Convegno nazionale "Responsabilità dirigenziale e sistema di governo per la qualità della scuola pubblica" - Seconda giornata

  • 15:20

    Al termine dell'intervento si apre il dibattito, con l'impegno di chiudere i lavori entro le ore 16.30.

    La nostra web cronaca, invece, finisce qui. Nei prossimi giorni continueremo ad aggiornarla con documenti e relazioni nelle versioni integrali.

  • 14

    Mario Ricciardi è professore presso l'Università degli Studi di Bologna, componente del comitato direttivo e già vicepresidente dell'associazione italiana per lo studio delle relazioni industriali (AISRI). Promotore e coordinatore della Summer school per esperti latino americani in problemi del lavoro. È stato per molti anni componente del Comitato direttivo dell'ARAN, titolare della contrattazione del comparto scuola. È anche autore di numerosi saggi e articoli sui problemi delle relazioni industriali e del lavoro.

    La contrattazione di scuola dopo la riforma Brunetta

    Il prof. Ricciardi comincia il suo intervento ringraziando dell'invito, ma con un pizzico di ironia fa presente che si tratta di un invito pesante perché la materia è incandescente.

    L'argomento della contrattazione integrativa, di cui dobbiamo occuparci dice, è reso particolarmente complesso dal contesto in cui si inserisce. Da un lato, infatti, la legge 150/2009 è dominata da una vera furia di azzeramento dell'impianto preesistente, e da una frenesia di fare presto, senza rispettare le norme esistenti, i contratti, i diritti e i doveri consolidatisi nel tempo. Questo determina una serie di problemi interpretativi che per la prima volta si verificano nel pubblico impiego in modo così marcato, perché in precedenza i cambiamenti normativi, che pure vi erano stati lasciavano spazio a periodi di decantazione, e soprattutto si ponevano in continuità con la normativa preesistente.

    Questa volta, invece, per Ricciardi ci troviamo di fronte a un legislatore in preda a una sorta di frenesia, come se temesse che il trascorrere del tempo giochi a suo sfavore. A complicare ulteriormente il quadro, c'è poi stato l'arrivo, praticamente a ridosso del decreto 150, della manovra d'estate che ha azzerato o almeno congelato gran parte delle norme della riforma della pubblica amministrazione.

    Tutto questo ha determinato una serie di torsioni e di forzature, anche giuridiche, che hanno reso questa fase un vero e proprio percorso di guerra, nel quale la contrattazione residua, che è poi quella integrativa, applicativa dei contratti stipulati nella fase precedente viene sovraccaricata di un compito improprio, quello di dare immediata attuazione alla legge, in assenza di un nuovo quadro di contrattazione nazionale, determinando probabilmente un risultato esattamente opposto rispetto a quello voluto, quello cioè di far diventare la contrattazione del pubblico impiego una specie di abito di arlecchino.

    Sono numerose le norme che pongono interrogativi ai quali non è facile dare risposte certe. Una è sicuramente quella contenuta nell'art. 34, che stabilisce che le determinazioni inerenti all'organizzazione degli uffici e alla gestione dei rapporti di lavoro siano assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione, fatta salva la sola informazione ai sindacati. Si precisa che vi rientrano la gestione delle risorse umane e la direzione e la organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici. Ma il successivo art. 54 afferma che sono contrattabili le materie direttamente pertinenti il rapporto di lavoro. Stabilire con precisione questo confine è molto difficile. Infatti, la stessa circolare n. 7 che dice delle ovvietà si guarda bene dallo stabilire questo confine. È impensabile che siano i negoziatori (Dirigente scolastico e RSU) a farsi carico di determinare quali sono le materie di organizzazione.

    Un dato è certo, una circolare non può sovvertire l'ordine gerarchico dei contratti: nazionale e integrativo.

    Inoltre la scuola è un sistema molto complesso perché al suo interno agiscono altri soggetti (es. collegio docenti) che invece non sono presenti nelle altre amministrazioni, dunque, in ogni caso la legislazione scolastica rimane un punto di riferimento non trascurabile. Il Ccnl vigente rimane al momento l'unico elemento sui cui basarsi. Ciò vuol dire che bisogna stare molto attenti a non esorbitare dalle norme contrattuali ponendo una maggiore attenzione alle regole e alle procedure. Ad esempio compilando una relazione tecnico illustrativa molto precisa e puntuale.

    L'altra norma cruciale è quella contenuta nell'art. 54 comma 3, dove si afferma che, qualora non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto integrativo, l'amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione.

     

    Sono due norme che, se interpretate estensivamente in senso letterale, come alcuni interpreti sembrano intenzionati a fare, potrebbero, se non paralizzare, certo ferire gravemente la contrattazione integrativa. È evidente che dare all'amministrazione la possibilità non solo di decidere unilateralmente, prescindendo dal confronto con il sindacato e le RSU, ma anche di decidere unilateralmente senza avere contrattato, significa uccidere la contrattazione.

    Si tratta di norme che suscitano diversi interrogativi e perplessità, alcuni più d'ordine generale e "politico", altri invece di natura più tecnica, che richiedono, per essere risolti, una serie di valutazioni sul sistema delle fonti, i rapporti tra livelli contrattuali e, soprattutto, una forte dose di buon senso in coloro che sono chiamati ad applicarle, senza forzature "decisioniste", assolutamente fuori luogo, ma anche con grande attenzione al rispetto delle prerogative e delle competenze definite dai contratti nazionali di lavoro.

  • 14:15

    I lavori riprendono dopo la pausa per il pranzo e saranno dedicati alla contrattazione integrativa di istituto. In particolare, il tema centrale sarà "Le problematiche negoziali nella scuola dopo la riforma Brunetta". Ad aiutarci il professor Mario Ricciardi, affiancato da Gianni Carlini che è il primo a prendere la parola.

    "Tutti sappiamo - dice Carlini - quali sono le domande alle quali aspettiamo una risposta e che ci si aiuti a capire". Si proverà a formularle, anche per aiutare il professor Ricciardi, partendo da alcune considerazioni iniziali.

    Il DLvo 150/09 è stato scritto con due obiettivi:

    • liquidare se possibile o quantomeno ridurre il ruolo del sindacato nel pubblico impiego

    • costruire strumenti per costringere la dirigenza pubblica a rendere conto del proprio lavoro al datore di lavoro pubblico, all'amministrazione (non dei risultati come sarebbe assolutamente giusto, ma di tutte le sue scelte).

    È stato condizionato dall'esiguità delle risorse utilizzabili al momento della sua definizione. Ora queste si sono ulteriormente ridotte e sono venute meno anche quelle che si volevano usare (i cosiddetti "risparmi" derivanti dai tagli agli organici e dall'abolizione degli scatti di anzianità).

    Una delle tante versioni del DL 78/10 conteneva un comma che esplicitamente rinviava al termine del blocco delle retribuzioni e del contratto tutta l'applicazione del DLvo 150/09. Comma soppresso per le proteste del Ministro Brunetta.

    Del DLvo 150/09, fin dall'inizio della discussione sulla sua applicazione, era stata evidenziata la sua non applicabilità alla scuola: per gli organismi previsti dal decreto non presenti nella scuola; per l'autonomia della scuola, per l'esclusione esplicita dei docenti dalla valutazione fino al Dpcm previsto; per il fatto che le risorse della contrattazione integrativa nella scuola sono tutte finalizzate a prestazioni aggiuntive effettivamente rese.

    Esiste una volontà, incalza Carlini, a togliere di mezzo ogni ostacolo per i dirigenti pubblici affinché possano applicare tutte le indicazioni dell'amministrazione, anche senza gli organismi di valutazione, senza la conclusione dei percorsi di definizioni delle cosiddette performance, senza specifiche risorse contrattuali.

    Ci sono soggetti, prosegue Carlini, che perché si faccia quello che farebbe piacere all'amministrazione e al governo, avendo applaudito al "rafforzamento" della dirigenza scolastica, devono pur dimostrare di avere ottenuto un qualche risultato e quindi hanno lanciato una campagna contro la contrattazione di istituto, per la riduzione delle materie e per il suo svuotamento.

    Dopo queste considerazioni, Carlini formula alcune domande che vengono rivolte al professor Ricciardi.

    • Le modifiche apportate al DLvo 165/2001 dal DLvo 150/09, relativamente all'organizzazione degli uffici e alla gestione del rapporto di lavoro, cambiano il quadro relativo ai "poteri" della dirigenza scolastica? Soprattutto relativamente alla differenza fra macrorganizzazione e microrganizzazione del lavoro, sulla quale ci sembra si stia facendo una intenzionale confusione.

    • Possono i dirigenti scolastici decidere unilateralmente escludere dalla contrattazione integrativa quello che il CCNL prevede?

    • Come si concilia una tale scelta con il fatto che il MIUR, in piena vigenza del DLvo 150/09 ha invece rimesso, con il contratto integrativo nazionale su assegnazioni provvisorie e utilizzazione, alla contrattazione di istituto contenuti che invece il dirigente ritiene non più oggetto di contrattazione integrativa?.

    • Quale sarà il destino della contrattazione integrativa in assenza del rinnovo dei contratti nazionali?

    • Cosa succederà il 1 gennaio 2011?

    • La circolare n. 7 e le indicazioni che da costituiscono un obbligo per i dirigenti? Hanno cioè un valore di norma? E le diverse sentenze dei Tribunali che hanno tutte considerato antisindacale il comportamento di amministrazione pubbliche che hanno escluso dalla contrattazione alcune materie previste invece dal CCNL possono orientare le decisioni dei dirigenti, anche al fine di evitare un danno all'amministrazione ed una responsabilità?

  • 12

    Annamaria Poggi conclude i lavori della sessione della mattina. Professore di diritto costituzionale, dal 2002 è preside della facoltà di scienze della formazione dell'università degli studi di Torino. Numerose e importanti le sue pubblicazioni sui temi dell'autonomia, della decentralizzazione e del federalismo.

    Riprendere il cammino dell'autonomia scolastica

     

    Non è possibile pensare l'autonomia delle istituzioni scolastiche senza inquadrarle nel contesto delle altre autonomie. Il federalismo è un processo storico e non muove da modelli ideali non contestualizzati. Esso si sviluppa inevitabilmente secondo i processi storici e le necessità di un Paese e non può essere postulato facendo riferimento ad altre realtà. In Italia il federalismo deve confrontarsi con la forza delle autonomie territoriali.

    Il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche iniziato nel 1997 prevedeva un vero e proprio patto tra autonomie e l'autonomia scolastica era considerata perno delle altre autonomie territoriali, strumentali alla realizzazione dell'autonomia scolastica. Già sul nascere quel disegno inizia a perdere la sua impostazione iniziale, perché la legislazione successiva, posponendo l'autonomia scolastica (1999) a quella degli EE.LL. (1998), ha rovesciato il processo logico sotteso al disegno iniziale. La stessa legge di modifica del Titolo V della Costituzione non ha sciolto la questione delle priorità lasciando insoluto ogni nodo.

    Oggi assistiamo ad una ripresa del centralismo burocratico che storicamente non è un segno di forza dei governi, bensì di debolezza. Assistiamo al paradosso del fallimento dell'obiettivo del conseguimento dell'uguaglianza delle opportunità in un sistema centralizzato. Il federalismo si presenta come uno strumento utile per conseguire su tutto il territorio nazionale uguaglianza di opportunità rimuovendo i fattori sfavorevoli per il raggiungimento del LEP. Sarebbe fuorviante concepirlo in una chiave di lettura che vede il Nord e il Sud contrapposti ed identificando solo in una parte del Paese i problemi. Non esiste, infatti, uniformità di situazioni in ciascuna parte d'Italia.

    Nel 2006 il Master Plan prevedeva una mappatura delle competenze tra Stato e Regioni e la definizione di alcune norme generali per l'attuazione del Titolo V della Costituzione. Esso ha previsto anche la costituzione di un tavolo tecnico che in questi anni ha lavorato producendo una bozza di intesa che ha esplicitato le funzioni reciproche di Stato e Regioni, le modalità di trasferimento delle funzioni e delle necessarie risorse dal centro alla periferia. In questa proposta, che valorizzava la presenza dei dirigenti scolastici all'interno dei processi decisionali, era anche previsto che le Regioni potessero avviare in tempi diversi le intese con lo Stato, nell'ambito di un quadro legislativo di riferimento valido per tutti. Quella Bozza oggi è ferma perché il MIUR l'ha respinta, nonostante il parere favorevole dato dal MEF e dalla FP. Il pericolo è che, in assenza di un accordo quadro, le intese si definiscano separatamente tra lo Stato e le singole regioni, con il conseguente trasferimento di risorse sottratte alla comunità. La Legge Calderoli sul federalismo fiscale prevede, per il settore dell'istruzione, che vengano definiti i LEP, ma non è chiaro quali attori andranno a definirli e quali siano quelli irrinunciabili. Senza un accordo a livello nazionale il rischio è quello di accentuare le disparità e le differenze piuttosto che colmare i vuoti.

     

    Occorre pertanto riprendere immediatamente il cammino dell'autonomia scolastica che focalizzi l'attenzione sulla valorizzazione delle reti di scuole strutturate normativamente, ma lasciate alla libera iniziativa delle istituzioni scolastiche appartenenti ai diversi territori. Sarà necessario inoltre che le scuole sviluppino sistemi interni di autovalutazione e che insieme agli altri soggetti possano dare vita a fondazioni, concepite in un'ottica diversa da quelle del disegno di Legge Aprea.

    In conclusione, dice la Poggi, occorre affermare con forza che nulla potrà restituire ai processi la giusta direzione se non si passa da una posizione di "resistenza" ad una volontà propositiva che si concretizzi in iniziative, proposte documentali ed operative.

    In questa direzione il sindacato può rappresentare una risorsa fondamentale in termini di risorse intellettuali e operative.

    Il video dell'intervento

  • 10:45

    Antonella Turchi, dal 1994 responsabile dell'unità italiana di "Eurydice", la rete di informazione sull'istruzione in Europa, prevista dal programma di azione comunitaria di apprendimento permanente. Dal 1999 al 2005 è stata anche responsabile dell'azione Comenius 1 del programma di azione comunitaria Socrates. Dal 2005 è il coordinatore della sezione documentazione dell'agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica (ex indire).

    Le politiche di cambiamento per la scuola: uno sguardo all'Europa

    Esordisce ricordando la storia ed il ruolo di Eurydice nella costruzione di legami trai sistemi scolastici europei, che secondo le norme UE restano affidati agli stati nazionali. In tal senso mette in guardia dall'immaginare un'unica scuola europea, sottolineando invece come i sistemi scolastici (35) siano persino più degli stati che compongono l'Unione (27). Infatti alcuni paesi hanno più sistemi scolastici (ad esempio il Belgio ne ha tre, uno per ogni comunità linguistica, il Regno Unito due, uno per Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord e uno per la Scozia ecc.).

    In ogni caso in questi anni tutti i paesi si sono mossi in direzione di una maggiore autonomia scolastica: Belgio e Olanda fin dagli anni cinquanta, la Spagna dopo la caduta di Franco, la Francia a partire dall'85, il Regno Unito dall'89, i paqsi dell'Est europeo dopo la caduta del muro, l'Italia dal 1997. Prevalentemente si è trattato di misure adottate a livello centrale che sono state calate sulle scuole in ragione di filosofie diverse nel tempo: negli anni ottanta la filosofia dominante era quella della democrazia partecipativa, negli anni novanta quella di efficacia ed efficienza, nell'ultimo decennio quella della qualità educativa.

    Attualmente si possono distinguere sistemi ad autonomia scolastica completa, ad autonomia limitata ( ed esempio dagli enti locali), quelli con nessuna autonomia o quelli con delega totale alle scuole (caso limite quello dell'Olanda a geometria variabile a seconda delle municipalità). In sintesi possiamo definire ad autonomia elevata i sistemi scolastici di Belgio, Irlanda, Slovenia, Svezia, Regno Unito (tranne la Scozia), Danimarca e Repubblica Ceca, ad autonomia relativamente elevata quelli di Ungheria, Polonia e Slovacchia, ad autonomia limitata quelli di Italia, Francia, Spagna e Portogallo, ad autonomia ridotta quelli di Germania (autorità regionali), Lussemburgo, Malta, Cipro e Grecia.

    Per capire meglio su cosa si esercita questa autonomia si può dire che in quasi tutti i paesi le scuole non hanno potere sui beni immobili (fanno eccezione Belgio e Olanda), mentre hanno più autonomia sulle spese di funzionamento e su quelle per le attrezzature informatiche (fa eccezione paradossalmente la scuola britannica, dove queste cose sono invece spesso legate a programmi nazionali). Così come quasi ovunque le scuole hanno autonomia su fondi privati ed affitti. Al contrario sono quasi ovunque proibiti i prestiti. In quasi nessun caso i fondi privati però possono servire per assumere o retribuire personale, docente o ATA, (va tenuto presente tuttavia che sul fronte delle attività extracurricolari in alcuni paesi si ricorre al terzo settore). È possibile usarli, pur con limitazioni e cautele normative, per beni mobili.

    Per quello che riguarda l'orario scolastico e il curricolo, in alcuni paesi questo è definito a livello nazionale solo per una parte, talvolta anche minima, e per l'altra parte a livello di scuola.

    Ad esempio in Finlandia si ha una sistema simile al nostro universitario con materie obbligatorie nazionali e materie opzionali offerte dalla singola scuola, nel Regno Unito le materie nazionali sono appena tre , il resto sono definite a livello di autorità scolastica locale.

    Le scelte delle materie opzionali naturalmente hanno conseguenze per la prosecuzione degli studi degli alunni ed ogni alunno si deve costruire il suo curricolo con l'aiuto di tutor o consuelor presenti nelle scuole.

    Quasi ovunque i capi di istituto sono assunti per selezione (fa eccezione la Spagna dove sono elettivi), quasi ovunque sono licenziabili, ma hanno potere di scelta sugli insegnanti sia per la assunzione su posti vacanti in buona parte dei paesi sia per le supplenze praticamente ovunque. Parallelamente hanno potere di licenziamento ed anche di sanzione disciplinare. I paesi che fanno eccezione sono una dozzina. Va tenuto presente che i salari degli insegnanti sono generalmente più alti che in Italia: ad esempio un salario terminale di un nostro maestro elementare è inferiore al PIL pro-capite, il salario iniziale di un insegnante portoghese (non svedese o danese!) è due volte e mezza il PIL pro capite portoghese.

    Le decisioni sull'uso dei fondi spettano quasi sempre al capo di istituto (in qualche caso previo parere del consiglio di istituto, soprattutto se ritratta di fondi privati), mentre per lo più è il consiglio di istituto che decide sulla selezione dei capi di istituto, e questi ultimi sulla selezione degli insegnanti.

    Da un punto di vista amministrativo le scuole dipendono da amministrazioni centrali o regionali in Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Germania, da amministrazioni comunali nei paesi scandinavi, in Scozia e in Ungheria, da apposite autorità locali in Inghilterra, sono del tutto autonome in Belgio e Olanda e in molti paesi dell'Est, dove sembra vigere una specie di legge del contrappasso rispetto ai precedenti regimi comunisti.

    Per una più precisa descrizione delle condizioni sopra descritte si vedi le slide allegate .

  • 10

    La formazione, il sapere e la conoscenza, guardano al futuro

    Dario Missaglia è da molti anni un attento osservatore e studioso dei problemi della scuola, della condizione degli insegnanti e degli studenti, ed è autore di numerosi saggi e articoli. Ha una lunga esperienza di dirigente sindacale prima nella CGIL Scuola, divenendo poi segretario nazionale della Federazione Formazione e Ricerca della CGIL nazionale. Attualmente dirige un istituto di istruzione superiore.

    Inizia il suo intervento sottolineando il clima di regressione culturale che si respira nel Paese, clima al quale necessariamente dobbiamo reagire. Ma quale direzione dare al lavoro del dirigente scolastico oggi e quale direzione al lavoro nella CGIL? Si dichiara orgoglioso Missaglia, di aver incontrato sulla sua strada il sindacato. La CGIL gli ha permesso di condividere un percorso politico con tanti altri e oggi la politica è importante, fa parte del ruolo del dirigente scolastico. Forse stiamo vivendo una crisi realmente epocale e in essa è necessario interrogarsi. Innanzitutto sul fatto che la scuola, come funzione pubblica dello Stato non ha un ruolo centrale nella politica di questo paese, nè con governi di centrodestra né, con le dovute differenze, con governi di centrosinistra. Ciò ha ragioni storiche profonde, che andrebbero sondate maggiormente proprio oggi, a 150 dall'Unità d'Italia, perché è lì la radice di tanti mali di questo paese, in quella fragile unificazione, subita più che supportata dalla Chiesa. Chiesa che, ancora negli anni '50, dalle pagine di Civiltà cattolica, definiva la libertà di non andare a scuola un diritto individuale.

    E ancora oggi i nodi irrisolti sono tanti, il nostro sistema produttivo non ha mai pensato alla conoscenza, come una risorsa economica per il Paese. Istruzione e lavoro sono sempre stati divisi, senza accorgersi che questi due elementi più si allontanano uno dall'altro, più si indeboliscono. E il "riordino" della Gelmini, persevera nell'errore.

     

    La nostra istruzione statale non produce uguaglianza, non è un fattore di trasformazione sociale.

    In questo orizzonte, l'autonomia ha rappresentato un fattore di rottura salutare, una profonda riforma culturale. Da una logica verticale, al cui apice c'era il Ministero, si è passati ad una orizzontale di condivisione. Ma tanti nodi legati all'autonomia restano irrisolti ed essere dirigente oggi, significa calarsi in questo flusso di cambiamento non ancora compiuto.

    Si rischia ancora il ritorno al modello verticale, tanti direttori degli Uffici scolastici regionali, continuano a porsi in modo gerarchico nei confronti dei dirigenti.

    Oggi sono tanti soggetti delle decisioni nelle scuole, in questo modello orizzontale, ma va studiato un modello di rappresentanza della scuola autonoma che abbia valore giuridico, altrimenti il rischio autoritario di affidare tutto al dirigente è grosso. È importante inoltre, secondo Missaglia, che si stabilisca un sistema di valutazione del dirigente. Come può il dirigente valutare i docenti se non è valutato esso stesso?

    Insomma è tanto il cammino da fare, ma è un cammino importante, per il senso sociale che ha il lavoro del dirigente, perché a scuola possiamo produrre legami sociali, perché i giovani a scuola possono apprendere la fiducia e superare la solitudine che c'è fuori. Perché il "consumo" vive nel presente. La formazione, il sapere, la conoscenza, guardano al futuro.

    Il video dell'intervento

  • 09

    Vai alla webcronaca della prima giornata

     

    Inizia la seconda giornata del Convegno nazionale dei Dirigenti scolastici.

    A coordinarla è Federico Marucelli che è stato responsabile regionale dei Dirigenti scolastici della FLC CGIL Toscana e dallo scorso settembre in pensione.

    Presenta i relatori che si alterneranno al microfono e i temi che saranno affrontati nelle loro comunicazioni.

    Inizia Antonio Valentino, Dirigente scolastico di un istituto di istruzione superiore. Ha diretto il settore aggiornamento e sperimentazione dell'IRRSAE Lombardia tra gli anni 80 e 90. Ha ricoperto incarichi sindacali presso il centro nazionale della CGIL SCUOLA e della FLC CGIL. È autore di libri e saggi sui vari aspetti della vita della scuola, con particolare riferimento all'organizzazione e alle politiche professionali.

    Verso un nuovo modello di governance del sistema: ragioni e ragionamenti

    In apertura del suo intervento, Valentino spiega che il nuovo titolo della sua comunicazione, rispetto a quanto riportato nel programma del convegno (n.d.r. Oltre l'autoreferenzialità. Gli "altri" tra indirizzo, controllo, responsabilità) esprime meglio la complessità del tema oggetto della relazione perché il tema della governance è certamente prioritario rispetto alla gestione di una scuola che deve fornire alle nuove generazioni gli strumenti per essere cittadini a pieno titolo.

    Il problema si inquadra meglio ponendo la domanda: perché lavorare a nuovi modelli di governo del sistema scuola è oggi una questione prioritaria?

    Si possono ipotizzare, afferma Valentino, tre risposte. La prima risiede nella fatica e nella difficoltà di dare gambe a obiettivi in cui si è creduto per una vita e che si ritengono sempre più necessari per garantire al nostro paese livelli di cittadinanza propri di un paese civile e democratico. La seconda nella consapevolezza che le nuove norme non innestano immediatamente processi virtuosi di cambiamento. La terza nella inadeguatezza dell'attuale modello degli organi Collegiali a gestire le sfide che la società chiede all'istruzione.
    Tutto ciò pur non disconoscendo l'impegno e la dedizione di numerosi dirigenti e docenti. Resta comunque aperto il problema del perché tante buone pratiche non fanno massa critica, anche se alcuni fenomeni ed eventi ci dicono che siamo in presenza di una svolta:

     

    • In primo luogo, la crisi dei sistemi centralizzati, come fenomeno diffuso (i sociologi parlano di "perdita del centro").

    • L'avvento dell'autonomia scolastica e del decentramento amministrativo.

    • La moltiplicazione dei soggetti in campo sia sulla linea cosiddetta verticale (accresciuto ruolo degli enti politici intermedi, dal Comune alla Regione) che su quella cosiddetta orizzontale (la scuola come esclusiva comunità di docenti studenti famiglie).

    • Il principio di sussidiarietà (verticale ed orizzontale), sancito dal nuovo titolo V

    • L'emergere dell'istanza della individualizzazione dei servizi.

    Diverse ricerche elaborano possibili soluzioni al problema della governance della scuola.
    Quella condotta in Lombardia nell'ambito del Progetto Leonardo VET GOVERNANCE elabora l'idea di un modello policentrico di governance centrato sull'autonomia delle Istituzioni Scolastiche e degli Enti Locali che attribuisce ai diversi soggetti istituzionali funzioni in linea con il principio di sussidiarietà. Un modello orizzontale di organizzazione dei servizi formativi, che si fonda sullo sviluppo di network e reti territoriali. Ipotizza altresì "Un processo di spostamento del luogo delle decisioni dall'alto verso il basso" e un "protagonismo diretto dei soggetti che per quanto riguarda le Istituzioni Scolastiche sono come corollario dell'Autonomia Scolastica.

    Anche la ricerca di Treelle che si sviluppa a partire dalle criticità dell'attuale modello degli OOCC come "non-sistema di governance" alimentata dalla perdurante assenza di ogni valutazione, contiene elementi positivi e di debolezza.

     

    Queste ricerche incrociano i temi del federalismo in genere e di quello scolastico in particolare e quindi la questione dei rischi e problemi della possibile frammentazione e dispersione dei modelli prospettati.

    Sul piano delle indicazioni operative Valentino mette in evidenza l'impossibilità di applicare un solo modello e suggerisce l'opportunità di più modelli orientati a risultati e principi comuni.

    La multiregolazione è una scelta che potrebbe essere risolutiva di molti problemi con cui conviviamo da parecchio, ma con alcune attenzioni:

     

    • Vanno esclusi sia il modello gerarchico che quello assembleare.

    • Va privilegiato il principio di corresponsabilità.

    • Vanno considerati necessariamente i possibili antidoti rispetto ai rischi di frantumazione e dispersione.

    Queste le osservazioni e considerazioni finali di Valentino. Non bastano le scelte di regolazione interna: il problema è se il modello di riferimento è effettivamente policentrico; se il principio di sussidiarietà diventa fondativo di diverse relazioni; se la rendicontazione e la valutazione sono operazioni vincolanti e impegnative; se la multiregolazione tra soggetti coinvolti è effettivamente ammessa e come la si rende attiva e funzionante.

    Va depotenziato, inoltre, il Collegio Docenti come somma di interessi personali e /o di gruppo. È necessario invece puntare sul protagonismo dei docenti nella elaborazione di un Progetto coerente con le linee di indirizzo della scuola. Tutto ciò senza dimenticare quanto scrive Crozier "On ne peut pas changer la societé par décret" (Crozier, 1979).

    Scarica le slide  e l'intervento integrale.

    Il video dell'intervento