspetto caratteristico dell’approccio musicale all’“altro” è probabilmente dovuto alla non superficialità della lettura musicale, alla sua non diagonalità: alla necessità di un certo approfondimento critico e al problema delle ruolizzazioni (autore-opera/ esecutore/ pubblico) e dell’essere, il musicista, il più delle volte, un mediatore d’eccellenza. Per questo la sana inserzione del molteplice (attraverso l’indeterminazione, per esempio) operatasi nella cultura musicale novecentesca ha contribuito alla potente ridefinizione dei ruoli.

    Si parte come semplici uditori, si diventa ascoltatori.

    “Udire è un fenomeno fisiologico; ascoltare è un atto psicologico. E’ possibile descrivere le condizioni fisiche dell’audizione (i suoi meccanismi) facendo ricorso all’acustica e alla fisiologia dell’udito; l’ascolto, invece, può essere descritto soltanto a partire dal suo oggetto, ovvero , se si preferisce, dal suo obiettivo”, dice Roland Barthes, e Gadamer chiude il suo L’eredità dell’Europa con queste parole: “Prestare ascolto a ogni voce, e lasciare che ci dica qualcosa: questo è l’arduo compito che ogni uomo trova di fronte a sé. Ognuno ha il dovere di ricordarsene, ma ricordarlo a tutti, e con argomenti persuasivi, è il compito proprio della filosofia”."

    Scarica il testo integrale della relazione

  • 10:45

    Gli interventi proseguono con Ruggero Druetta, Ricercatore Università di Torino Facoltà di Economia, sez. lingue straniere.

    "All’interno di un quadro sociale di progressiva integrazione tra popolazioni di origine diversa sul suolo europeo, le istituzioni comunitarie si sono dotate ormai da tempo di strumenti teorici e normativi volti alla promozione del plurilinguismo come scelta consapevole e strumento reale di integrazione e cittadinanza. L’apprendimento di almeno due lingue comunitarie oltre alla propria lingua madre, in un contesto di formazione permanente, è la base minima di questo percorso in cui la conoscenza diffusa è posta al centro dello sviluppo dell’intera società.

    L’università si trova all’intersezione tra tutti questi imperativi, efficacemente sintetizzati dall’agenda di Lisbona: essa ha di fatto un ruolo chiave sui versanti della conoscenza, della formazione permanente e dell’insegnamento linguistico, in una fase della vita in cui le giovani generazioni terminano la loro formazione iniziale e si affacciano alla vita attiva. L’educazione al plurilinguismo da parte dell’università, pertanto, non è solamente funzionale, ma diventa elemento qualificante di un progetto formativo complessivo che prevede l’incontro scevro da pregiudizi, il confronto critico e il rifiuto del pensiero unico come metodo di lavoro.

    L’intervento intende mettere in rilievo le potenzialità e le contraddizioni dell’insegnamento universitario delle lingue quale viene oggi praticato in Italia."

    Scarica il testo integrale della relazione

  • 10:10

    Vai alla web cronaca della prima giornata

    I lavori del Convegno " L'identità europea: una sfida da promuovere, una disciplina da apprendere " riprendono con l'intervento di Marcello Pierini, Direttore Centro Europe Direct Marche, Cattedra Universitaria Jean Monnet in European Law, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

    "Buongiorno, ringrazio la FLC nazionale e Joelle Casa, a cui faccio i complimenti per l'iniziativa, che se continuata dovrebbe essere un modello da imitare ed esportare.

    Il 29 ottobre 2004 i 25 paesi dell'UE firmano il trattato che istituisce una Costituzione Europea, che tuttavia viene bocciato dai cittadini francesi e olandesi nel giugno 2006, mentre l'Italia lo approva; oggi ci dovrebbe essere la ratifica da parte dell'Irlanda.

    Il processo era iniziato, dopo la convenzione di Laeken, con la firma del Trattato di Nizza nel dicembre 2002, trattato nato male che lasciava in sospeso molte questioni non risolte, con una sopravvalutazione del peso di Polonia e Spagna, la natura della Costituzione non è definitiva. Giscard d'Estaing, come presidente della Commissione costituzionale, vice Giuliano Amato, varano nel 2006 il testo della Costituzione; la Conferenza intergovernativa apporta piccole e non sostanziali modifiche. Crea discussione il conservare l'unanimità su alcuni temi; è importante che una costituzione sia frutto non della scelta di uno stato, ma di un livello più alto e più ampio. E' un testo unico che sostituisce i trattati precedenti, dà personalità giuridica dell'Unione, viene creata la figura di un Ministro degli esteri con particolari prerogative, le sedute del Consiglio sono pubbliche, c'è un rafforzamento del ruolo dei parlamenti nazionali, prevista l'iniziativa legislativa popolare e la generalizzazione della procedura legislativa del parlamento, ridotto il diritto di veto su oltre 50 materie, si rafforza il primato dell'Unione europea, le cui direttive diventano leggi quadro, Decisa infine la introduzione di maggioranze qualificate nel Consiglio, una ripartizione più chiara delle competenze di stati e unione europea.

    Oggi si spera in una entrata in vigore dal 1° gennaio 2009, visto che con l'Irlanda 14 paesi avranno ratificato questa Carta, dopo che, sacrificando molti aspetti, il Consiglio europeo informale di Lisbona approva il nuovo trattato nel dicembre 2007, per accogliere le preoccupazioni, ad es. di inglesi e polacchi.

    Quali le conseguenze? I due precedenti trattati vengono subordinati, quali trattati serventi del nuovo testo, con i suoi 61 protocolli, il TUE diventa un trattato di rango superiore. Molto però è stato sacrificato: eliminata ogni riferimento alla Costituzione, ma anche termini giuridici come legge e legge quadro, eliminata la bandiera, il giorno della festa dell'EU, cancellato l'Inno alla gioia di Beethoven, scompare anche la carta dei diritti fondamentali.

    Ma un articolo conferisce valore giuridico alla Carta di Nizza del dicembre 2002. Resta la preoccupazione di alcuni che sia comunque un vincolo troppo forte. Si mantiene la Presidenza Europea del Consiglio, le cui istituzioni diventano sette. Il presidente del Consiglio europeo (massimo 2 mandati, 5 anni) viene affiancato da una una figura bicefala, vicepresidente della commissione europea, che funge da ministro degli esteri, l'Alto rappresentante della politica europea nel mondo. Dal 2014 la Commissione diventerà forse più snella, la procedura legislativa europea viene mantenuta. Il principio di sussidiarietà viene rafforzato. La maggioranza qualificata con la fine del sistema unanimismo (basta il 55% del consenso di stati membri che rappresentino il 65% della popolazione) è un grosso progresso. La Polonia, nota dolente, ha ottenuto di posticipare l'entrata in vigore di questa maggioranza al 2014. Il voto unanime resta per materie come fisco, politica sociale, revisione dei trattati e politica estera. Compare una clausola di uscita, che prima non c'era. L'unione ha personalità giuridica. Fra le nuove competenze: una politica comune in campo energetico, compreso il problema climatico, sport, turismo, una politica comune monetaria ed economica.

    Barroso sostiene che per tre ragioni serve il trattato di Lisbona: rendere l'UE più efficiente, aumentare la partecipazione democratica e la trasparenza, accrescere il peso dell'Europa nel mondo.

    E' il miglior trattato che si poteva avere in queste circostanze, in un momento difficile, che rende difficile ai cittadini di individuare nell'Europa lo strumento di soluzione dei propri problemi. Barroso è noto solo al 12% degli italiani, c'è una crisi di immagine. Ma il processo va avanti."

    Scarica il testo integrale della relazione

    Scarica le diapositive