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Il 26 ottobre 2017 si è aperto a Firenze il convegno nazionale annuale dei dirigenti scolastici della FLC CGIL organizzato in collaborazione con l’Associazione professionale Proteo Fare Sapere.
Quest’anno il tema è particolarmente stimolante Dirigente scolastico oggi: un profilo da riconoscere e valorizzare. Un tema che è tornato di attualità alla vigilia di un importante rinnovo contrattuale nel quale dovrà essere affrontato il tema delle insostenibili responsabilità che oggi gravano sui dirigenti scolastici e dovrà essere rivendicato il riconoscimento della pari dignità retributiva con gli altri dirigenti pubblici. Secondo noi il profilo del dirigente scolastico resta quello declinato dall’articolo 25 del DLgs 165/01 e dagli articoli 1 e 2 del CCNL dell’Area V: un dirigente fortemente ancorato alla specificità della comunità scolastica, con autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane, che ne fanno una figura unica nella pubblica amministrazione e rendono ancora più ingiusta l’attuale differenza retributiva tra i dirigenti scolastici e il resto dei dirigenti pubblici.

Programma dei lavori

Vai alla web-cronaca della seconda giornata

Prima sessione

I lavori della mattinata sono stati presieduti da Sergio Sorella, Presidente nazionale di Proteo Fare Sapere, che ha fatto un intervento sulle proposte riguardanti il profilo del dirigente scolastico. Ha ricordato che nei giorni scorsi il governo ha trasmesso all’ARAN l’atto d’indirizzo con il quale si è aperta formalmente la fase del rinnovo contrattuale. In questi giorni si rincorrono voci di aumenti salariali per i dirigenti scolastici per avvicinarli alle retribuzioni dei dirigenti pubblici. Qualcuno malignamente ha parlato di scambio: si chiede ai dirigenti una fedeltà alla linea a fronte di benefici economici. Il recupero salariale dopo anni di vacanza contrattuale e la valorizzazione delle professionalità dovranno trovare una giusta sintesi nel rinnovo contrattuale. Ha sottolineato che bisogna approfondire il profilo del dirigente scolastico e che sia utile ridefinirlo in base ad un’idea di scuola che noi abbiamo. La scuola inclusiva, collegiale, che non lascia nessuno indietro, richiamata nei principi della nostra carta costituzionale, con lo stato che deve rimuovere le cause che non consentono la realizzazione degli individui. Ha ricordato l’interessante Convegno del 20 ottobre scorso, organizzato come Proteo Fare Sapere, con l’Università Roma Tre: La passione educativa di Gramsci ad ottanta anni dalla sua scomparsa Una sintesi di grande rilievo sul valore dell’istruzione e della scuola come luogo d’incontro e di confronto. Per Gramsci la scuola ha una duplice funzione: quella di formare gli studenti per orientarli verso il progresso tecnico e verso l’innovazione, insiti nella società moderna, ma, soprattutto, quella di formare dei cittadini consapevoli, capaci di utilizzare l’esercizio della critica. Potremmo dire che in Gramsci la conoscenza rende gli individui cittadini a pieno titolo. È necessario orientare la nostra azione quotidiana per una ridefinizione di ruoli e funzioni per una scuola che vogliamo: pubblica e di qualità. La scuola rischia di essere il tramite di valori che spesso rappresentano la certificazione delle diseguaglianze sociali. Del resto la legge 107/15 delinea, per il dirigente scolastico, un ruolo allineato alle idee neo liberiste attraverso la competizione tra scuole, la chiamata diretta, il bonus, la rincorsa ad un’alternanza scuola lavoro spesso priva di attenzione alla didattica. Per non parlare dello svuotamento della contrattazione integrativa, della mortificazione della collegialità e del sistema di reclutamento; c’è una scarsa considerazione del profilo quando si impongono tante reggenze ed il concorso per reclutare nuovi dirigenti, sempre annunciato come prossimo, resta al palo. È necessario approfondire il profilo professionale del dirigente scolastico e ribaltare il paradigma dell’amministrazione che lo vorrebbe esecutore dei dettati imposti dall’alto, piuttosto che leader di una comunità educante. Proteo Fare Sapere, ha trent’anni di vita. L’Associazione si è consolidata come struttura di livello nazionale, ramificata (forse come nessun’altra associazione), ricca di esperienze professionali e organizzative, animate da una comune idea di scuola, con un sindacato di riferimento – la FLC – che offre un ampio bacino di potenziali adesioni. Le diverse incursioni normative sulla scuola impongono una riflessione sul ruolo stesso dell’associazionismo professionale e sulla sua capacità di rappresentare una risorsa per i professionisti della scuola. Per questo si terrà, in occasione del trentennale, una conferenza programmatica il 12 ed il 13 dicembre 2017 a Bologna, alla quale i dirigenti scolastici sono invitati, dal titolo “Noi…nel mondo che cambia”; proprio per riprendere una discussione sul profilo culturale che, in questo scenario, la nostra associazione deve avere. Conclude con l’augurio di buon lavoro a tutti i partecipanti al Convegno.

Vai all’intervento di Sergio Sorella

Ha preso quindi la parola Antonino Titone che, nella sua funzione di organizzatore del Convegno, ha esposto le idee guida sulle quali è stata costruita la due giorni di Firenze, illustrandone le ragioni, i temi ed il programma.

Titone ha voluto evidenziare che l’alto numero di partecipanti al Convegno conferma quanto sia centrale per i dirigenti scolastici il tema del riconoscimento e della valorizzazione del loro ruolo.

Ha ribadito che il profilo del dirigente scolastico anche dopo la legge 107/15 sia quello declinato dall’articolo 25 del DLgs 165/01 e dagli articoli 1 e 2 del CCNL dell’Area V della dirigenza scolastica dell’11 aprile 2006: un dirigente scolastico con autonomi poteri di direzione, con responsabilità ben precise, capace di far crescere e valorizzare le risorse umane, di far crescere la comunità educante della quale è a capo, di saper cogliere i suggerimenti, di mettere in relazione i soggetti. Un dirigente che non esercita il potere di dirigere come comando (una strada sbagliata ed inefficace) ma che attua la distribuzione delle responsabilità.

Ha ricordato come la dirigenza scolastica, diminuita sensibilmente di numero, lavori di più e venga retribuita di meno: all’aumento dei carichi di lavoro, delle responsabilità e delle incombenze estranee alla scuola è corrisposta una diminuzione della retribuzione e quindi del valore riconosciuto alla professione del dirigente scolastico; inoltre è sottoposta all’invadenza dell’Amministrazione centrale e periferica e a quella degli Enti locali che scaricano sui DS e sulle scuole autonome carichi di lavoro che nulla hanno a che fare con il servizio istruzione e formazione. A ciò si aggiunga una valutazione che non tiene conto della sua specificità, che non si basa sulle visite in situazione e sul protagonismo dei DS.

Bisogna valorizzare la dirigenza scolastica nella sua specificità e riconoscerne la dovuta equiparazione economica; il riconoscimento di funzioni e retribuzione deve derivare da quello che già oggi fanno i DS e non dall’aggiunta di altre funzioni amministrative. La specificità professionale del DS rende la sua funzione del tutto diversa da quella del resto della dirigenza pubblica, ne aumenta il valore e rende ancora più ingiusta la differenza retributiva oggi esistente. I DS devono essere posti nelle condizioni di affrontare serenamente la complessità del loro lavoro, non devono essere sottoposti a ulteriori pressioni da parte dell’Amministrazione, a molestie ed ingerenze nel loro lavoro e devono avere una retribuzione adeguata e corrispondente a quella degli altri dirigenti pubblici. In vista del rinnovo del CCNL stanno arrivando i primi timidi segnali nella direzione della perequazione economica.

Ha invitato i partecipanti al convegno a seguire con attenzione tutto il percorso perché c’è un filo che lega gli argomenti che saranno trattati nei due giorni: a cominciare dalla relazione di Roberta Fanfarillo che offrirà molti spunti per riflessioni e interventi; per proseguire con la puntuale analisi di un esperto quale Franco De Anna sui vari profili che caratterizzano il DS, con l’analisi critica di Anna Armone sugli elementi irrinunciabili per la definizione del profilo, con le interessanti analisi e riflessioni dei gruppi regionali dei dirigenti scolastici che hanno approfondito il tema delle relazioni del DS: con gli Organi Collegiali, con le famiglie degli alunni, con gli Enti Locali, con l’Amministrazione, con le riflessioni di Gianni Carlini sul ruolo del DS nel nuovo Regolamento di contabilità, con l’analisi di Giovanni Moretti sulla valorizzazione della leadership educativa del DS e con le proposte di Mario Ricciardi sul profilo del DS da collocare nel rinnovo del CCNL per finire con le conclusioni di Francesco Sinopoli, segretario generale della FLC CGIL.

Titone ha voluto ribadire che nei convegni annuali FLC CGIL non si è soliti invitare chi ci dà ragione; si apprezzano i punti di vista diversi e critici che aiutano a chiarire meglio le questioni. Per questo ringrazia tutti i relatori che offriranno, ciascuno dal proprio punto di vista, un valido contributo di idee al dibattito. La finalità è di offrire un’occasione di discussione e di confronto per il pieno riconoscimento e la valorizzazione del profilo del dirigente scolastico.

Ha illustrato, infine, i materiali inseriti nella cartella dei partecipanti ed ha augurato buon convegno a tutti.

La relazione di apertura di Roberta Fanfarillo, neo coordinatrice nazionale dei dirigenti scolastici della FLC CGIL, ha posto subito l’accento sul titolo del convegno.

Ha richiamato le caratteristiche del profilo del dirigente scolastico delineate dall’articolo 25 del DLgs 165/01 e riprese dall’articolo 1 del CCNL dell’area V 2006/2009, sottolineando che si tratta di un profilo complesso, articolato e multiforme, un unicum nel panorama della pubblica amministrazione, che non è comprimibile in un ordinamento gerarchico in cui diventi “terminale” dell’amministrazione, per esercitare una funzione di orientamento e controllo sul personale della scuola. La relazione si sofferma su tutte le cause che, a 18 anni dalla sua istituzione, hanno impedito alla dirigenza scolastica di ottenere il pieno riconoscimento del suo ruolo e ribadisce che proprio nella mancata attuazione dell’autonomia e nelle continue incursioni legislative che in questi anni sono state fatte e continuano ad essere fatte sul profilo del dirigente scolastico vada ricercato il motivo dell’attuale disagio dei dirigenti, costretti a fare i conti con continue incursioni legislative sulle loro prerogative di datori di lavoro e titolari della contrattazione, con la gestione caotica degli organici, con leggi finanziarie che hanno imposto limitazioni e divieti alla sostituzione del personale, con l’impossibilità di utilizzare l’organico dell’autonomia per le finalità previste dalla legge, con le pressioni di famiglie, enti locali, amministrazione, costantemente schiacciati nella dimensione amministrativa e burocratica della loro professione, continuamente impegnati nella mera gestione dell’immediato e dell’imprevisto. In questi anni c’è stato anche chi, erroneamente, ha ritenuto che le cause del disagio dei dirigenti scolastici dovessero invece essere cercate altrove, nei presunti lacci e lacciuoli che imbrigliano il dirigente scolastico al rispetto dell’autonomia degli organi collegiali, della libertà di insegnamento, delle regole contrattuali e ha ritenuto che, eliminando questi vincoli e curvando in senso autoritario la leadership del dirigente scolastico, si potesse garantire un governo efficace delle istituzioni scolastiche. Niente di più sbagliato. La FLC CGIL, che rivendica invece il ruolo del dirigente scolastico come leader della comunità scolastica, un’organizzazione complessa che va gestita democraticamente e con efficienza, da sempre ritiene che tale ruolo non sia assolutamente sminuito, anzi sia esaltato dall’organizzazione della comunità scolastica, basata su un modello partecipativo, fondato sulla valorizzazione della negoziazione e sulla partecipazione alle scelte organizzative. Si tratta di due visioni alternative, radicalmente accentuatesi dalla legge 107/15 in poi, che sono del tutto inconciliabili e rendono oggi impossibile per la FLC CGIL l’unità con quelle organizzazioni sindacali rappresentative della dirigenza scolastica che hanno salutato quella legge come un possibile riscatto dalla condizione di presunta subalternità della dirigenza scolastica e dalla condizione di disagio vissuta in questi anni dalla categoria. La legge 107/15 ha in realtà proposto una curvatura in senso autoritario degli equilibri all’interno delle istituzioni scolastiche, attribuendo al dirigente scolastico prerogative e compiti impropri, estranei al suo ruolo di leader della comunità scolastica autonoma. L’idea che la chiamata diretta e l’attribuzione del bonus ai docenti ritenuti meritevoli, insieme alle limitazioni poste alla contrattazione dalle modifiche apportate al DLgs 165/01 dal decreto Brunetta, avrebbero potuto migliorare la gestione delle istituzioni scolastiche e il lavoro del dirigente scolastico, determinando un innalzamento della qualità del servizio di istruzione, si è rivelata sbagliata e improduttiva eppure ha esercitato su molti dirigenti scolastici una sorta di “fascinazione” in quanto ai nuovi compiti dei dirigenti scolastici è stata erroneamente attribuita la possibilità di risolvere alcune delle criticità oggi presenti nella gestione delle istituzioni scolastiche.

Ben diversa è invece la strada da intraprendere per migliorare la qualità del servizio di istruzione e passa attraverso la valorizzazione economica del ruolo docente, l’innovazione metodologica e didattica garantita a tutti attraverso una formazione strutturale permanente e obbligatoria, organici adeguati alle esigenze formative espresse dal POF, supporto amministrativo e tecnico adeguato, qualificato ed economicamente valorizzato, servizi ausiliari sufficienti, adeguati nel numero e nelle mansioni alle necessità di funzionamento dell’istituzione scolastica. Passa attraverso un’attenzione “amichevole” da parte del MIUR e delle sue articolazioni periferiche ai problemi delle scuole e dei dirigenti, e non invece attraverso atteggiamenti da “controparte” e funzionari sempre pronti a chiedere conto, pretendere soluzioni e spiegazioni per le lamentele ricevute da questo o quel genitore, anche per futili motivi. In assenza di tali condizioni, il lavoro dei dirigenti scolastici sarà sempre più difficile, il livello di frustrazione sempre più elevato e di ostacolo alla piena realizzazione dei loro compiti di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane. Di fronte alla complessità e alle difficoltà di gestione delle istituzioni scolastiche il problema non è quindi quello di rivedere “al ribasso” i compiti del dirigente scolastico, quanto piuttosto quello di sottrarre alla dirigenza scolastica e alle scuole una serie di funzioni improprie e responsabilità non connesse direttamente con l’erogazione del servizio di istruzione che appesantiscono la gestione amministrativa, distolgono il dirigente scolastico dalla sua funzione, lo espongono a un confronto impari con altre amministrazioni, senza alcun supporto da parte dell’amministrazione scolastica che tenta, come abbiamo visto, di relegarlo in una condizione di subalternità. Nella relazione si sostiene che il quarto rinnovo contrattuale dall’istituzione della dirigenza scolastica, che si apre dopo ben 7 anni di blocco con la riproposizione della questione della perequazione retributiva alle altre dirigenze pubbliche, deve diventare anche l’occasione per attualizzare la parte normativa rafforzando i contorni del profilo del dirigente scolastico, tema sul quale il Convegno dei dirigenti scolastici della FLC CGIL si confronta. Rispetto a questo tema, nella relazione si ribadisce che la FLC porterà al tavolo delle trattative la necessità che si ristabilisca nel contratto l’ambito di esercizio delle prerogative e delle responsabilità dirigenziali dentro e fuori la scuola, nel rapporto con il collegio dei docenti, con il consiglio di istituto e con tutte le professionalità presenti nella scuola, nella sfera contrattuale, nel confronto con le famiglie, gli enti locali e l’amministrazione centrale e periferica.

Questi, in particolare, i temi relativi alla parte normativa che saranno portati al confronto contrattuale:

  • Riconferma del ruolo del dirigente scolastico di promozione e coordinamento dell’attività finalizzata a garantire il diritto all’apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti
  • Forte discontinuità non solo con la forzatura in senso autoritario data dalla legge 107/15 alle funzioni del dirigente scolastico ma anche con il ruolo di subalternità all’amministrazione che tale forzatura ha provocato, costringendo il dirigente scolastico ad assumere compiti impropri e in palese contrasto con il sistema di regole ed equilibri vigenti nel sistema scolastico.
  • Pieno recupero del valore della contrattazione sul rapporto di lavoro, sull’affidamento degli incarichi dirigenziali, validi su tutto il territorio nazionale e sottratti alla possibile ingerenza e arbitrarietà dei direttori generali degli USR, sulla mobilità regionale e interregionale, sull’ l’attribuzione degli incarichi aggiuntivi, comprese le reggenze, sugli incarichi obbligatori e sui limiti dell’onnicomprensività, anche al fine di definirne i compensi; sulla valutazione e sulla formazione, che deve tornare a prevedere risorse per l’autoformazione e per il rimborso delle spese sostenute.
  • Ridefinizione delle responsabilità in materia di sicurezza, anche in coordinamento con le proposte di legge in parlamento
  • Rafforzamento degli organismi di tutela in tema di responsabilità disciplinare
  • Ruolo e prerogative del dirigente nel rapporto con il collegio dei docenti e con gli altri organi collegiali della scuola

Rispetto alla questione dell’equiparazione retributiva dei dirigenti scolastici al resto della dirigenza pubblica, nella relazione si ribadisce che questa resta una priorità per la FLC CGIL, anche perché l’inserimento della dirigenza scolastica nell’area della dirigenza di istruzione e ricerca rende indifferibile l’armonizzazione delle posizioni retributive di tutti i dirigenti che ne fanno parte. La reazione si conclude perciò con l’auspicio che all’interno della legge finanziaria vengano reperite le risorse necessarie a valorizzare tutte le professionalità del mondo della scuola, come richiesto a gran voce dalla FLC CGIL e dalle altre organizzazioni sindacali, e vengano definite per i dirigenti scolastici risorse tali da non mortificare le legittime aspettative della categoria a uno stipendio dignitoso e adeguato alle molteplici responsabilità che il lavoro del dirigente scolastico comporta.

Leggi la relazione introduttiva di Roberta Fanfarillo

La mattinata è proseguita con la relazione di Franco De Anna sul tema “Profilo/Profili del dirigente scolastico”. Ha esordito affermando che la definizione di un profilo costituisce il fondamento di qualunque politica del personale in una organizzazione, in particolare per posizioni professionali di dirigenza ai diversi livelli, per selezionare e assumere il personale corrispondente, per governare il mercato del lavoro interno all’organizzazione e per valutare. Il profilo di ruolo secondo la pubblica amministrazione è un incrocio tra l’aquila e il cavallo: dai contenuti dei bandi di concorso si richiede grande capacità di visione strategica, di infaticabile dettaglio operativo e di enciclopedismo giuridico! Quello del dirigente scolastico è un profilo plurale, nel quale convergono tanti profili e caratteristiche diverse; si va dal costruttore di comunità, il parroco, al pedagogo, al generale. Da una ricerca sul campo emerge anche la caratteristica dell’equilibrista! Non è un profilo esauribile dal punto di vista amministrativistico. Oltre a quello normativo sono stati proposti vari idealtipi del DS: non ha solo il compito di costruire una comunità; nemmeno la funzione del Team leader, per quanto necessaria, basta a definirne il profilo. Il DS è molto di più, non fosse altro per il numero alto dei suoi dipendenti. Ha affermato che la massima espressione del potere è saper distribuire il potere. Le metafore colgono alcuni aspetti ma non tutti. Il profilo di ruolo è ciò che un’organizzazione si aspetta da un dirigente. Il problema di fondo per tutto il settore pubblico è: “a quale organizzazione ci si riferisce?” Il ruolo del DS consiste nel definire ciò che una organizzazione si attende da lui, perché il bisogno di un’organizzazione non è lo stesso del dirigente. Le scuole sono diverse tra loro, con caratteristiche comuni e i DS devono avere caratteristiche adatte a quella particolare sagomatura, fatta di specifiche generali ma anche di caratteristiche singole. Lo specifico profilo di ruolo del DS emerge dalla combinazione di costanti, variabili, legami forti (manuale operativo) e legami deboli (cultura organizzativa) L’autonomia è strumento funzionale ma anche condizione della sussidiarietà; sono due visioni fondate su presupposti diversi, due diversi sguardi. La nostra scuola è fondata sul primato dell’offerta: pensare che il Consiglio d’istituto continui ad essere l’interprete della domanda sociale verso la scuola è errato: con un’affluenza limitata al massimo è interprete della domanda corporativa. Ci sono diverse forme organizzative: a parametri fissi, variabili, a legami forti (tipo macchina con organigramma) e legami deboli (gli insiemi di linguaggi, speranze che un gruppo mette in comune); un DS deve avere un insieme di entrambi, deboli e forti. Quel che regge un’organizzazione sono le latenze, le cose nascoste non quel che appare. Il requisito per assumere un dirigente da parte di un’impresa consiste nella domanda “chi sei?”; nella pubblica amministrazione è “di quale organizzazione?” Il DS è responsabile finale di una strategia pubblica a titolarità concorrente: dirige un’organizzazione nella quale il lavoro è a basso livello di ordinabilità; dirige un’organizzazione a matrice mista e con legami deboli; dirige un’organizzazione ad alta intensità personale e basso tasso di gerarchia; dirige un’organizzazione ad altissima permeabilità sociale, sulla quale, un po’ come per la nazionale di calcio, tutti sanno come dovrebbe funzionare; è un dirigente fortemente orientato al prodotto e al risultato; dirige un’organizzazione che produce servizi alla persona e ai suoi diritti; dirige un’organizzazione in cui il lavoro ha un elevato contenuto deontologico. Da esperienze sul campo risulta che oltre il 90% dei conflitti ha origine in “patologie relazionali” interne all’organizzazione. La sensibilità normativa (indispensabile) è perciò caratteristica secondaria rispetto alla “capacità clinica” che anticipa e governa il conflitto. Un bravo dirigente scolastico che organizza bene non fa niente tutto il giorno tranne che parlare con le persone (non c’è bisogno di avere un problema per varcare la soglia dell’ufficio di presidenza). Ne viene fuori un profilo di ruolo meticcio, con le caratteristiche della leadership e del management, orientato alle relazioni e agli obiettivi, amicale, capobranco carismatico, conformista adattivi, inerte conservativo, faber. Alcuni aforismi: il manager “sa fare le cose”, il leader “sa cosa va fatto”; il controllo della rotta appartiene al manager, indicare la rotta appartiene al leader; la leadership “ha sempre a che fare con il potere”: i modi con cui si gestisce il potere caratterizzano le miserie e le qualità della leadership. Leader si nasce o si diventa? Ci sono teorie innatiste, situazionali, trasformazionali. Forse leader si diventa imparando, ma non è sicuro quale tipo di leader si impara ad essere.

Vai alle slide di Franco De Anna

È seguito un breve dibattito. Una DS toscana ha detto che non sempre si sente rappresentata dalla FLC CGIL e ha chiesto che il sindacato trovi le risposte per la sicurezza e l’uscita in autonomia degli alunni; una DS di Carrara ha richiesto formazione specifica per i collaboratori del DS e ha affermato che l’assegnazione dei docenti alle classi non deve riguardare la contrattazione d’istituto ma la deve decidere il DS; una DS delle Marche ha posto il problema dell’uscita autonoma degli alunni da scuola. Gianni Carlini è intervenuto al dibattito per sottolineare che le rappresentanze delle scuole autonome sono state di fatto rappresentanze dei DS non delle scuole, hanno rappresentato i problemi dei DS. E così per la vigilanza e il pasto domestico si chiede alla FLC la difesa dei DS, ma il problema sicurezza, vigilanza non è solo dei DS. Ha aggiunto che in contrattazione si definiscono i criteri per l’assegnazione dei docenti alle classi e che un eventuale corpo intermedio da definire contrattualmente riguarda la comunità dei lavoratori non solo il DS. Una DS del Lazio ha evidenziato che la visione della scuola da parte della FLC è diversa da quella dell’ANP: è giusto che nella scuola ci sia condivisione, comunità, contrattazione dei criteri, ed è apprezzabile che la FLC abbia smontato parte della legge 107/15: il DS non è nemico dei docenti e viceversa.

Seconda sessione

I lavori del pomeriggio si sono aperti con la relazione di Anna Armone, Funzionario della Presidenza del Consiglio dei Ministri esperta di diritto amministrativo, sul tema “Un profilo da ridefinire? Gli elementi irrinunciabili per la sua definizione”.

Ha ricordato che la funzione dirigenziale nell’istituzione scolastica attiene ad una visione istituzionale risalente alla legge Bassanini del 1999. Una scuola dotata di autonomia funzionale aveva, secondo il legislatore, bisogno di un apparato amministrativo governato da una funzione dirigenziale. Peccato che l’apparato consisteva e consiste tutt’ora in un modello gerarchico funzionale, vede una sola figura incardinata stabilmente a supporto della funzione dirigenziale, il direttore dei servizi generali e amministrativi.

La legge quadro Bassanini, però, prevedeva uno sviluppo organizzativo dell’istituzione scolastica che avrebbe portato alla definizione di nuove figure professionali, nonché ulteriori interventi normativi, tra i quali il riordino degli organi collegiali.

Comunque, il disegno originario della dirigenza scolastica si inseriva in un sistema ordinamentale e istituzionale complesso ma sorretto da una logica chiara: il rafforzamento delle autonomie a Costituzione invariata. Le vicende della Legge 59 sono note. La sua implementazione è stata superata e in parte inglobata dalla successiva legge costituzionale n. 3 del 2001 che ha ulteriormente spinto le autonomie verso un modello federalista. La figura dirigenziale scolastica sembrava scivolare nella scia di un federalismo che avrebbe visto i territori esercitare in pieno la funzione amministrativa e organizzativa relativamente alla materia dell’istruzione. Si parlò anche di organici del personale scolastico determinati a livello nazionale ma gestiti dalle regioni. Per governare la transizione, si iniziò a lavorare ad un accordo in Conferenza unificata Stato – Regioni ed enti locali per determinare i moduli procedimentali. Nessuna versione dell’accordo è uscita dal cassetto del MIUR fino a perdere rilievo a seguito dell’affievolimento attuativo del federalismo stesso.

Ad oggi il disegno federalista è rimasto inattuato, ma le spinte autonomistiche verso un’autonomia rinforzata cominciano a farsi sentire (e non è chiaro se tutte chiedono competenze sull’istruzione). E la dirigenza scolastica ha aspettato invano di capire se il suo referente primario sarebbe stata la regione o ancora il MIUR. Ci ha pensato la legge 107/15 che ha ridisegnato la filiera decisionale del sistema di istruzione (forse confidando sull’esito – negativo- referendario), ed evidenziando una forma di neocentralismo coerente con la riforma costituzionale non andata in porto. E a questo punto, i dirigenti garanti del “buon andamento” su quale territorio combattono? Combattono sul fronte del caso concreto, non codificato, casuale, determinato dall’ultima norma fiscale, contrattuale, sulla sicurezza, senza supporto alcuno.

Questo strano campo d’azione dirigenziale ha origine dal d.lgs. 29/1993 che ha incluso le istituzioni scolastiche tra le amministrazioni pubbliche. Da allora, fino ad oggi con il DLgs 165/01, questa collocazione ha fatto ricadere sulle istituzioni scolastiche tutta la normativa generale diretta alle pubbliche amministrazioni, gravando la funzione dirigenziale di continui adempimenti. Analogamente a tutti i dirigenti pubblici nel dirigente scolastico individuiamo il momento dell’autonomo esercizio di poteri tali da «incidere sulle sorti di una struttura organizzativa». Inoltre, in questa figura si realizza quel peculiare mix per cui il dirigente che abbiamo di fronte è, al contempo, «datore di lavoro degli altri lavoratori e prestatore di lavoro».

Il nucleo originario normativo da assumere come elemento giuridico-formale di riferimento è costituito da quell’insieme di regole che compiono una vera e propria operazione finium regundorum tra i poteri che, nel funzionamento di una organizzazione pubblica, spettano agli organi di governo, titolari di una struttura amministrativa sulla base di una legittimazione politica, e le funzioni che, per converso, competono ai dirigenti. Lo schema normativo disarticola il momento decisionale, sotteso al governo di una struttura pubblica, in due segmenti: a) il vertice politico «esercita le funzioni di indirizzo, definendo gli obiettivi e i programmi da attuare, e verificando la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti».  «Ai dirigenti spetta, accanto all’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo». Questo modello si adatta meglio ad un’«amministrazione di servizi» o «di erogazione» piuttosto che ad un’«amministrazione di funzioni», in cui, presumibilmente, è proprio la componente pubblicistica, ossia l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi, a prevalere nell’attività di lavoro dei suoi dirigenti.

Il sistema organizzativo dell’istituzione scolastica risponde al principio dell’amministrazione di servizi, ma non presenta le caratteristiche descritte per tali amministrazioni. La ripartizione netta delle funzioni, politica di indirizzo da una parte e di gestione dall’altra non è riconoscibile all’interno della scuola. La filiera programmatoria del MIUR colloca la dirigenza scolastica all’incrocio di un duplice flusso decisionale: uno verticale, diretto, tra il MIUR e le singole scuole, realizzato attraverso la fissazione degli obiettivi prioritari, la regolazione degli istituti e il flusso di erogazione delle risorse; l’altro, sempre verticale, ma collocato sul territorio regionale, che vede il direttore dell’USR in veste di soggetto di supremazia gerarchico funzionale nei confronti del dirigente scolastico. La funzione di indirizzo, così come prevista dall’art. 4, ultimo comma del DLgs 165/01 si rinviene solo al centro di governo. Alla base dell’erogazione del servizio, la scuola, troviamo un consiglio di istituto che esercita in modo residuale le funzioni di indirizzo, ma non determina l’azione dirigenziale, né determina autonomamente l’utilizzo delle risorse finanziarie. Il programma annuale viene certamente deliberato dal consiglio, ma sostanzialmente e coerentemente viene costruito dal dirigente scolastico sulla base e a valle del processo di definizione dell’offerta formativa.

D’altro canto, il dirigente è impegnato sul territorio nella gestione delle relazioni con l’ente territoriale e locale di riferimento, i quali, seppure ancorati esclusivamente alle funzioni amministrative previste dal DLgs 112/98, rimangono gli interlocutori necessari per la qualità dei servizi assegnati, per competenza, agli stessi.

All’interno della scuola la fornitura del servizio scolastico è garantita dall’esercizio del potere organizzativo e gestionale del dirigente, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali, in particolare del collegio che conserva, nonostante la legge 107/15, le attribuzioni di cui all’articolo 7 del DLgs 297/94.

Si è soffermata sulla coerenza che manca nel sistema ordinamentale

Nella premessa abbiamo delineato il disegno del sistema decisionale in ambito pubblico rapportato al sistema decisionale scolastico. Qualunque sistema deve rispondere alla verifica e alla valutazione in termini di policy, intesa come capacità di programmazione, organizzazione ed erogazione dei servizi.

Un sistema scolastico finalizzato alla verifica e valutazione della Policy deve prevedere:

  • Il disegno della catena del potere sequenziale chiaro nella definizione degli spazi e modalità decisionali
  • La dirigenza con attribuzioni coerenti con la normativa primaria o con una norma speciale che ne disciplina le funzioni
  • Il nucleo operativo con sistema di riconoscimento di stato giuridico chiaro (spazi di libertà professionale o piena regolazione normativa), al fine di creare i presupposti per l’esercizio dell’azione dirigenziale.

Dall’individuazione delle caratteristiche specifiche di questo modello, può derivare una dirigenza scolastica caratterizzata da poteri più o meno forti, corrispondenti, più o meno, al quadro dei poteri descritto, per i dirigenti pubblici, dagli articoli 4, 5 e 17 del DLgs 165/01. Una dirigenza scolastica caratterizzata da “poteri forti” dovrebbe poggiare sul potere decisionale pieno del dirigente nelle materie della micro organizzazione dell’ufficio e della gestione di tutto il personale. In questo caso il ruolo degli organi collegiali dovrebbe essere essenzialmente consultivo.

Una dirigenza con poteri “condizionati”, dovrebbe poggiare sulla ripartizione dei poteri decisionali per materia (come in parte è ancora oggi). In particolare, il collegio dovrebbe conservare il potere decisionale in materia didattica e di organizzazione della didattica. Si manterrebbe di fatto, un modello partecipato della scuola con responsabilità, però, da chiarire nei limiti e nell’attribuzione di potere. Questo modello andrebbe supportato da strumenti responsabilizzanti sul piano sostanziale e formale, poiché si è dimostrato insufficiente il modello decisionale collegiale fondato sull’irresponsabilità del soggetto unitario.

Trasversalmente alle due ipotesi di sviluppo del profilo dirigenziale nella scuola va definita la questione della catena gerarchica gestionale, cioè la previsione di un supporto stabile all’azione dirigenziale e non fondato esclusivamente sul potere di delega. Tale modalità limita la possibilità organizzativa e gestionale del dirigente, poiché la delega costituisce uno strumento gestionale che non può essere esclusivo ma integrativo di una struttura organizzativa.

Ovviamente tale possibilità deve essere legata alla previsione di uno sviluppo di carriera dei docenti nell’ambito di un provvedimento normativo. Lo sviluppo di carriera dei docenti potrebbe basarsi su una diversificazione interna, l’una gestionale e l’altra tecnica.

Entrambi i modelli di sviluppo del profilo dirigenziale dovrebbero essere sorretti da un sistema amministrativo facilitatore della funzione. La stessa legge 124/2015 ha previsto l’ulteriore semplificazione del sistema degli approvvigionamenti di beni e servizi attraverso le centrali uniche di committenza. Il ricorso alle centrali uniche di committenza sgraverebbe l’azione dirigenziale dall’attività contrattuale, lasciando allo stesso il momento decisionale e discrezionale dell’avvio procedimentale. A sostegno della ridefinizione del profilo dirigenziale occorrerebbe anche un modello territoriale di rappresentatività delle istituzioni scolastiche attraverso lo sviluppo dell’istituto delle reti di ambito verso reti istituzionali, con piena rappresentatività giuridica. Nonostante le affermazioni contenute nei documenti applicativi della legge 107/15 richiamino la rappresentatività delle reti di ambito, queste sono soltanto degli accordi e solo la scuola capofila esercita il potere di rappresentanza. Un sistema di reti di ambito soggettivizzate potrebbe supportare l’azione dirigenziale in modo più efficace, con possibilità di concordare un riassetto delle relazioni con il territorio e con l’amministrazione. Insomma un vero e proprio relais, un po’ come pensava Cassese nel 1990. Solo che i Provveditorati sono spariti nella funzione originaria, ma rimangono tutti interi sui territori.

Parlare di nuovo profilo dirigenziale nella scuola senza ampliare lo sguardo all’intero sistema organizzativo sarebbe un’operazione assolutamente parziale e inefficace che richiederebbe continui aggiustamenti e la ricerca di spazi interpretativi per giustificare le nuove attribuzioni.

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Si è passati alle analisi approfondite elaborate da parte di 4 gruppi regionali delle strutture di comparto dei dirigenti scolastici della FLC CGIL che hanno affrontato il tema dei rapporti del DS con gli Organi collegiali, con l’Amministrazione, con le famiglie degli alunni e con gli Enti Locali.

Ha cominciato Andrea Giacobbe che a nome del gruppo dei DS della Liguria ha esposto le analisi sul rapporto tra il dirigente scolastico e gli Organi collegiali della scuola.
Ha ricordato che la discussione all’interno del gruppo è stata guidata da una riflessione sulle cosiddette “scelte di fondo”, veri assi portanti di tutta la discussione. Tre quelle individuate:

  1. Collegialità come valore
  2. Rispetto specifici poteri e aree di competenza tra organo monocratico e organi collegiali
  3. Riferimento costante all’articolo 25 del DLgs 165/01 ed in particolare al mandato di assicurare la gestione unitaria dell’Istituzione.

Sul primo punto, dalla discussione è emerso la collegialità come valore è scelta “politica” e di appartenenza, ma è anche il modo più proficuo e competente per gestire organizzazioni complesse a legami deboli come le scuole attuali. Il tema della collegialità come valore si intreccia immediatamente con quello del rispetto delle corrispettive aree di competenza tra gli organi della scuola autonoma. Il comando, l’atto di imperio, la gestione freddamente manageriale, poco o mal si adatta alla gestione di rapporti con figure professionali dotate di forte autonomia. La scelta di rispettare, e chiedere il rispetto, delle rispettive aree di competenza, oltre ad essere quella giusta è anche l’unica che si rivela la più proficua e la meno conflittuale. l’accento sulla gestione unitaria, prevista dall’articolo 25 del DLgs 165/01, mai abrogato. Una collegialità “vera” può difficilmente esplicitarsi in Collegi che sfiorano i duecento membri. Nel caso di un Istituto omnicomprensivo genovese, si è addirittura parlato di Collegio unitario come “collegio di rete”, tali e tante sono le specificità dei singoli collegi di area. Fondamentale il ruolo dei coordinatori di questi sottogruppi, che vanno formati o comunque dotati di deleghe ben precise e situate. La discussione sull’uso del MOF per riconoscere l’impegno aggiuntivo di chi ha l’incarico di coordinare Dipartimenti e/o commissioni, ha spostato l’accento sui rapporti con un altro organo collegiale, il Comitato per la valutazione dei docenti. Alta si è levata la voce della richiesta del superamento dell’istituto del c.d. “bonus premiale”, istituto giudicato divisivo e fonte di lavoro aggiuntivo per il dirigente scolastico. Nella discussione sullo stato dei rapporti con gli OO.CC. è poi emersa con forza la consapevolezza del fatto che la legge 107/15 ha spostato il peso “politico” della realizzazione dell’autonomia, prima distribuito tra il dirigente scolastico e gli organi collegiali, quasi interamente sulle spalle dei dirigenti scolastici. Gli Organi collegiali, ed in particolare il Collegio, sono de facto relegati ad una funzione tecnica, anche se al Consiglio di Istituto rimane un potere di veto difficilmente esercitabile. Questo mette pesantemente in discussione i rapporti tra l’organo monocratico e l’organo collegiale, che oscillano tra equiordinazione e gerarchia, generando latenze che possono sfociare in conflitti dagli esiti imprevedibili, anche tra organi collegiali.
La discussione si è spostata naturalmente sull’atto di indirizzo, controversa novità introdotta dalla legge 107/15. Proprio l’aver dato al dirigente scolastico potere di indirizzo rispetto ad un organo collegiale che lui stesso presiede ha costruito la cornice perfetta di un potenziale conflitto. Per disinnescarlo i DS liguri di area FLC hanno condiviso pienamente l’elaborazione dell’atto con il Collegio, alcuni anche con il Consiglio di Istituto. Sul rapporto con il Consiglio di Istituto i DS liguri hanno condiviso la necessità di una riforma di questo Organo ormai in chiara difficoltà di mandato e rappresentatività della comunità scolastica allargata a personale ATA, famiglie e/o studenti: oggi può approvare o non approvare il PTOF, nella prassi quotidiana è spesso in difficoltà nell’esprimere una reale autonomia sia dalle scelte dirigenziali sia da spinte particolaristiche presenti al suo interno.
Tanti sarebbero gli argomenti da approfondire, quali i rapporti con i Consigli di classe/interclasse/intersezione alla luce delle scelte valoriali di fondo, e quelli con il Consiglio di Istituto nel potenziale conflitto con i suoi poteri in materia di approvazione di Programma annuale. Per quest’ultimo, si è deciso di soprassedere in vista dell’approvazione del nuovo Regolamento di contabilità. Per i primi, valgono le considerazioni generali già espresse in materia di rapporto con il Collegio, con la consapevolezza che presiedere i Consigli di classe/interclasse/intersezione o farli presiedere da docenti dotati di delega esplicita e situata, sia ancora la scelta prevalente nei dirigenti presenti al gruppo di lavoro, coerentemente con l’affermato valore della volontà di garantire, appunto, una gestione unitaria dell’Istituzione.

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È seguito l’intervento di Patrizia Colella che ha esposto le analisi prodotte dal gruppo dei dirigenti scolastici pugliesi sul tema Il rapporto del DS con le famiglie degli alunni.
Il gruppo di lavoro è partito dalla consapevolezza della gran quantità di tempo ed energie che il D.S. impiega nella promozione e gestione del rapporto scuola-famiglia.
Sono tanti gli aspetti, tante le sfaccettature, tante le contingenze nell’ambito di queste dinamiche da assorbire gran parte delle energie del DS.

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Altro contributo lo ha portato Nunzia Del Vento dirigente scolastica del Piemonte che ha esposto il lavoro svolto dal gruppo dei dirigenti scolastici piemontesi sul tema Il rapporto del dirigente scolastico con l’Amministrazione centrale e periferica.

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Ha concluso le testimonianze dal territorio, in rappresentanza del gruppo regionale dei dirigenti scolastici del Lazio, Antonella Isopi che ha affrontato il tema del Rapporto del dirigente scolastico con gli Enti locali

Vai alla relazione e alle slide di Antonella Isopi

A conclusione dell’intensa ed impegnativa giornata, interviene Roberta Fanfarillo con alcune riflessioni sugli argomenti trattati durante la prima intensa giornata. Augurando a tutti una buona serata, dà l’appuntamento alla giornata successiva con le relazioni di Carlini, Moretti, Ricciardi e le conclusioni del Segretario generale FLC CGIL Francesco Sinopoli.

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