Convegno nazionale "Valutare per migliorare: il contesto, i problemi, le proposte" - Prima giornata

  • 10.00

    Per il 2011, la sede scelta per l'annuale Convegno nazionale dei Dirigenti scolastici della FLC CGIL è Chianciano Terme, in provincia di Siena.

    Le due giornate di lavori previste per il 4 e il 5 maggio affronteranno il tema della valutazione. Esplicito il titolo del convegno "Valutare per migliorare: il contesto, i problemi, le proposte".
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    Prima sessione. Scenari di cambiamento e valutazione di scuole e personale

    I lavori della mattina, dopo la presentazione dei contenuti del convegno da parte di Antonio Bettoni, presidente di Proteo Fare Sapere, iniziano con la relazione di Gianni Carlini, coordinatore nazionale FLC CGIL dei dirigenti scolastici.

    La relazione di Carlini si apre con una chiara affermazione: "Noi siamo dalla parte della valutazione" e spiega che "il fine della valutazione nel sistema educativo di istruzione e formazione deve essere il miglioramento del sistema stesso attraverso il miglioramento dei processi e delle professionalità". E affronta subito un punto dolente, su cui tra mille polemiche stanno per cimentarsi le scuole: le prove Invalsi. Nonostante il loro carattere autoritario e strumentale, secondo Carlini, possono essere un'occasione per "interpretare gli esiti della valutazione" e riflettere sul lavoro svolto.

    Carlini ha poi riaffermato un binomio importante, anch'esso difficile, quello della valutazione-merito, la necessità cioè di "confrontare la qualità del lavoro e la qualità professionale di tutti i lavoratori nel concreto delle loro attività". Eppure è un binomio indispensabile per "l'aspirazione competente ed esplicita al miglioramento congiunta all'impegno per sapere e migliorare".

    Carlini non si nasconde che il contesto non è favorevole e i percorsi di valutazione delle scuole, dei docenti, dell'altro personale e, in particolare dei dirigenti, marcano limiti pesanti. Primo fra tutti la legge Brunetta che non ha affrontato le criticità del sistema pubblico scaricando le responsabilità delle sue inadeguatezze e arretratezze solo sul comportamento dei dipendenti pubblici. Per come si è delineato finora il confuso intervento legislativo del governo "la valutazione del personale della scuola verrebbe effettuata con criteri e strumenti definiti fuori dal contesto della scuola autonoma" e questo avrebbe ricadute negative sulla stessa valutazione del dirigente che "deve assicurare il diritto all'apprendimento degli alunni, l'esercizio della libertà di scelta delle famiglie, la libertà di insegnamento", dando conto di tutto ciò agli organi collegiali. Nel disegno che sembra delinearsi "uno degli aspetti del coinvolgimento della dirigenza nella valutazione, quello del dirigente come valutatore, è lasciato fuori dalla definizione degli obiettivi".

    Insomma criteri, obiettivi e percorsi della performance da valutare vengono definiti fuori dal contesto scolastico.

    Completano il contesto negativo e sfavorevole altri elementi: l'esclusione per legge (Brunetta) di una parte dei lavoratori dai premi, il blocco dei contratti e quindi l'assenza di risorse per valorizzare il merito, le sperimentazioni imposte dall'alto e con criteri discutibili volute di recente dal ministro.

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    10.40

    La relazione di Dario Missaglia, della Fondazione Di Vittorio e dirigente scolastico, ha per titolo Il lavoro e le persone.
    Perché, dice subito, la persona è di più del lavoro e il lavoro, oggi, ha un problema, per prima cosa deve esserci. E siccome la persona può cambiare il lavoro, le persone le possiamo valutare solo nel contesto in cui lavorano. Il lavoro è cambiato e sta cambiando, ma il miglior investimento per cambiare il lavoro è investire sul cambiamento delle persone. Missaglia fa riferimento alla Costituzione: in essa la Repubblica è fondata sul lavoro e il lavoro è finalizzato alla piena realizzazione delle persone. Il lavoro quindi non è pura merce. 

    È cambiato il rapporto lavoro/conoscenza. Anche se conoscenza e creatività sono entrati nel lavoro, c'è una visione "solitaria" della conoscenza. La politica della destra non ha bisogno di un lavoro basato sulla conoscenza. Il rapporto lavoro/conoscenza/creatività, assente nella politica della destra, è stato e deve restare patrimonio della politica della sinistra.
    Ma la possibilità di crescita di un Paese deve avvenire su basi ed equilibri nuovi: cultura, ambiente, nuove tecnologie... Un nuovo sviluppo potrebbe partire dalla ricerca di un nuovo equilibrio per una politica dei beni comuni e contro la politica di sola espansione dei consumi.

    Dewey diceva che non si può insegnare senza sapere dove va la società. Non si può nemmeno dirigere. Allora oggi dovremo prendere atto che la spinta propulsiva alla scolarizzazione è arrivata al termine e che la stratificazione sociale dei nostri alunni è cambiata. Si è arrestata la richiesta, c'è stata anche delusione rispetto al rapporto scolarizzazione/lavoro, c'è stata una caduta del ruolo sociale della scuola. La fine di questa espansione insomma crea qualche problema.

    Necessaria la rivalutazione del valore pubblico dell'istruzione e la sua connessione con la realtà locale in cui si opera. Pertanto possiamo seriamente criticare le modalità con cui l'Amministrazione ha proposto di valutare. Ma non possiamo rifiutare questa esperienza. Come lo progettiamo il futuro? Guardando o no all'Europa? Non dobbiamo fare i conti con le nuove tecnologie? Il repertorio simbolico – leggere, scrivere, far di conto – della scuola del Novecento è cambiato. Sembra che ci sia una scissione tra scuola e progresso. Ma come possiamo rispondere ai processi di regressione culturale? Come ricomporre la scissione?

    Non si tratta di adeguarsi ai processi, ma proporsi come ricerca di nuove competenze, di un nuovo equilibrio da ricostruire.
    Il lavoro ha subito uno scacco politico e il sindacato è stato messo ai margini anche perché costretto a porsi sulla difensiva. Oggi dobbiamo chiederci invece: quali persone? Quali competenze? Di quale contratto hanno bisogno le persone che lavorano nella scuola? Solo chi lavora nella scuola può cambiare il lavoro della scuola. Ma occorrono competenze vere, trasparenti e quindi valutabili. Sindacato e istituzioni debbono insieme essere protagonisti di questo cambiamento.

    11.30

    "Misurazione degli apprendimenti, valutazione delle scuole e miglioramento dei processi e dei risultati", questo il tema della relazione di Dino Cristanini, direttore dell'Invalsi con un passato di dirigente tecnico, quindi di esperto nel campo della didattica.

    Cristanini ha concluso il suo intervento con un'affermazione importante e cioè che la "misurazione degli apprendimenti è solo un pezzo della valutazione delle scuole". Ma un pezzo importante perché, richiamandosi alla Costituzione, ha spiegato che l'apprendimento è un diritto del singolo e un dovere della società, ma anche, viceversa, un diritto della società e un dovere del singolo. A questo principio è stato dato anche un valore economico, laddove è stato affermato e dimostrato che a un maggior livello di conoscenza dei cittadini corrisponde un aumento del Pil.

    La relazione del direttore dell'Invalsi è stata anche molto tecnica, laddove ha spiegato i criteri e i modelli delle rilevazioni e dei test ai quali partecipano altre 14 mila scuole. Cristanini non ha nascosto le polemiche che si sono sviluppate intorno ai test e neppure i problemi, come quello di trovare un equilibrio tra gli obiettivi nazionali che il sistema di istruzione si dà e il contesto in cui opera la singola scuola.

    Non solo, la riflessione riguarda anche ciò che i test rilevano. Per verificare le conoscenze sono sufficienti i test, per verificare le competenze servono strumenti più sofisticati e indici meno standardizzati. Le prove Invalsi, dice Cristanini citando alcuni commentatori, si muovono tra conoscenze e competenze. La valutazione deve essere sempre formativa e la valutazione quotidiana che accompagna gli alunni e i loro apprendimenti spetta al docente. Il ruolo e la missione dell'Invalsi è quella del "termometro", rileva un dato e lo mette a disposizione. La valutazione che fanno i docenti ha bisogno di essere supportata metodologicamente. L'Invalsi rileva, ad esempio, le differenze tra i risultati degli esami di stato e i risultati delle rilevazioni internazionali, laddove marcano variazioni a livello territoriale.

    Cristanini ha invitato i docenti a non avere timore delle prove, perché anche la qualità della somministrazione dei test, insieme alla qualità dei test e alla qualità della elaborazione dei dati, rende attendibile i risultati e la consapevolezza che quello che si rileva serve per migliorare. Il lavoro dell'Invalsi serve alla politica per cogliere quegli elementi critici che a livello di sistema o a livello di territorio vanno migliorati. Ma serve anche alla scuole per migliorare le didattiche. I dati disaggregati delle singole scuole e delle singole classi sono a loro disposizione per riflettere sul lavoro svolto e correggere e integrare laddove sia necessario. Nei rapporti tecnici sulle prove di matematica o di italiano sono evidenti gli aspetti dove la classe va bene e dove è carente. Queste diagnosi sono indispensabili al lavoro quotidiano dei docenti e dei dirigenti.

    La relazione ha poi illustrato il modello su cui si basa il progetto VALSIS (contesto-risorse-processi-risultati) che si compone di un complesso di indicatori che servono a integrare la prospettiva di sistema e la prospettiva della singola scuola.

    12.25

    La valutazione è tema trasversale a tutto il sistema della conoscenza, ha detto nella sua relazione Gianna Fracassi, segretaria nazionale della FLC CGIL. Ma ci troviamo di fronte a una situazione di svalutazione di questo tema da parte delle forze governative. Secondo la ministra Gelmini la valutazione riguarda solo i lavoratori ed è legata a una sfiducia nei confronti di chi opera nella scuola; è la concezione punitiva del governo espressa e ostentata dal ministro Brunetta. Quindi secondo noi nel decreto 150 c'è un'idea di fondo di valutazione individuale molto lontana dalle realtà delle nostre scuole.

    La FLC ha invece una visione diversa, la valutazione deve osservare il sistema formativo nel suo insieme e tendere al miglioramento, più che la valutazione dei singoli deve capire il sistema scolastico e a valorizzare il personale che vi lavora. Questi principi ci dividono profondamente e prima di tutto dalle scelte del governo.

    C'è poi un secondo aspetto, la valutazione secondo la Gelmini si fa senza risorse. D'altra parte è logico, se non si deve migliorare il sistema non serve investire sul personale, sul suo aggiornamento, sulla sua professionalità, sul rinnovamento della conoscenza. Qualunque operazione è finalizzata al "conto pari". Un solo dato, siamo passati dal 2002, quando si investivano 42 milioni per la formazione, a 8 milioni, l'anno prossimo solo a 4...

    Secondo il governo la valutazione indaga solo gli aspetti interni alla scuola, c'è assenza completa di una valutazione della politica scolastica. Come c'è un'assenza completa della rendicontazione alle famiglie e agli studenti. Noi crediamo in una molteplicità di fattori e di punti di vista nella valutazione, insomma in una valutazione che sia un supporto alla scuola e al suo sviluppo.

    Gianna Fracassi cita un documento riguardante l'Intesa della conoscenza che prevedeva l'aggiornamento e un sistema nazionale di valutazione. Si trattava di un architrave della valutazione finalizzata al miglioramento del sistema formativo. Valutazione insomma come valorizzazione.

    L'Invalsi deve avere un peso, deve offrire elementi utili per il miglioramento.

    Continueremo, ha concluso Gianna Fracassi, a lavorare su questo tema. Intanto ricorda alcune scadenze, come lo sciopero del 6 maggio e gli Stati Generali della Conoscenza del 17 e del 18 maggio.

    Seconda sessione. Le condizioni e le garanzie

    15.20

    Le condizioni e le garanzie per una valutazione efficace è il tema della discussione pomeridiana aperta e coordinata da Doriano Bizzarri, responsabile dei dirigenti scolastici per la FLC CGIL Toscana.

    La prima relazione è di Augusto Paletta, docente del dipartimento scienze aziendali dell'università di Bologna, che ha analizzato gli scenari nei quali si trova ad operare la scuola: fare di più, meglio e con meno risorse.

    In una diminuzione generale dei finanziamenti statali alla scuola pubblica, l'Italia si trova in una situazione particolare, perché ha una spesa per l'istruzione in rapporto al Pil e alla spesa pubblica inferiore rispetto agli altri paesi Ocse: da 10 anni il trend è sempre discendente. Questa situazione porta all'aumento della competizione tra scuole per attrarre più risorse. Ma la competizione tout court porta come conseguenza – si veda cosa è successo nei sistemi anglosassoni – all'aumento delle diseguaglianze. Competizione e cooperazione devono andare di pari passi per fare di più, meglio e insieme.

    Esaminando il sistema delle responsabilità e di formazione delle decisioni, Paletta ha sottolineato che solo il 46% delle decisioni che le riguardano sono prese dalle scuole, il rimanente 64% viene preso altrove. Con questa parcellizzazione è difficile individuare le responsabilità, soprattutto in assenza di risultati. La soluzione è la cooperazione istituzionale sul territorio, per evitare che conflitti di competenze tra poteri portino alla paralisi anche decisionale.

    Il dirigente scolastico deve essere al centro delle reti territoriali che decidono i piani formativi del territorio, perché sono le scuole a conoscere bene i processi educativi e devono partecipare alla decisione sui progetti strategicamente prioritari.

    Dopo avere esaminati i diversi interrogativi sulla valutazione della performance che la legge Brunetta pone e sugli standard di riferimento, Paletta si è soffermato sull'importanza nella mission della scuola di aspetti non misurabili come la creatività, le dimensioni psico-sociali, interventi di cittadinanza attiva (es. la legalità), ecc. In una parola la scuola deve rendere conto del capitale umano completo e non solo della conoscenza delle discipline di base. Le scuole devono imparare a fare una rendicontazione sociale, un bilancio sociale che è il risultato e la sintesi di vari elementi: l'autovalutazione che ha senso se si hanno obiettivi chiari e si valutano rispetto alle attese degli stakeholders, le valutazioni centralizzate come quelle Invalsi da applicare agli obiettivi. E su tutto il confronto con le altre scuole e gli altri soggetti.

    16.00

    Luciano Hinna, Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, ha trattato il tema "Dallo spartito alla musica, dalla norma alla riforma - Metodologia della ricerca e della valutazione per la formazione". I punti trattati sono stati:

    - Il concetto di controllo di gestione da prima del Dlgs 29/93 al dopo Dlgs 150/09
    - Il significato della parola controllo e della parola gestione
    - Le differenze tra controllo di gestione e gestione della performance
    - La funzione misurazione in funzione delle dimensioni della performance

    Il problema in Italia, ha sostenuto in sintesi lo studioso, è che ogni riforma nasce zoppa: tutto viene rinviato a decreti attuativi. E le norme in genere vengono accolte con scetticismo, ognuno cerca una strada individuale (sia per attuare sia per evitare la norma).

    La valutazione è complessa, richiede preparazione dei valutatori e disponibilità dei valutati. E poi: come si possono rendere oggettivi i dati valutati?
    Noi abbiamo un deficit di trasparenza, abbiamo carenze di sistemi relative ai soggetti e ai sistemi di programmazione. Occorrerà creare una categoria di valutatori e la disponibilità di un "pubblico". Noi abbiamo in mente il "controllo" che non è finalizzato al miglioramento. Al miglioramento del sistema deve essere invece finalizzata la valutazione. Si tratta di creare risorse umane, organismi di controllo (arbitri della performance), di passare da una gestione competitiva a una gestione collaborativa, ecc.

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    16.30

    Di uno strumento per la valutazione e l'autovalutazione della professionalità docente ha parlato Armida Sabbatini, ricercatrice dell'università di Pavia, che ha presentato i risultati di una ricerca il cui scopo era mettere a punto uno strumento utile per l'autovalutazione basato sulla massima partecipazione dei soggetti.

    La valutazione è un mosaico e l'autovalutazione ne è un importante tassello, imprescindibile se la finalità è il miglioramento della performance. L'autovalutazione per essere efficace deve essere svincolata da meccanismi premiali e deve avere un forte orientamento pedagogico. Il modello da costruire deve essere utile, affidabile, accurato, divenire uno strumento di confronto e di scambio di idee sul lavoro didattico, dunque favorire la collaborazione.

    Dopo avere illustrato la ricerca, che indagava sulle caratteristiche della valutazione della professionalità docente, i possibili soggetti valutatori e le modalità del suo svolgimento eha coinvolto docenti, dirigenti, altro personale scolastico, associazioni, sindacati... di sette regioni, Sabbatini ha spiegato come è stato messo a punto e sperimentato lo strumento valutativo chiamato VIP.Doc.FACILE. Il lavoro ha permesso di rilevare tutti i problemi che sorgono intorno alla valutazione, primo fra tutti la mancanza di una cultura della valutazione, al di fuori di meccanismi puramente meritocratici. Ma ha permesso anche di rilevare che un modello di valutazione/autovalutazione partecipato è utile a riflettere sulle proprie competenze professionali, ri-orientarle se necessario, individuare elementi critici, sviluppare progetti formativi, costruire una memoria della professionalità nella scuola che incontri le professionalità dei nuovi assunti.

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    17.20

    Il titolo della relazione di Damiano Previtali, collaboratore Miur e Invalsi, è Valutare per migliorare.

    La valutazione presuppone un buon progetto esecutivo. Cita Francesco De Sanctis: "Per me la garanzia di una buona scuola è un buon direttore". La tesi infatti è: vi è correlazione tra performance delle organizzazioni e performance dei dirigenti.

    Tuttavia l'autonomia della scuola presuppone un sistema di valutazione. Per questo occorrono parametri e occorre che parametri e risultati vengano messi a disposizione della comunità. La valutazione riguarda:

    - il sistema
    - il personale
    - la scuola
    - l'apprendimento degli studenti.

    Previtali richiama poi alcuni provvedimenti legislativi, tra cui la legge 517 del 1977. Occorre collaborazione tra ministero e scuole e tra scuole e società. È utile un livello centrale che osservi le scuole, ma non basta, come non basta costruire macro indicatori. Se avremo un modello di valutazione fortemente centralizzato, costringeremo i dirigenti scolastici a riproporre un modello simile. E invece c'è bisogno di responsabilità, condivisione, interesse e il coinvolgimento dei dirigenti scolastici è indispensabile, anche per motivarli poi a una rendicontazione sociale e ad attivare a loro volta processi motivazionali.

    L'idea di scuola positiva è quella di una scuola che guarda in alto. Ma quella della valutazione è una partita aperta, non più rinviabile. E il tempo è poco.

    17.50

    Chiude la carrellata delle relazioni Domenico Pantaleo, segretario generale della FLC CGIL, che non nasconde quando sia complesso anche per il sindacato il tema della valutazione. E quanta diffidenza susciti, in parte giustificata, a causa dell'atteggiamento autoritario e punitivo del governo verso la scuola, dai tagli, alle offese, all'improvvisazione.

    La FLC è per la valutazione del sistema che abbia indicatori certi e approcci innovativi, è un sindacato aperto alla cultura della valutazione. Una valutazione efficace deve tenere conto dei contesti e delle finalità del soggetto valutato.

    La crisi generale, che non è solo economica, pesa sulla scuola in modo particolare. La scuola fa fatica a trovare una sua forza educativa se la realtà smentisce i suoi messaggi: in Italia, contrariamente a quanto avviene in Europa, i pochi laureati o non trovano lavoro e sono costretti a emigrare o devono accettare lavori che non corrispondono alla loro formazione. Abbiamo quindi un mercato del lavoro e un sistema produttivo che scoraggiano la formazione. In questo modo l'istruzione ha smesso di essere strumento di mobilità sociale. Questo è un contesto generale difficile, quando una delle missioni più importanti della scuola è garantire il successo formativo, che non significa solo completare gli studi, ma avere gli strumenti per continuare a imparare.

    La valutazione non può riguardare solo la qualità degli apprendimenti, ma tutti i fattori che concorrono a fare formazione e deve coinvolgere tutti i soggetti della comunità educativa. Un sistema di valutazione per dimostrare la sua efficacia deve distendersi su un arco temporale di almeno 3 anni e deve scaturire da un processo condiviso e gestito da attori credibili. Bene l'Invalsi, ma deve essere un organo indipendente e messo in grado di lavorare con risorse certe (oggi rischia il commissariamento e vive sul lavoro di precari).

    Infine, un sistema condiviso e partecipato ha bisogno di più contrattazione. Da questo punto di vista non aiutano le rigidità introdotte nel sistema pubblico dalle norme Brunetta, sono un ostacolo a favorire la valutazione finalizzata al miglioramento della prestazione lavorativa. Questo ha bisogno di flessibilità, di correzione in corso d'opera e non lo si può fare se la prestazione lavorativa è ingabbiata in norme di legge. È la contrattazione e il negoziato a fornire la flessibilità necessaria.