Convegno nazionale "Per un curriculum interculturale. Se non ora, quando?" - Prima giornata

  • 11:10

    Catia Brunelli, d ocente Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino.
    Didattica della Geografia in una scuola interculturale

    Abstract

    Oggigiorno la realtà scolastica risulta attraversata da una sostanziale trasformazione: gran parte delle sue componenti nevralgiche avvertono l'esigenza di ridefinirsi in base ai mutati contesti socio-culturali e alle inedite istanze della modernità.

    Questa necessità riguarda anche le discipline, che si interrogano su quale sia la loro mission educativa in una società che si profila sempre più complessa, non solo per l'incremento costante delle presenze alloctone.
    Per i temi e gli ambiti di competenza che le sono peculiari, la geografia, al pari di altre discipline, intende partecipare fattivamente a questa operazione di generale ridefinizione e ciò al fine di individuare modalità e strategie più idonee alle mutate esigenze formative attuali. E invero, data la posizione di indubbia marginalità che la disciplina ricopre nell'ambito scolastico, essa trarrebbe certo vantaggio da una messa in discussione delle sue impostazioni didattiche più tradizionali.
    Tuttavia, tale anelito si trova a dover fare i conti con un apparato di provvedimenti legislativi che sembra più interessato a ribadire l'accessorietà della geografia che a dimostrarsi favorevole ad un suo rinnovamento. Le recenti manovre, più o meno esplicite, dirette ad un'ulteriore riduzione dell'orario riservato all'insegnamento della disciplina, non rappresentano che uno degli esempi delle scelte che hanno ulteriormente aggravato la sua situazione nella scuola.

    Tutto, insomma, indurrebbe a ritenere improbabile che la geografia possa riappropriarsi della centralità che occupa all'interno della formazione dell'individuo; e, ancor più remota risulta l'ipotesi che si creino condizioni idonee perché essa possa contribuire efficacemente a veicolare il messaggio interculturale, che pur le è particolarmente congeniale.
    La sfida che deve cogliere la geografia, allora, è doppia e le impone non solo di ridefinirsi in base ai nuovi contesti e alle mutate esigenze, ma anche di riscattarsi da quanti credono sempre meno nelle sue valenze educative. Si tratta, insomma, di convertire le numerose criticità che sembrano accerchiarla in punti su cui far leva per un rinnovamento del suo curricolo che ne interessi sia la dimensione esplicita che quella implicita.
    Ed è proprio sulla modalità di tradurre questi impedimenti - apparentemente insormontabili - in componenti di un nuovo paradigma di insegnamento geografico che intende concentrarsi la presente comunicazione.
    La prospettiva adottata è di natura propositiva: la consapevolezza dell'importanza di supportare le riflessioni teoriche effettuate in prima battuta con la declinazione delle stesse in prassi d'aula motiva il ricorso all'illustrazione di alcune applicazioni educativo-didattiche particolarmente significative.

    Scarica le slide

  • 10:35

    Il programma della giornata entra nel vivo degli interventi con una serie di comunicazioni di cui pubblicheremo dei brevi abstract.

    Ernesto Perillo, Associazione Clio 92.
    Didattica della storia in dimensione interculturale

    Abstract

    (…) L'oggetto della storia è per sua natura l'uomo. O meglio: gli uomini.

    A una scienza del diverso si addice infatti meglio del singolare, favorevole all'astrazione, il plurale, che è il modo grammaticale della relatività (1).

    Queste considerazioni del grande storico francese Marc Bloch riassumono in fondo il senso e la sfida della storia insegnata: passare dalla storia alle storie, ad altre storie.

    Il punto di partenza è la consapevolezza critica di quel particolare "format" del racconto del passato che chiamiamo storia generale scolastica. Secondo l'idea più diffusa, la storia insegnata, infatti, è il racconto del passato in modo cronologicamente lineare, una sorta di genealogia ininterrotta che lega il tempo presente all'antichità? Il soggetto di questa idea di storia è lo stato nazionale, lo scopo quello della ricerca delle origini e della costruzione di una irripetibile identità. E sapere la storia sarebbe quindi possedere una enciclopedia che consenta ai parlanti di usare una lingua comune per comprendere rappresentazioni condivise, pronunciare e capire discorsi sul passato.

    Possiamo mettere in discussione questo canone, la sua legalità esclusiva e al tempo stesso parziale, per immaginare e praticare un'altra storia? In che modo la dimensione interculturale diventa un aspetto decisivo del curricolo della storia di tutti?

    La relazione cerca di rispondere a queste domande a partire dalla riflessione sulla didattica della storia, dalle sensate esperienze e dalle ricerche realizzate in questi anni da docenti e studenti.

    Non si tratta di aggiungere alla lista dei temi altre conoscenze e ulteriori informazioni, affollando e rendendo ancora più ingovernabile e alla fine inutile la costruzione del sapere storico degli studenti. Il compito è quello di immaginare un'altra storia che sappia usare formati e sistemi di conoscenze diversi, adeguati ai livelli cognitivi e affettivi degli studenti dei vari ordini di scuola, in grado di fornire strumenti e competenze per leggere la complessità del presente, le molte storie e trasformazioni che ne hanno caratterizzato il passato. Una storia insegnata e appresa come scoperta delle dimensioni spazio-temporali della vicenda umana e laboratorio per elaborare le differenze.

    La dimensione interculturale mette in discussione il canone tradizionale della storia insegnata e, inoltre, pone domande sulle stesse modalità di produzione del discorso storico e sul "furto della storia" compiuto dall'Occidente. Si ritorna alla storia come scienza del plurale cui ci richiama M. Bloch.

    "Pensare il tempo - afferma Marc Augé (2) - rappresenta oggi una sfida e una necessità. Una sfida perché ogni cosa ci suggerisce o vuole farci credere che viviamo in un sistema che si colloca definitivamente fuori della storia. Una necessità, perché il tema della fine della storia, che nega la speranza ai tanti esclusi del sistema globale oggi esistente, è portatore di tutte le violenze."

    La storia, anche quella insegnata, può e deve assumersi questo compito.

    1. M. Bloch, Apologia della storia o mestiere dello storico, Einuadi, Torino, 1969 (1950)
    2. M. Augé, Che fine ha fatto il futuro? Dai nonluoghi al nontempo, Eleuthera, Milano, 2009 (2008)

  • 10:10

    Il primo intervento è quello di Gennaro Lopez, Vice Presidente Nazionale "Proteo Fare Sapere", che introduce i lavori della giornata, osservando che in questo appuntamento si discuterà di educazione interculturale per affrontare con un approccio scientifico il fenomeno dell'immigrazione.

    Nel 2007, l'Osservatorio istituito dal Miur, ha presentato un documento intitolato: "La via italiana per la scuola interculturale e l'integrazione degli alunni stranieri". In questo documento si assume la diversità come paradigma dell'identità stessa della scuola nel pluralismo.

    L'educazione interculturale attraversa tutti i saperi e si intreccia con l'educazione ai valori costitutivi della democrazia, quindi a temi attuali e forti come quello della pace e della convivenza e si contrappone a concetti quali integralismo, guerre etniche, razzismo, xenofobia, omofobia.

    Le realtà della nostra società globale richiedono una forte attenzione della scuola alle tematiche connesse all'educazione interculturale; la formazione degli insegnanti è di centrale importanza e deve essere ispirata da un approccio multidisciplinare: antropologico, pedagogico-didattico, sociologico, psicologico, artistico. Occorre di conseguenza strutturare una didattica in prospettiva interculturale.

    L'educazione interculturale non è altra cosa rispetto ai programmi vigenti ma si esplica nella trasversalità dei contenuti e dei metodi di insegnamento.

    Scarica l'intervento integrale

  • 10:05

    Vai alla web cronaca della seconda giornata

    Un curricolo interculturale. Se non ora, quando? è il titolo del convegno che si tiene oggi a Bologna per dare continuità al percorso di approfondimento al tema dell'educazione interculturale, tema che è stato sempre molto dibattuto ed è spesso motivo di divisioni e contraddizioni forti anche nella compagine di governo, così come possiamo assistere proprio in questi giorni. Affronterà e svilupperà l'aspetto della didattica nella dimensione interculturale.

    A coordinare l'attività delle due giornate sarà Salvatore Tripodi, centro nazionale FLC Cgil.

    Prende la parola Beniamino Lami, segretario nazionale FLC Cgil.

    Il convegno odierno apre una nuova fase di riflessione e di iniziativa della FLC Cgil sul tema dell'intercultura e dell'accoglienza degli alunni senza cittadinanza italiana.

    Abbiamo svolto in precedenza 3 convegni, a Torino, a Reggio Emilia e a Catania, dove, a partire da situazioni territoriali concrete abbiamo analizzato le condizioni strutturali della scuola italiana in relazioni alla capacità di accoglienza e inserimento degli alunni immigrati.

    Il 3 marzo a Roma, abbiamo portato a sintesi le riflessioni precedenti da cui abbiamo tratto elementi importanti per costruire una piattaforma contrattuale e sociale da inserire nel rinnovo del contratto della scuola.

    Adesso abbiamo deciso di affrontare il tema dell'asse culturale dei curricoli scolastici, sapendo che l'intercultura non è una disciplina specifica, ma è elemento trasversale che arricchisce e modifica saperi e comportamenti.

    Il compito del convegno di oggi è quindi quello di individuare elementi di riflessione che affronteremo e continueremo ad approfondire nei seminari territoriali che organizzeremo nel 2010.