Convegno nazionale "La dirigenza scolastica tra questioni aperte e nuove complessità organizzative" - Prima giornata

  • 10.30

    "La dirigenza scolastica tra questioni aperte e nuove complessità organizzative". Con questo titolo si apre oggi a Napoli l'appuntamento annuale dei dirigenti scolastici della FLC CGIL. Un incontro a più voci sui temi più attuali della scuola, della sua organizzazione, della sua gestione e della sua missione.
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    Quest'anno, nella magnifica cornice della Cappella Palatina del Palazzo Reale partenopeo, il convegno si articolerà in tre sessioni e due tavole rotonde.

    Le sessioni

    1. Gestione unitaria e scelte valoriali e organizzative
    2. Le sfide: dimensionamento, nuove complessità, valutazione
    3. Nuove prospettive, nuovo profilo?

    Le tavole rotonde

    1. Idea e forme di leadership nelle scuole di fronte alle nuove complessità e attese
    2. Autonomia scolastica e organi di governo della scuola.

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    La discussione farà necessariamente i conti con il contesto attuale della scuola italiana, avvilita da un decennio di tagli, di non-riforme, di provvedimenti confusi e frustrata dai continui attacchi al suo personale. Ma l'obiettivo del convegno è guardare oltre, perché, nonostante tutto, la scuola e l'istruzione sono chiamate a svolgere un ruolo importante di emancipazione, a essere un presidio di democrazia e di cittadinanza attiva e consapevole. La missione della scuola non è cambiata, ma si è arricchita, perché più complessa è la domanda sociale e le domande dei singoli. A queste domande la scuola non può sottrarsi. Da qui la grande responsabilità che i dirigenti scolastici sentono pesare sulle loro spalle e che pone loro domande altrettanto complesse in termini di professionalità e cultura professionale, di governo e leadership, di dialogo con tutti gli altri protagonisti dell'istruzione, di organizzazione della comunità educante.

    La redazione del sito seguirà le due giornate del convegno e metterà a disposizione dei nostri lettori i resoconti dei lavori e i testi dei relatori che interverranno.

    10.40

    La prima giornata dei lavori è iniziata in modo davvero suggestivo con l'esibizione dell'Ensemble di strumenti a fiato degli allievi del Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, diretti dal maestro Paolo Addesso. I giovani musicisti hanno eseguito l'Inno nazionale e il "Va' pensiero" dal Nabucco di Verdi.

    Gli onori di casa sono stati affidati a Fiorella Esposito, dirigente scolastica della FLC CGIL Napoli, che ha ringraziato i tre istituti professionali che hanno contribuito all'organizzazione del convegno fornendo i servizi di accoglienza, il catering, la grafica e i servizi fotografici.
    Il contesto di Napoli e del Sud non potevano essere assenti dai primi interventi di saluto, che sono stati davvero poco formali. Esposito ha ricordato l'assenza di futuro per i giovani, una situazione che facilita, soprattutto nel Mezzogiorno, l'opera di adescamento della criminalità. L'istruzione può contrastare tutto questo, ma non basta: sono necessarie efficaci politiche attive sul lavoro, ma su questo sono gravi i ritardi della politica e delle istituzioni. Federico Libertino, segretario della Camera del lavoro di Napoli, ha ricordato le 700 vertenze aperte in tutta la Campania, perché in questa regione la crisi è devastante e tocca tutti i settori produttivi. Il segretario regionale della FLC CGIL Vassallo ha messo l'accento sui pesanti tagli che la scuola ha subito in Campania: 18 mila, circa il 14% dei tagli nazionali. Nonostante l'alto numero di richieste da parte delle famiglie, ha precisato Vassallo, il tempo pieno riesce a fruirlo solo il 6% degli alunni.
    Il Direttore dell'Ufficio scolastico regionale Diego Buscè ha parlato brevemente della sua esperienza di uomo di scuola – è stato docente, preside, ispettore – e di quanto sia stato difficile misurarsi nel suo recente incarico nella regione con un dimensionamento che dovrà riguardare 289 istituti, di cui 140 già "dimensionati".
    Il sovrintendente ai beni architettonici, culturali e paesaggistici Stefano Gizzi, a cui gli organizzatori sono particolarmente grati per la concessione della Cappella palatina, ha raccontato in breve la storia del Palazzo reale e della scomposizione dei suoi spazi nel corso del tempo. Ha parlato dello splendido patrimonio artistico napoletano molto complesso e purtroppo molto compromesso da un abusivismo difficile da sradicare.

    Antonio Bettoni, presidente nazionale di Proteo Fare Sapere, ha introdotto i temi del convegno, ricordando che dietro tutte le riflessioni, le discussioni, le elaborazioni c'è sempre il "principe" dei problemi: "la ragione sociale della scuola", "la sua funzione pubblica". Bettoni si è soffermato sulla perdita di valore dell'istruzione e della cultura che fa scemare la motivazione delle famiglie a investire sulla formazione dei figli e dei giovani a istruirsi. Questa situazione, precisa il presidente di Proteo, richiama la nostra responsabilità di gente di scuola, impone alla scuola un recupero di qualità che passa anche dai modelli formativi, dalla professionalità dei docenti... ma ridare un alto valore alla cultura e alla istruzione non dipende solo dalla scuola. I disoccupati con la laurea di primo livello sono aumentati del 7% dal 2008 al 2011, ha detto Bettoni citando dati di AlmaLaurea.
    L'istruzione ha smesso di essere fattore di mobilità sociale: lo stipendio medio di un laureato di primo livello era nel 2088 di 1.247 euro contro i 1.105 del 2011. Contro un contesto sociale così asfittico la scuola da sola non ce la fa e ha difficoltà a rispondere all'imbarazzante domanda di tanti giovani, in tutte le parti d'Italia: "Perché devo andare a scuola?". Ma Bettoni invita a non cedere e a non mollare, perché comunque la scuola, i docenti, i dirigenti una risposta devono darla, sapendo che non è una risposta univoca.

    11.10

    Entra subito nel merito dei problemi la relazione di Gianni Carlini, coordinatore nazionale dei dirigenti scolastici della FLC CGIL. "Nelle difficoltà del momento, la scuola è una delle poche istituzioni che ancora raccoglie tanti consensi e che attiva, nonostante tutto, l'impegno di molte persone. I dirigenti scolastici, insieme a tutti gli operatori della scuola, sanno di dover corrispondere a questo interesse e ai sentimenti e alle aspettative delle famiglie e soprattutto dei giovani. Per affrontare la sfida che ha di fronte, la scuola ha bisogno di ritrovare fiducia in se stessa e nella sua capacità di farcela, ha bisogno di coesione e di certezze, di riconoscimento sociale e di sostegno".

    Solo insieme è possibile – richiama Carlini – adeguare la scuola ai bisogni delle persone e della società, cioè con la partecipazione di tutti coloro che lavorano nella scuola e di quanti sono interessati a mantenere alta la qualità della scuola pubblica.

    La relazione non ha ignorato la situazione generale del Paese, il disastro del precedente governo, di cui per fortuna ci siamo sbarazzati. Carlini ci informa che ancora non sono certificati gli effetti delle politiche del governo Berlusconi sulla scuola perché i dati disponibili sono curiosamente fermi all'anno scolastico 2008-2009. "Perché non sono stati pubblicati i dati successivi?" Domanda retorica.

    Un cambio di passo ha chiesto Carlini. Non si uscirà dalla crisi né ci sarà sviluppo se la quota del Pil destinata alla conoscenza non si allineerà a quella degli altri paesi Ocse, passando dal 4,8 al 5,9%.

    Dall'autonomia al centralismo. Entrando nel merito del ruolo della dirigenza scolastica in questi tempi difficili, Carlini ha ricordato che la prima stagione dell'autonomia scolastica e della dirigenza aveva suscitato molte aspettative ed era stata vissuta con una forte motivazione. Purtroppo sia le une che l'altra sono andate deluse dai diversi governi che invece di aiutare le scuole ad assumersi le proprie responsabilità, "hanno attuato politiche sempre più centralistiche e antiautonomistiche", dimostrando, nonostante i proclami, di non avere alcuna fiducia nell'autonomia della scuola. L'autonomia è stata brandita solo per scaricare sulle scuole oneri impropri, di competenza di altre amministrazioni, che nulla hanno a che vedere con la didattica e l'istruzione. Mentre le prescrizioni dall'alto sono diventate sempre più invasive e pesanti. E intanto i veri problemi sono rimasti insoluti.

    La tempesta del dimensionamento nella quale le scuole rischiano il naufragio è stata scatenata solo per risparmiare. In un momento, maggio, molto delicato nella vita della scuola, bisogna fare i conti con un processo confuso che sta scatenando conflitti tra ministero ed enti locali. La scuola ha bisogno di certezze e invece con questo dimensionamento affrettato e male organizzato non sarà possibile garantire nemmeno la continuità didattica, cioè gli stessi docenti alle stesse classi. La preoccupazione delle famiglie è più che fondata. Ma l'incertezza sul proprio futuro e la propria collocazione riguarda anche migliaia di lavoratori. "Nessuna impresa, neanche molto più piccola della scuola pubblica italiana, ha mai fatto tali interventi di riorganizzazione della sua rete produttiva senza preoccuparsi della tenuta del sistema e della sostenibilità delle ristrutturazioni, senza investire risorse e senza adottare sapienti strategie per preservarla dal collasso e garantirne la continuità. Questa è la ragione per cui il dimensionamento della rete scolastica non si doveva fare nel modo e con i tempi con i quali è stato fatto". I dirigenti scolastici si scontreranno, quindi, con la difficoltà di "garantire equità e uguaglianza di opportunità e di risultati per tutti e per ciascuno degli alunni".

    Legata al dimensionamento c'è anche la vicenda della direzione delle scuole, delle reggenze, del concorso in atto, del sovrannumero di personale (dirigenti, docenti, personale ATA). E infine la questione del "federalismo", dell'impegno finanziario dello Stato per garantire gli standard nazionali del sistema, il ruolo delle regioni e il rischio di sperequazioni e di diffusione e aggravamento delle diseguaglianze territoriali.

    Carlini ha fatto riferimento anche agli organi collegiali della scuola e al disegno di legge depositato in Parlamento che è stato epurato dagli aspetti peggiori presenti nella proposta precedentemente presentata da Valentina Aprea, diventando un'interessante base di discussione.

    Sulle misure per risollevare la situazione della scuola italiana, Carlini ha rimandato alle 10 proposte presentate dalla FLC, tutte realizzabili subito e tutte a costo zero o quasi.
    Leggi le nostre proposte

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    12.15

    "I dirigenti scolastici come presidio di equità e uguaglianza" è stato l'argomento della relazione di Paolo Cortigiani, dirigente scolastico di Genova. Equità – ha esordito – è un concetto complesso e fonte di contrasti e conflitti nell'attribuzione dei significati. "Troppo spesso i progressisti cadono nelle trappole dei frame dei conservatori. Evitarlo richiede una nuova consapevolezza. Uscirne richiede discernimento e coraggio" questa frase di George Lakoff, citata in apertura da Cortigiani, è davvero una metafora dei nostri tempi e serve al relatore per esaminare le diverse concezioni e i diversi significati che vengono dati ai concetti di equità e uguaglianza, che da circa 30 anni sono state quasi derubricate dal vocabolario e dalle politiche della sinistra, che così facendo ha perso la propria autonomia culturale oltre che politica. Ma il concetto di equità ha subito anche una sorta di "neutralizzazione" di significato, soprattutto nei documenti istituzionali, europei o nazionali, creando confusione. Nell'applicazione pratica dei diversi significati di equità si è persino arrivati a produrre una distorsione delle finalità del servizio scolastico.

    Definire l'equità come "rispetto dei diritti" significa fare riferimento a quanto stabilito dalla Costituzione. La scuola è un'istituzione, un bene pubblico non disponibile agli interessi delle parti (Donolo). Questa concezione è messa in discussione da quanti ritengono che la scuola pubblica sia alla pari degli altri soggetti portatori di interessi, degli altri stakeholders. L'obiettivo è destatalizzare la decisione politica con conseguente indebolimento dei diritti e dei beni comuni.

    Nell'affermazione e diffusione del pensiero liberista o neoliberale prevale l'idea della scuola-azienda, nella quale l'equità è intesa "come soddisfazione delle preferenze dei clienti". Una sorta di scuola à la carte che non può determinare un'offerta formativa, ma adattarsi alle esigenze dei singoli. C'è in questa concezione una selezione implicita delle finalità istituzionali, dove al posto dei prezzi (importanti per un'azienda che vende qualcosa) ci sono indicatori di prestazione sui quali attivare la valutazione. Cortigiani parla di uso maldestro di questi indicatori che sono attivabili sono su aspetti misurabili, mentre nella scuola sono più significativi gli aspetti non misurabili. Il risultato è che alla fine la scuola lavorerà solo su ciò che è misurabile, perché su quello sarà valutata, trascurando il resto. Un'altra distorsione della scuola azienda è che essa cerca i "clienti migliori", considerando gli altri "clienti residuali" e perciò lasciandoli da parte.

    Il clou della concezione neoliberista è l'equità come "riconoscimento del merito", valutando ciascuno per il risultato conseguito e considerando negative dal punto di vista etico ed economico tutte le azioni volte a una redistribuzione delle attenzioni dell'istituzione scolastica. La diseguaglianza è considerata efficienza e la funzione della scuola è solo quella di selezionare i migliori. Persino nell'equazione equità come uguaglianza delle opportunità si celano conflitti tra chi considera l'istruzione una gara alla quale tutti hanno accesso, tra chi la considera una gara ma bisogna guardare anche alle condizioni di partenza e chi non la considera una gara ma, come Don Milani, ritiene che bisogna dare di più a chi ha di meno.

    Come se ne esce? Cortigiani preferisce la definizione di equità come eguaglianza delle libertà, le libertà effettive, quella dell'articolo 3 della nostra Costituzione. Conclude dicendo che bisogna far uscire i concetti di equità ed eguaglianza dalla notte in cui tutte le vacche sono nere, recuperando anche il rapporto scuola-società, perché inclusione e cittadinanza non si conquistano solo nelle scuole.

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    13.30

    Nelle prossime ore proseguiremo l'aggiornamento della web-cronaca con i resoconti delle successive sessioni dei lavori.

    15.00

    La sessione pomeridiana del 3 maggio, presieduta dalla dirigente scolastica Roberta Fanfarillo, aveva un titolo impegnativo. “Le sfide: dimensionamento, nuove complessità, valutazione”.

    Ha aperto la discussione Giovanna Barzanò, dirigente tecnico del Miur ma al convegno in veste di studiosa dei sistemi internazionali di valutazione. La sua relazione si è soffermata su una parola chiave della valutazione: accountability, parola di origine latina, ma ormai impostasi nella sua forma inglese. Accountability ha diverse accezioni, decine di aggettivi contraddittori la definiscono, tanto che per molti è un positivo strumento di controllo democratico, per altri è un fatto negativo se non ne vengono chiariti gli ambiti e i criteri di riferimento.

    L’ambiguità del termine, secondo Barzanò, è causato soprattutto dall’evocazione numerica del conto e non solo dal racconto. In realtà “rendere conto” è un fatto democratico e la relatrice ha portato l’esempio circolare dell’amministratore che rende conto al politico che rende conto all’elettore. L’accountability pubblica riguarda la vita sociale e il controllo sociale tra le parti. Nella scuola il rendere conto deve avere la voce dei “professionisti”. Rendere conto attiene al senso di responsabilità, suscita aspettative collettive di conformità alle regole. L’unica avvertenza è di non preoccuparsi solo dei fattori economici perché in questa rendicontazione sociale non va dimenticata la complessità dei processi educativi. Barzanò ha invitato ad affrontare anche con serenità i problemi della valutazione e del rendere conto. Si tratta di una tendenza internazionale, ma non per questo dobbiamo subirla o importare modelli altrui. L’esperienza degli altri è utile, ci fornisce spunti, ma poi i “trend globali” vanno adattati alla realtà locale. In Italia sarebbe impensabile un sistema che valuta oltre 10 mila scuola (oltre 8 mila dopo il dimensionamento). Come fare? Altri paesi, ad esempio, hanno costruito un sistema informativo di base rigoroso e ben strutturato, da cui trarre indicatori per interventi differenziati anche su problemi analoghi. Barzanò non vedrebbe male che le esperienze, le pratiche scolastiche migliori possano divenire patrimonio attraverso la peer review. La valutazione ha senso ed è utile se sono chiare le sue finalità.

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    Domenico Pantaleo, segretario generale della FLC, ha espresso le sue preoccupazioni per l’attuale momento di “crisi di sistema”. La disoccupazione giovanile oltre il 35%, l’aumento della povertà, la diffusione della precarietà sono il segno tangibile della gravità della situazione che investe anche la scuola che perde ruolo e valore. Il 18% dei giovani non è né a scuola né al lavoro, la dispersione scolastica e l’interruzione degli studi è in aumento (e non solo per questioni economiche), il 60% dei diplomati non va all’università. Si è interrotto il ciclo nel quale l’aumento dell’istruzione, dei saperi e delle competenze produceva sviluppo, nel quale la scuola di massa aveva un ruolo formidabile nell’avanzamento sociale. Oggi la scuola è vista solo come un costo e Pantaleo non ravvisa niente di buono nella prossima spending review annunciata dal governo. Nonostante le politiche pessime del precedente governo la scuola italiana non è da cancellare, come a volte vogliono farci credere talune interpretazioni di ricerche internazionali. Sulle macerie è più difficile costruire. La scuola italiana è molto differenziata, non c’è sistema. Gli stessi sistemi socio-economici che distruggono le culture e le sapienze locali distruggono anche i valori culturali e tolgono senso alla scuola e alla cultura. E invece la scuola deve tornare a essere un presidio culturale territoriale, con biblioteche aperte, con nuovi modi di fare didattica, sviluppando una rinnovata partecipazione di famiglie e istituzioni locali. La scuola va cambiata e migliorata, ha detto Pantaleo, ma per farlo servono investimenti. Pantaleo ha affrontato tanti temi attuali e scottanti. La valutazione è “una necessità fisiologica”, serve a migliorare la scuola, ma non si può pensare di farla solo con i test Invalsi. La dirigenza scolastica deve essere liberata dal peso ideologico della legge Brunetta, dagli eccessi di burocrazia, dall’ossessione dei controlli quantitativi... La scuola è una comunità educativa non può essere organizzata in modo gerarchico. La dirigenza scolastica è altro dalla dirigenza statale, proprio per la specificità dell’istituzione scolastica. Ha poi affrontato il tema del dimensionamento per criticarne i tempi e i modi, le conseguenze sull’occupazione, l’ingestibilità di molti istituti, la difficoltà degli alunni di raggiungere le sedi scolastiche in un momento in cui i comuni non hanno soldi per potenziare i trasporti. Ha parlato del federalismo e del rischio che, al posto della collaborazione, si accentui il conflitto istituzionale se il centralismo statale viene tout court sostituito dal centralismo regionale. Sugli organi collegiali ha detto che la proposta di legge in Parlamento è una base di discussione ma va emendata in molti punti. Ha concluso dicendo che la scuola ha bisogno di idee forti e di un’elaborazione di alto livello.

    Ha concluso la serata l’intervento di Giancarlo Cerini, dirigente tecnico del Miur ma anch’egli in veste personale al convegno. Ha esordito dicendo che il 2011 è stato un annus horribilis per via del dimensionamento e per le modalità di reclutamento dei dirigenti scolastici. La legge 111/2011 cambia completamente le regole dell’organizzazione della vita della scuola, ma è un intervento che nasce da un’emergenza finanziaria, 10 anni fa il sistema scolastico aveva già subito un dimensionamento; oggi è mancato un progetto, un piano di accompagnamento, la definizione di ambiti territoriali ottimali per lo sviluppo dei servizi locali. Il dimensionamento avrà un effetto significativo soprattutto sul primo ciclo perché potrebbe sviluppare gli istituti comprensivi. Il comprensivo è un modello e un’idea di scuola molto importante se non ripercorre logiche non coerenti con il curricolo verticale del percorso 3-14 anni. Il modello non può essere la lezione frontale, ma un’altra didattica gestita e organizzata da una comunità professionale pensante. Il curricolo verticale non è solo continuità, ma progressione dei saperi verso l’alto, una regia comune per gli apprendimenti. Per i docenti non significa perdita di identità ma occasione di rinnovamento e rilancio professionale. Questa brutta legge, quindi, può fornire l’occasione di ripensare l’organizzazione dei cicli. Cerini non pensa che vada accorciata la scuola primaria per consentire ai ragazzi di uscire dalla scuola entro i 18 anni, ma propone di studiare forme di accompagnamento  post scuola o verso l’università o verso altre forme di formazione superiore.

    Soffermandosi poi su autonomia e ruolo dei dirigenti scolastici, Cerini ha l’idea che autonomia non debba essere interpretata come semplice management, perché il dirigente deve presidiare anche gli apprendimenti, è garante del bene comune di quel territorio, solo così esercita una leadership strategica. Non è un semplice esecutore. I dirigenti scolastici, dice Cerini, dovrebbe girare con la fascia tricolore. Ha concluso il suo intervento con una serie di domande per ripensare al ruolo, alle finalità e al senso dell’autonomia scolastica.

    19.00

    Il convegno proseguirà nella giornata di domani venerdì 4 maggio:
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