Convegno nazionale "Responsabilità dirigenziale e sistema di governo per la qualità della scuola pubblica" - Prima giornata

  • 19:00

    Con l'esposizione del professor Benadusi terminano gli interventi in programma. Il prolungarsi dei lavori oltre l'orario previsto non ha consentito ad Antonio Valentino di presentare la sua relazione. Sarà dunque lui ad aprire la sessione mattutina di domani, venerdì 15 ottobre.

    Con le attività del convegno riprenderà anche la nostra web cronaca e la diretta video.

  • 18

    A chiudere la sessione pomeridiana del primo giorno di convegno è Luciano Benadusi, ordinario di sociologia dell'educazione presso l'Università "La Sapienza" di Roma ed autore molto apprezzato di saggi e libri sulla scuola.

    L'autonomia dev'essere operazione vera!

    Benadusi esordisce partendo dallo scenario entro cui collegare i ragionamenti sulla governance.

    Di tale scenario sono aspetti da considerare:

     

    • i caratteri del modello sociale del nostro paese che si distingue per la scarsa importanza data all'educazione

    • la debolezza del valore della conoscenza nella società

    • scarsa considerazione dell'istruzione e della formazione nel ceto politico perché sposta pochi voti a livello elettorale.

    L'interrogativo da cui parte la riflessione successiva riguarda le tendenze in atto che premono per la presa in carico delle questioni che attengono a istruzione e formazione. Di queste si considera essenzialmente quella relativa ai processi di individualizzazione-diversificazione e attivazione del servizio. Nel senso che il welfare e la qualità dei servizi si collegano sempre di più alla mobilitazione e all'impulso dei singoli rispetto alle caratteristiche del servizio. Da questo dovrebbe nascere una governance più partecipata in grado di garantire tra l'altro non solo uguaglianza di opportunità, ma anche interventi compensativi per sopperire alle disuguaglianza legate soprattutto al contesto socio-economico e cultuale.

    A proposito di governance, prosegue, vanno precisate alcune scelte di fondo. La prima è che essa o è decentrata o non è.

     

    La seconda è che l'autonomia deve essere operazione vera; nel senso che essa deve assumere a baricentro non la legge ma l'innovazione dal basso e che comunque o si connota come autonomia finanziaria, normativa e professionale o non è. Quella di oggi è infatti un simulacro di autonomia in quanto la barra si è spostata sugli ordinamenti, rispetto all'impianto legislativo dell'art. 21 della Legge 59. Oggi la sfida è portare a termine il percorso cominciato con la Legge 59.

    Comunque, conclude, il vero problema oggi anche per l'autonomia scolastica è dato dalle restrizioni economiche e dall'asfissia del progetto che c'è dietro. Se non si risolve questo problema, anche il discorso della governance non ha gambe per camminare.

    Il video dell'intervento

  • 17

    Gaetano Domenici è docente di docimologia presso l'università di Roma Tre, dove dirige il corso di perfezionamento a distanza in "valutazione degli apprendimenti e autovalutazione di istituto". Già direttore del Dipartimento di Scienze dell'educazione della stessa università, da pochi mesi è Preside di facoltà.

    Per Gaetano Domenici, l'effetto dei tagli e del non investimento su scuola e università hanno creato dei gusci vuoti i cui effetti negativi si vedranno tra qualche anno. Dall'ultima indagine PISA (Programme for International Student Assessment) viene fuori che il prodotto scolastico in Italia è scadente ma non vengono indicate le cause.

    Intanto bisogna sottolineare, afferma Domenici, che il prodotto scolastico italiano presenta un'enorme disparità dei risultati formativi non solo fra i vari territori (nord, est, centro...) ma perfino nella stessa scuola. Tale variabilità costituisce un'iniquità inaccettabile per il sistema sociale, anche perché è legata alla casualità, al luogo di nascita, alla classe frequentata...La scuola che non funziona è uno strumento di iniquità. Il peggioramento degli apprendimenti rilevati dall'indagine PISA è dovuto anche al disorientamento degli allievi sottoposti a cambiamenti continui che, non arrivando mai in porto causano demotivazione in docenti allievi e famiglie e non offrono solidi punti di riferimento. A tal proposito è interessante notare per Domenici, che una ricerca dell'università di Shangai ha evidenziato che le migliori 20 università del mondo sono quelle che non sono state toccate negli ultimi 20 anni da alcuna riforma: le riforme infatti le hanno fatte i docenti anticipando i cambiamenti. La vera riforma consiste, infatti, nell'adattare la proposta di formazione alle caratteristiche degli allievi, nel far sì che essi siano in grado di apprendere autonomamente.

    In base a quanto detto la valutazione non può essere vista come strumento quasi esclusivamente fiscale, per premiare o punire ma come strumento per acquisire dati, informazioni, conoscenze, che possano servire ai diversi responsabili della formazione. Un limite delle varie ricerche realizzate è che esse non hanno mai rilevato elementi importanti che caratterizzano l'inizio e l'uscita di un percorso formativo (per esempio scuola media, scuola superiore...). Risulta molto più semplice e comodo quindi esprimere giudizi con i numeri, che non danno però informazioni spendibili ad allievi e famiglie e soprattutto non danno indicazioni per porre rimedio. La valutazione deve precedere, accompagnare e seguire, tutti i momenti di formazione dando non voti, che non comunicano i punti di forza o di difficoltà, ma informazioni spendibili che consentano al docente le necessarie modifiche per adeguare la proposta formativa ai singoli allievi e per far loro raggiungere livelli accettabili. La valutazione, esito di un controllo continuo dei processi, deve offrire anche agli allievi informazioni per modificare i propri comportamenti. I dati PISA hanno costituito una sorta di Olimpiadi del sapere mentre non ci dicono nulla della qualità dei processi formativi.

     

    È necessario effettuare rilevazioni su campioni significativi, fornire informazioni per riadattare e riorganizzare i processi di insegnamento-apprendimento nei territori. La conoscenza degli allievi poi, deve derivare da una relazione più aperta e calibrata tra scuola e famiglia. La valutazione quindi, non solo come controllo continuo di processi e prodotti, ma come strumento di conoscenza per arricchire il quadro conoscitivo entro cui operare, per ottimizzare le scelte via via che si va avanti, e per far raggiungere risultati più apprezzabili.

    La valutazione diventa volàno del rinnovamento: per questo richiede alta professionalità nella dirigenza scolastica e nei docenti.

    Avviandosi a concludere il suo intervento, Domenici afferma che la meritocrazia pura non esiste: è stata dimostrata la correlazione stretta tra titolo di studio della madre e rendimento dell'alunno. La meritocrazia espressa col voto e con la bocciatura in presenza di una sola insufficienza ha infatti già penalizzato le classi sociali inferiori.

    Il video dell'intervento

  • 16

    Scuola e saperi sono beni comuni, e tali devono rimanere

    In anticipo sulla "tabella di marcia" che ne prevedeva l'intervento nella giornata di domani, si appresta a prendere la parola Domenico Pantaleo.

    Il Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza, richiama la profondissima crisi del nostro Paese che mette in discussione le condizioni di vita delle persone: disoccupazione giovanile (la più alta d'Europa), licenziamenti continui, imprese che chiudono soprattutto al sud. Questo è il contesto da cui è necessario partire per fare un'analisi profonda di quello che sta succedendo nel Paese e nella scuola.

    Per anni ci hanno proposto un modello di sviluppo della società basato sulla triade più impresa, più mercato, meno Stato dice Pantaleo, pensando che anche un settore ad alta sensibilità sociale come la scuola dovesse piegarsi a questa logica. E' un modello che non ci piace.

    Siamo, infatti, dinanzi allo scontro fra due modelli. Il primo, quello che ci appartiene, è progressista, fondato su uguaglianza, saperi, conoscenza, più libertà e futuro per le nuove generazioni. Queste sono portatrici di un'idea di vita e società diversa rispetto al passato. La scuola deve fare i conti con questa idea: un'idea di beni comuni indispensabile per il progresso in cui il valore del lavoro è centrale per l'emancipazione. Il secondo, quello del Governo, è un modello autoritario. Infatti, il tratto comune delle riforme è l'autoritarismo e il restringimento degli spazi di libertà e partecipazione. Con la riforma Gelmini, senza tanti giri di parole, i più deboli vengono esclusi dall'apprendimento e mandati a lavorare. Basta vedere quanto è successo in Lombardia con l'accordo Miur-Regione dove con la scusa dell'apprendistato i ragazzi di soli 15 anni vanno a lavorare anziché andare a scuola.

     

    È un'idea di riforma spaventosa sottolinea Pantaleo: infatti appena la gente sente parlare di riforme non pensa più, come succedeva in passato, ad un miglioramento, ma teme che le vogliano togliere qualcosa. E' proprio quello che sta succedendo nella scuola dove continuano i saccheggi di risorse umane e finanziarie.
    Sono operazioni da sottocultura che alzano le barriere nei confronti dei più deboli e incitano alla bocciatura quasi che la selezione e non l'apprendimento fosse la vera finalità della scuola.

    La Gelmini si riempie la bocca con la retorica del merito. Il merito è importante per valutare le capacità. Ma di quale merito si vuole parlare quando la dispersione scolastica e gli abbandoni universitari sono in aumento per la crisi sociale ed economica del Paese?

    Per il sindacato parlare di merito non è un tabù ma a patto che ci siano condizioni di partenza uguali per tutti. Dunque la partita del merito deve avere come obiettivo il miglioramento del sistema e degli apprendimenti.

    Prendiamo il tema della precarietà. Questa è diventata una gabbia dalla quale è impossibile uscire, è un fattore strutturale non più tollerabile per la stessa qualità del sistema scolastico e per la vita delle persone.

    Noi della FLC non possiamo e non vogliamo essere subalterni a questo progetto di sottocultura che è il pensiero della destra. Non è solo una questione di tagli, ma il fatto è che nessuno negli ultimi anni ha mai voluto bene alla scuola statale. Purtroppo i tagli non si fermeranno agli 8 miliardi di euro portati via dalla riforma Gelmini, ma proseguiranno perché è in atto una operazione ideologica che si fa attraverso i bilanci.
    Ne consegue che si va perdendo la missione della scuola. Il Governo infatti pensa solo ad una scuola che costi meno. Con ridotti successi formativi. Secondo la Gelmini, infatti, scuola di massa e qualità non stanno insieme. Viene rimessa in discussione la scuola pubblica a favore di quella privata, calpestando la Costituzione.

    Noi rivendichiamo il rispetto della Costituzione, ma dobbiamo denunciare l' aumento del ricorso alla scuola privata da parte dei ceti più ricchi. Questo significa calpestare il principio costituzionale della scuola gratuita per tutti. Di fronte a ciò non possiamo giocare in difesa, ma occorre avanzare proposte. Un cardine della nostra proposta è in primo luogo l'autonomia. Conservarla e migliorala in funzione delle innovazioni costituisce un fattore straordinario per aumentare il successo formativo, migliorare l'organizzazione e incentivare la responsabilità e la progettazione didattica.

    L'autonomia è l'unica in grado di guardare alle differenze territoriali laddove il contesto è determinante perché la spesa pubblica e le risorse non sono uguali dappertutto e non tutte le regioni hanno le stesse possibilità. Lo stesso federalismo deve essere uno strumento per unire e non per dividere e deve enfatizzare la capacità di autogoverno e dell'assunzione di responsabilità. Invece il federalismo che si vuole praticare presenta strutture incredibili come dimostra il federalismo fiscale che diminuisce le tasse per le imprese e le aumenta ai lavoratori e ai pensionati. Altro che diminuzione della pressione fiscale!

    In un'autonomia partecipata il ruolo della dirigenza scolastica è fondamentale. Brunetta invece vorrebbe fare dei dirigenti degli esecutori dello Stato che devono rispondere degli obiettivi di qualità fissati da altri, degli esecutori spogliati di tutto, spogliati di responsabilità e creatività. Per il Ministro, nonostante la scuola sia un luogo ad alta concentrazione di relazioni umane ed educative, le relazioni non contano. Dunque l'autonomia è un'opportunità, un modello organizzativo ed educativo per sintonizzarsi con i problemi delle varie componenti scolastiche e delle nuove generazioni. C'è stata una rottura della solidarietà interna tra le varie componenti a cui il sindacato ha cercato di porre rimedio, ma c'è sempre il pericolo di corporativismi che andrebbero contro la qualità. Questo è quello che vogliono i Ministri Brunetta e Gelmini con le loro pseudoriforme.

    Un altro cardine delle nostre proposte è il superamento del precariato e il problema del reclutamento. Questo va ripensato, ma non come pretende il Ministro Gelmini, che propone un sistema rigido con percorsi divisi tra i diversi gradi di scuola. Secondo noi un'idea antiquata che non fa bene alla qualità dell'insegnamento.

    Un terzo cardine è la valorizzazione delle persone. Noi abbiamo un'idea ben precisa e alternativa sulla valorizzazione: bisogna ragionare intorno a organizzazione del lavoro, orario, sperimentazione e valutazione.

    La via maestra per realizzare tutto ciò è quella contrattuale.

    Brunetta al contrario vuole sempre meno contrattazione e più legificazione. La contrattazione invece è fondamentale sia per i dipendenti pubblici che per quelli privati. In passato la contrattazione ha anticipato gli interventi legislativi in materia di lavoro e di organizzazione. Adesso Brunetta vuole rovesciare questo rapporto. Questo è un assurdo anche dal suo punto di vista in quanto anche il presupposto della privatizzazione significa meno legge e più contrattazione. Invece si bloccano per tre anni i Ccnl per tutti, a dimostrazione che siamo dinanzi ad un'operazione ideologica che vuole mettere in contrapposizione i lavoratori e il Paese. Infatti, il progetto Brunetta è fallito in primo luogo ad opera del suo collega di governo che non ha messo i soldi né per i contratti né tanto meno per il merito e in secondo luogo per il susseguirsi di pronunciamenti della magistratura che hanno tacciato di antisindacalità il modello di relazioni sindacali.

    Per la FLC la riforma Brunetta è inapplicabile perché non ha come finalità il miglioramento del servizio attraverso l'organizzazione del lavoro, ma vuole accentuare il sistema delle punizioni e l'autoritarismo nei rapporti di lavoro e nelle relazioni sindacali.

    I dirigenti scolastici della FLC devono utilizzare lo strumento della contrattazione sull'organizzazione del lavoro per migliorare la qualità del servizio e delle prestazioni laddove i dirigenti dell'Anp invece vogliono utilizzare la riforma Brunetta per intervenire in maniera autoritaria sull'organizzazione del lavoro. Siamo in una fase di ricambio generazionale per cui ai dirigenti scolastici è affidato il compito del passaggio di consegne nei confronti dei loro futuri colleghi ai quali possono passare un patrimonio di competenze e l'esperienza di una professione esercitata in un luogo ad alta concentrazione democratica.

    La scuola, i saperi sono il sale della società democratica e come tutti i beni comuni non possiamo accettare la loro privatizzazione o la logica di chi vorrebbe trasformarli in Spa per giustificare i mancati trasferimenti di finanziamenti statali.

    In questa battaglia per il futuro è impegnato un grande sindacato confederale come la FLC.

    Il video dell'intervento

  • 15:15

    I lavori riprendono con l'intervento di Franco De Anna che viene presentato da Antonio Bettoni.

    De Anna è stato ricercatore presso IRRSAE Lombardia per circa un decennio, negli anni dal 1987 al 1997. Successivamente ne è diventato il direttore (1997-1999) e negli anni 1999-2002 è stato il direttore CIPREF – Consorzio inter-irre per la ricerca educativa e la formazione.

    Attualmente è coordinatore del servizio ispettivo presso l'Ufficio Scolastico Regionale per le Marche.

    Pubblichiamo di seguito il sommario del suo intervento. In allegato l'intervento integrale e le slide .

    Responsabilità dirigenziale e sistema di governo per la qualità della scuola pubblica

    Sommario

    La "Rendicontazione Sociale" ed i suoi strumenti (il Bilancio Sociale), nati nel mondo dell'impresa nella seconda metà degli anni '70, rappresentano un orizzonte di possibile potenziamento dell'Autonomia scolastica. Come nel caso dell'impresa, e tanto più nella sua estensione ad un settore pubblico come l'istruzione, la filosofia della rendicontazione si sviluppa a partire dall'interrogativo fondamentale del rapporto tra il "cosa, chi e perché" rendere conto all'interno di un sottosistema sociale (l'istruzione nel nostro caso) e il sistema complessivo costituito dalla "formazione economico sociale".

    L'intervento tenta di ricostruire gli elementi essenziali del rapporto tra sistema dell'istruzione e sviluppo della formazione sociale, le coerenze e i risultati delle politiche scolastiche seguite in questi decenni, gli elementi di radicale novità che, su tale piano, si vanno delineando nell'ambito di quella che viene chiamata le "terza rivoluzione industriale" e le sue conseguenze sia sul piano delle istituzioni, sia sui caratteri dello sviluppo economico, sia sulla stratificazione e composizione sociale sociale.

    In particolare:

    1. La composizione specifica del "doppio valore" dell'istruzione: il valore del sapere, incondizionato, non divisibile, intrinsecamente proiettato nella dimensione "universale" e contemporaneamente la sua componente "condizionata", divisibile, apprezzabile economicamente e dunque oggetto di "valore di scambio" (le "competenze" scambiate sul mercato del lavoro). Tale composizione si realizza storicamente nella "composizione" della formazione economico sociale. Per esempio nella fase della seconda rivoluzione industriale (il "modello" fordista-keynesiano) ha prodotto la "scuola di massa" ed il costituirsi dei sistemi di istruzione come segmenti fondamentali del ruolo dello Stato nazionale come organizzatore dello Stato Sociale (il "compromesso sociale" del welfare e il "compromesso fiscale" che lo alimenta).

      Il passaggio di fase storica della terza rivoluzione industriale disarticola quel modello e apre interrogativi fondamentali sulla "funzione" dei sistemi di istruzione, sui loro riferimenti sociali (la composizione della domanda sociale), sul ruolo "produttivo ed economico" dei loro prodotti, sulla "legittimazione sociale" dell'investimento relativo e sulla sua convenienza e produttività.

    2. Delineare un possibile futuro di sviluppo del sistema di istruzione nel nostro Paese, superando la contingenza di un confronto politico immediato pure necessario sulla spesa per l'istruzione, la sua composizione, la sua convenienza, significa interrogare in profondità i caratteri del welfare italiano improntato ad una tipologia di "welfare previdenziale" versus un possibile "welfare di cittadinanza". Quella tipologia di welfare è stata supportata da un modello di "compromesso fiscale" che, a partire dalla centralità del prelievo sul lavoro, ha alimentato una politica della pesa pubblica essenziale nel caratterizzare il "compromesso sociale" almeno fino alla fie degli anni '70.

      Il venire meno progressivo delle condizioni di quel compromesso si è tradotto lungo gli anni '80 e '90 nel sostanziale raddoppio del debito pubblico che oggi costituisce il vincolo "strutturale" delle politiche di investimento pubblico e dunque anche quelle dell'istruzione.

      Il significato politico e sociale del cosiddetto "federalismo" va recuperato e valorizzato, al di là delle mistificazioni del dibattito politico corrente, nella sfida del collocare prelievo e spesa in termini di massima vicinanza ai cittadini, come condizione di un nuovo compromesso fiscale e sociale. Proprio tale "prossimità" implica il ruolo fondamentale della filosofia e della prassi della "rendicontazione sociale".

    3. Lo sviluppo specifico del sistema di istruzione italiano nel secondo dopoguerra, mentre ha prodotto il risultato storico fondamentale di alfabetizzare il Paese (la scuola di massa) ha configurato un "modello organizzativo" della scuola di tipo "labour expensive". (come si evince da una lettura diagnostica degli stessi dati comparati dell'ultimo rapporto "Education at glance" dell'OCSE).

      In costanza di tale modello organizzativo, il flusso di investimenti nel sistema , filtrato da quel modello, non è in grado di assicurare risultati congruenti con le prospettive di fase storica, né di prospettare sensata produttività all'investimento stesso.

      Procedere alla modificazione dell'insieme delle condizioni organizzative e produttive della scuola attraverso una piena padronanza dei "fattori produttivi" (risorse, lavoro e sviluppo organizzativo) è la sfida di fondo dell'autonomia scolastica e della sua valorizzazione. In particolare appare prioritario l'intervento sulla organizzazione dei processi di apprendimento e insegnamento: spazi, tempi, ambiente di formazione.

      In tale impegno occorre coinvolgere sia il livello dell'ordinamento, sia sopratutto la capacità della comunità locale e delle sue articolazioni nel porre la scuola come proprio "capitale sociale". Anche per tale aspetti si delinea dunque il ruolo essenziale della rendicontazione sociale.

    4. I dati relativi alla rilevazione degli apprendimenti che si va consolidando come prassi permanente del sistema, dimostrano, pur scontando il necessario approccio critico alle metodologie, sia le differenze radicali dei risultati tra le diverse aggregazioni geografiche del Paese, sia l'estrema variabilità interna alle stesse aggregazioni territoriali.

      La scuola italiana sembra contraddistinta da un basso livello di equità: i suoi risultati sembrano contraddire la sfida culturale, politica fondamentale dell'affermazione, attraverso l'istruzione, del valore universale del sapere, della capacità di emancipazione e di contributo alla colmatura delle differenze sociali che una intera generazione di lavoratori della scuola ha assegnato al proprio impegno.

      È necessario che l'impegno alla valutazione, alla comparazione dei risultati, al "darne conto" e a costruire su tale base processi di miglioramento costituisca l'impegno fondamentale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica.

      Anche per sconfiggere una tentazione semplicisticamente "meritocratica" che "selezioni" l'intervento pubblico dedicandolo alle "eccellenze" e limitandosi a garantire la sola sopravvivenza delle situazioni "critiche" condannandole al degrado. Rinunciando cioè alla "mission" fondamentale del sistema di istruzione pubblico.

    5. Il processo di subordinazione del sapere, attraverso la tecnologia, nel processo di accumulazione, caratteristico della cosiddetta "società della conoscenza", che lo rende puro valore di scambio sul mercato, produce (si veda i dati dell'accordo di Pomigliano) alla espropriazione di esso per gran parte del mondo del lavoro.

      La segmentazione sociale che è propria della fase storica della terza rivoluzione industriale e della globalizzazione, ridistribuisce socialmente tale valore in termini di profonde disuguaglianze che contraddicono, riducendole a mistificazioni ideologiche le predicazioni sulla "società della conoscenza".

      Occorre riproporre con forza, a fronte di tali processi, le questioni del apporto tra istruzione e lavoro (diritto all'istruzione, diritto al lavoro) e quella fondamentale "obbligo scolastico", inteso nella sua accezione autenticamente costituzionale: il set di saperi e conoscenze assegnato e riconosciuto in termini "uguali" a tutti i cittadini.

      Contemporaneamente riproporre la questione, essenziale per una autentica riforma dell'istruzione superiore, del rapporto tra istruzione e modello di accumulazione e di sviluppo economico.

      Nella fase attuale, che non consentendo "disegni generali e pluriennali" di programmazione economica complessiva, valorizza lo sviluppo locale (di distretto, di area, ecc..) l'istruzione superiore non può che essere ricostruita all'insegna della asciutta essenzialità ordinamentale, ed a una ricca e potenziata flessibilità in rapporto alle specificità dello sviluppo economico territoriale.

      Anche per questa via si sottolinea la funzione fondamentale della rendicontazione sociale.

  • 11:35

    È il momento di dare la parola ai partecipanti e si apre il dibattito.

  • 11

    Istituzionalizzare le Reti di scuole

    Anna Armone è esperta di scienza dell'amministrazione scolastica. Ha scritto libri importanti sul mondo della scuola e sulla figura del Dirigente scolastico. Attualmente è impegnata presso il Dipartimento della funzione pubblica.

    Riferendosi al senso complessivo dell'intervento precedente, sostiene che il sistema scolastico continua ad essere fortemente gerarchico. Più in generale, a volte sfugge una visione sistemica del panorama giuridico. Afferma che, paradossalmente, bisognerebbe togliere l'autonomia alla scuola per affrancarla dalla subordinazione gerarchica, soprattutto in questa fase in cui l'art.117 della Costituzione ed il federalismo fiscale non lasciano capire da chi saranno finanziate le scuole: se le risorse verranno dai territori, ovviamente si sposterà l'asse di chi assegnerà gli obiettivi alle scuole stesse.

     

    Le riforme avviate "a pezzi", prosegue Anna Armone, hanno creato un disastro, perché non hanno tenuto conto del quadro complessivo. La funzione dirigenziale è coerente all'interno di un disegno di profilo con poteri attutiti all'interno di un sistema con organismi collegiali paritetici e con profili professionali garantiti nella libertà di insegnamento. Se si dovessero accentuare in altro senso le competenze, parallelamente alla definizione dello stato giuridico dei docenti, necessariamente dovrà essere modificato anche l'art. 25 del D.L.vo 165/2001.

    Nel '90, il ministro Cassese non intendeva l'autonomia scolastica nell'attuale modalità di realizzazione, che ha semplicemente scaricato sulle scuole il sistema amministrativo pubblico, ma prevedeva circuiti collaterali di sostegno alle scuole per le attività amministrativo/burocratiche.
    Oggi sarebbe necessario istituzionalizzare le reti di scuole che il Regolamento 275/99 ha inteso come accordi di rete e non come "soggetti" formalmente legittimati ad interloquire con gli enti locali; oggi urge istituzionalizzarli per inserirne le funzioni, ad esempio, negli statuti delle regioni.
    L'istituzionalizzazione di tali soggetti rappresenterebbe il connettivo obbligatorio capace di avviare nuovi modelli di governance, considerato che, dalla Bassanini in poi, non si è riuscito ad eliminare i processi gerarchico - formali, lasciando spazio e libertà di scelta ai decisori territoriali. L'eventuale, nuovo modello di governance ha bisogno di istituzionalizzare i processi perché questa via è l'unica garanzia di funzionamento efficace.

    Se si vorrà perseguire il federalismo, sottolinea la Armone, i territori avranno potere di indirizzo e solo un soggetto riconosciuto e istituzionalizzato potrebbe frenare l'anarchia di un sistema nazionale a diverse velocità e connotazioni, richiamando i LEP e le norme generali. Occorre che a garanzia dell'unitarietà del sistema vengano costruiti sistemi di rete istituzionalizzati e regolamentati, definendone ampiezza e competenze all'interno dell'apparato statale, con riconoscimento obbligatorio da parte delle regioni.
    La riforma del D.Lvo 165/2001 è pesantissima per l'inderogabilità delle norme che sono paletti rigidi. Sulla scuola c'è latitanza spaventosa circa l'emanazione del previsto DPCM. Alla luce dello spirito che orienta il modello di governo introdotto con il D.Lvo 150/2009, nelle relazioni con il personale ci sarà una svolta drammatica, se non si attiveranno circuiti virtuosi di negoziazione per evitare di fare la guerra e per far funzionare la scuola attraverso l'adozione di provvedimenti negoziati e condivisi.

    In tal senso, la parte più bella della funzione dirigenziale per la Armone è quella che prevede poteri di coordinamento da esplicarsi attraverso direttive all'interno di modelli organizzativi che usano strumenti formali e informali per definire diritti e azioni, limiti e possibilità delle reciproche azioni.

    Il video dell'intervento

  • 10

    Antonio Bettoni annuncia un cambiamento di programma. Il previsto intervento di Luigi Berlinguer viene anticipato. Seguirà l'approfondimento "Dirigenza Scolastica e governo della scuola nell'attuale quadro normativo" curato da Anna Armone.

    Luigi Berlinguer: vincere la battaglia dell'autonomia

    Accolto dal calore di tutti i presenti in sala, apre il suo intervento l'On. Luigi Berlinguer, ex ministro della pubblica istruzione di cui nella breve presentazione, Antonio Bettoni, si dichiara "orfano". Cogliendo subito il richiamo della platea alla stagione riformatrice di cui è stato protagonista, Berlinguer sottolinea che l'autonomia, seppur schiacciata e svilita, resiste anche oggi. È stato difficile, sottolinea, costituzionalizzarla, ma lo si è fatto. È stato difficile istituire il nuovo titolo quinto ma ci si è riusciti, così come si è riuscito a prevedere il Piano dell'Offerta Formativa in tutte le scuole. Ma rispetto a queste riforme faticosamente conquistate, oggi è in atto un'inversione traumatica. Dobbiamo chiederci dunque per Berlinguer, come affrontare quest'inversione avendo per di più un'opinione pubblica contraria, perché ad essa non si è comunicato fino in fondo il valore dell'autonomia. E, a causa di questa mancata comprensione, è più semplice l'attuale svolta autoritaria verso il merito selettivo.

     

    Anche nel confronto politico, sottolinea Berlinguer, ed anche a sinistra, manca un'idea profonda del cambiamento che è intervenuto. L'unica forma di lotta messa in atto è una forma di "resistenza", ma noi non dobbiamo resistere, ammonisce, dobbiamo costruire e attaccare. Consapevoli che i nuclei veri del cambiamento esistono già e ci sono centinaia di scuole che lavorano in questo senso. L'autorità, la funzione ispettiva e il bisogno d'ordine, promossi da questo Governo, non sono la strada giusta per il cambiamento.

    Ma se vogliamo invertire la rotta, dice Berlinguer, dobbiamo essere consapevoli che nell'opinione pubblica queste parole d'ordine attecchiscono facilmente soprattutto se a sinistra si continua nella semplice difesa dello status quo. Deve emergere invece una linea propositiva per Berlinguer, perché la resistenza è una forma di "conservazione", è l'altra faccia della medaglia della restaurazione in atto. Non riusciamo a far passare l'idea che il Sapere è la maggiore fonte di sviluppo economico e ci arrocchiamo nella difesa della "scuola di tutti", mentre nell'opinione pubblica prevale l'idea che meno studenti ci sono e meglio è.

    Dobbiamo pensare ad una scuola adeguata ai tempi, una scuola motivante, senza cattedre, con nuove tecnologie. La scuola deve anticipare il cambiamento, superare la "tecnofobia"; la "rete" ha messo in campo una rivoluzione profonda che ancora non riusciamo a percepire. Non abbiamo bisogno di una scuola ministeriale ma di una scuola flessibile. I paradigmi del lavoro devono entrare nel ciclo educativo, in tal modo nella scuola entrerà il sociale, nel suo senso più profondo. Ma ce la faranno le scuole da sole a sostenere questo processo, si domanda Berlinguer? Di certo, dalla politica non c'è molto da aspettarsi per lui, questi processi verranno dal basso e dimostreranno che nella pratica educativa il cambiamento è possibile. In questa nuova scuola aperta, che rivaluta e amplia la figura del dirigente, non dev'esserci un tempo per lo studio ed uno per il lavoro. In Italia invece, continua Berlinguer, il paradigma dominante resta quello della scuola trasmissivo-gentiliana, continua a fallire il long life learning, non si capisce che la scuola è la mia "casa" e che non si finisce mai di imparare.

    Ma se vogliamo davvero un cambiamento, deve cambiare il supporto didattico, il manuale va abolito a fronte della rete. L'organizzazione dunque, diventa decisiva per questo cambiamento e il dirigente scolastico ne è il "Princeps", protagonista indiscusso.

    Dobbiamo fare emergere realtà diverse e dimostrare l'inanità della conservazione, bisogna vincere la battaglia dell'autonomia, conclude Berlinguer; se lo fa un dirigente, possono farlo anche gli altri. Sono centinaia gli esempi virtuosi, ma questi dirigenti sono soli, sosteniamoli!

    Il video dell'intervento

  • 10

    La relazione introduttiva del convegno è stata preparata da Gianni Carlini, responsabile nazionale Dirigenti scolastici FLC CGIL.

    La Struttura di Comparto dei Dirigenti scolastici della FLC CGIL, dice Carlini, ha deciso di concentrare quest'anno l'attenzione sul tema della responsabilità della dirigenza per la qualità della scuola pubblica.

     

    I cambiamenti normativi in corso per le politiche del governo sulla scuola e sulla dirigenza pubblica, hanno chiamato fortemente in causa la dirigenza scolastica e la sottopongono a pressioni e richieste che non hanno precedenti nella storia della scuola italiana.

    È giusto dunque riflettere, sottolinea Carlini, sul ruolo del dirigente nel mutare del sistema di governo della scuola pubblica.

    Nella sua relazione quindi, passando per la disamina della nuova centralità della dirigenza scolastica alla quale viene chiesto di far funzionare la scuola con meno risorse, con meno docenti e meno ATA e con meno finanziamenti, Carlini si interroga sul ruolo che i dirigenti assumono in questo "nuovo corso". A più di dieci anni di distanza, dalla nascita dell'autonomia scolastica, ci si ritrova di fronte a politiche governative antiautonomistiche, amministrativistiche, centraliste, per non dire autoritarie e oppressive. È una delle ragioni dell'impegno straordinario profuso dalla FLC CGIL in questo momento e della mobilitazione alla quale chiama i lavoratori.

    Sempre più alle scuole viene richiesto di svolgere funzioni amministrative che non le sono proprie e che sono anzi una delle maggiori cause che le "distraggono" dallo scopo principale: fornire un servizio di istruzione e formazione.

    In questa situazione, Carlini si chiede se sia sufficiente il contrasto a ciò che sta avvenendo.

    Sono utili sicuramente i ricorsi, la mobilitazione, la pratica del terreno contrattuale, la ricerca dell'unità con gli altri soggetti coinvolti e con le altre forme dell'associazionismo, sindacale e professionale. Serve quanto la FLC CGIL e la CGIL stanno facendo con grande impegno e passione.
    Ma per Carlini sono ugualmente necessari la discussione ed il confronto. Serve ripensare alle scelte fatte e bisogna prendere atto e riconoscere anche gli errori fatti.

     

    Non perdiamo l'opportunità, conclude Carlini: "abbiamo deciso di fare i conti con il presente e di smettere di cercare di riavere il futuro di una volta, per prenderci invece quello che c'è. Quel futuro che possiamo determinare per la scuola autonoma e per la dirigenza scolastica. Per farlo ci serve nient'altro che stare nelle nostre scuole e lavorare insieme, come oggi, per sentire e discutere proposte e linee di lavoro per la gestione del cambiamento e per il miglioramento della qualità della scuola pubblica".

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  • 10:00

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    Ci troviamo a Firenze nel Centro Congressi dell'Hotel Mediterraneo per l'annuale Convegno nazionale dei Dirigenti scolastici della FLC CGIL. Il tema su cui si svilupperà la discussione è "Responsabilità dirigenziale e sistema di governo per la qualità della scuola pubblica".

    Le ragioni e gli obiettivi dell'appuntamento, organizzato dalla FLC CGIL e dall'Associazione Proteo Fare Sapere, vengono presentati da Antonio Bettoni, direttore nazionale Proteo Fare Sapere, l'associazione professionale che ha organizzato l'evento insieme alla FLC CGIL.

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    Il programma del convegno