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Oggi 11 aprile sul Manifesto il problema della scuola

Pubblichiamo, integralmente, due articoli apparsi sul quotidiano "Il Manifesto" oggi 11 aprile 2003

11/04/2003
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Pubblichiamo, integralmente, due articoli apparsi sul quotidiano "Il Manifesto" oggi 11 aprile 2003.

Roma 11 aprile 2003

La Scuola aperta a tutti
Anche sul fronte interno c'è una guerra: quella dell'istruzione pubblica
di Iaia Vantaggiato

Anche sul fronte interno c’è una guerra: quella all’istruzione pubblica
Assumere il carattere pubblico della scuola come valore per l’intero paese; ribadire le questioni relative all’istruzione toccano direttamente i livelli di sviluppo e di democrazia della nostra società. E’ questo il senso della manifestazione nazionale «Scuola-sapere: tu per pochi, io per tutti» che si terrà questo pomeriggio presso la Fiera di Roma. Promossa da un ampio cartello che va dalla Cgil alle associazioni di studenti ed insegnanti, dal Crs a legambiente, l’iniziativa intende sottolineare il carattere devastante di una riforma dagli effetti nefasti. «Nonché immediati», allerta il segretario della Cgil-scuola Enrico Panini.

Priva di copertura finanziaria, la riforma Moratti sembra destinata a non decollare. Perché parla di effetti immediati?
La riforma farà male, molto e subito. E per vedere i suoi effetti più pesanti non avremo certo bisogno di aspettare i tanto evocati decreti legislativi. La legge ha già in sé la possibilità di rendere immediatamente applicativi alcuni provvedimenti come la riduzione dell’obbligo scolastico o l’anticipo per le scuole dell’infanzia e materne. Già a partire dal prossimo giugno, per i ragazzi che sosterranno l’esame di licenza media l’obbligo scolastico ora ridotto di un anno - risulterà già assolto. Ancora: molti studenti delle medie inferiori - sempre per via dell’obbligo - già dallo scorso gennaio si sono iscritti alla prima superiore. Iscrizione ormai del tutto inutile.

Intende dire che non avranno più motivo di proseguire gli studi?
Avranno una ragione in meno per confermare l’iscrizione. E parlo di circa 50.000 ragazzi.

Quali, per loro, le possibili alternative?
Quella del lavoro nero, perché il contratto di apprendistato, in Italia, non si può fare sino ai sedici anni. Oppure quella della formazione professionale privata. Quanto all’anticipo non ci sarà bisogno di nessun decreto legislativo ma di una semplice circolare.

La manifestazione di oggi era stata pensata insieme a quella contro la guerra di domani. Perché avete separato le due iniziative?
Il comitato «Fermiamo la guerra» ci ha chiesto di poter utilizzare la giornata del 12 unicamente per manifestare contro il conflitto in Iraq. Abbiamo ritenuto doveroso accogliere la loro richiesta. Resta comunque confermato il sistema di relazioni e di alleanze che - nella preparazione del 12 -- si era costruito. L’iniziativa di oggi non intende sostituire la mobilitazione di domani ma solo ribadire che l’impegno politico per la scuola pubblica non esce dalla priorità delle nostre agende.

Il governo si era impegnato a garantire, per settembre, 3.000 nomine...
Finora di nuove nomine non ne abbiamo vista nessuna. In compenso il ministero, da vero apprendista stregone, ha unificato le graduatorie dei precari riconoscendo lo stesso punteggio a quelli delle scuole statali e private.

Risultato?
Un gran bel conflitto di cu iil ministero è del tutto responsabile.

All’interno del dibattito parlamentare, era stato più volte evocato il «fantasma» della chiamata diretta. Minaccia mantenuta?
In parte sì, naturalmente, nonostante che contro la chiamata diretta si sia già espresso il Consiglio nazionale della pubblica istruzione.

Almeno qualcosa di pubblico è rimasto...
Dalla sigla non si poteva togliere la «p».

Ma si può modificare il sistema di reclutamento...
Sì, basta inventarsi un albo di abilitati dal quale le singole scuole possono attingere autonomamente. Del resto su questo punto in prima linea c’è Berlusconi, primo firmatario di un ddl, nella precedente legislatura, nel quale si affermava il «valore» della chiamata diretta sulla base della coerenza con il piano dell’offerta formativa.

Che vuoi dire?
Immagino che la coerenza si riferisca unicamente all’ambito -zona o regione - in cui si è avuta la fortuna o la sfortuna di nascere. Del resto è a questo che mira la devolution: trasferire scuola e programmi di gestione alle regioni - con l’unica «pezza» del riferimento agii interessi nazionali - significa semplicemente sostenere che il sistema scolastico non debba essere al servizio dell’interessi generali del paese ma dei microinteressi territoriali.

Berlusconi in prima linea. E in seconda?
La Confindustria, ma a pari merito.

Dopo 17 mesi che si attende il rinnovo del contratto pare arrivata la certificazione del governo. Una promessa mantenuta?
Sono passati oltre 100 giorni da quando Letizia Moratti si è impegnata a indicare le somme disponibili per il rinnovo del contratto. E tuttavia c’è stato bisogno di uno sciopero per smuovere le acque. Questo la dice lunga sulla priorità che questo governo attribuisce al rinnovo di un contratto che riguarda circa un milione di lavoratori, di cui 800.000 sono insegnanti. Neppure la promessa è stata mantenuta: il governo ha ridotto notevolmente le somme indicate dal ministro. Le trattative riprenderanno la prossima settimana ma sono pessimista.

Perché?
Perché dalla contrattazione sindacale stiamo passando al controllo politico: molte cose oggi definite dai contratti di lavoro verranno affidate a leggi dello stato o ad atti di diretta emanazione del ministero. Il tentativo di mettere sotto diretto controllo politico la categoria è evidente dai libri di testo al fiorire delle interpellanze parlamentari contro insegnanti accusati di fare politica.

A protestare, la scorsa settimana, sono stati anche i dirigenti scolastici.
Questa legge finanziaria, come è noto, riduce organici e risorse. Ora, i dirigenti scolastici -proprio in quanto responsabili del funzionamento di una scuola- hanno denunciato come quei tagli stiano mettendo seriamente in discussione il diritto allo studio. Per questo hanno raccolto migliaia di firme su una petizione presentata dai sindacati confederali e dallo Snals. L’intenzione è quella di consegnarle a diverse autorità, tra cui il presidente della Repubblica che più volte ha richiamato le responsabilità del governo sul ruolo della scuola pubblica.

Via ogni vincolo alle private
Blitz a tradimento di Viale Trastevere: una circolare stravolge la legge sulla parità scolastica

Zitti zitti, quatti quatti, gli strateghi del ministero dell’istruzione ne hanno fatto un’altra delle loro. Il metodo è noto: agire nell’ombra per non insospettire il nemico. Lo stile è quello tipico di Donna Letizia: non sollevare scandali. Il contenuto è -a dir poco- aberrante: liberare da qualsiasi vincolo residuo la scuola paritaria e farla tornare ad essere il caro, vecchio diplomificio di sempre.

Ma a preoccupare, soprattutto, è lo strumento scelto: una semplice circolare -emanata il 18 marzo scorso passata completamente sotto silenzio- con cui vengono dettate "disposizioni e indicazioni per l’attuazione della legge sulla parità". Circolare cui è affidato il compito di riscrivere (leggi aggirare) la Costituzione e di ridisegnare una legge de11o stato. Anzi di stravolgerla, sostituendosi - di fatto - ad essa.

La legge in questione è la 62 ma di essa rimane ben poco. Per l’esattezza, solo le disposizioni più favorevoli agli enti gestori e alle associazioni padronali (gli unici, del resto, ad essere stati convocati, interpellati e ascoltati nella stesura del «documento»).

Solo per dirne una: la circolare glissa magistralmente nel precisare la natura dei rapporti di lavoro. Più che sul1a qualità si punta, insomma, sull’abbattimento dei costi di gestione. Per entrare nel merito: spariscono i richiami all’applicazione dei contratti nazionali di lavoro anche per il personale Ata e spariscono le regole che impedivano di utilizzare il lavoro docente -sotto forma di volontariato o di prestazione d’opera - oltre un certo limite. Chi ha lavorato nelle scuole paritarie anche solo per un anno sa cosa significa: cinque ore secondo contratto e punteggio garantito; il resto pagato a ore o a nero (che poi è lo stesso).

«Un esempio luminoso di scrittura a quattro mani con gli enti gestori delle scuole private -commenta Enrico Panini della Cgil -

che con il pretesto di mettere in ordine la normativa in realtà riapre i diplomifici, modifica tutte le norme invise ivi comprese le regole di tutela sul rapporto di lavoro e cambia, sempre a favore degli enti, tutte le regole sulla formazione delle classi».

La cui composizione, detto per inciso, viene alleggerita da qualsiasi vincolo. Accorpamenti, scorpori, numero degli alunni e quant’altro: tutto è permesso, persino quegli sdoppiamenti di classe che la legge 62 aveva tassativamente proibito. Il nuovo testo - oltre a contemplare questa possibilità - magnanimamente decide di accogliere anche i «candidati esterni». Gli stessi che -in passato- ne avevano rappresentato la fortuna, nutrendo il fruttuoso mercato degli esami di idoneità.

La circolare - che la Cgil ha dato mandato ai suoi legali di impugnare -getta insomma le basi per la creazione di due sistemi scolastici: uno privato, finanziato, flessibile e sostenuto dalle scelte quotidiane del ministero; l’altro pubblico, umiliato dai tagli di risorse e personale e svuotato nel suo funzionamento quotidiano.

E non è tutto. Dalla circolare scompaiono anche i richiami all’articolo 33 della costituzione e alla libertà di insegnamento e vengono prefigurati organi collegiali diversi da quelli previsti nella scuola statale. Nei quali, si teme, a farne le spese sarà la partecipazione democratica di studenti, docenti, genitori e insegnanti.

Un vero colpo di mano che -dai contratti di lavoro al reclutamento agli organi collegiali - tende a ridisegnare il mondo delle scuole non statali paritarie al di fuori del sistema nazionale dell’istruzione. Ciò che si prefigura è un sistema flessibile e, dunque, assai più concorrenziale di quello statale già massacrato da una riforma senza portafoglio né contenuti. Come arrivarci? Per esempio, eliminando le verifiche necessarie a confermare il permanere dei criteri di parità.

Colpo di mano anche sul fronte dei finanziamenti. Il teorema -nella circolare- è buttato giù con nonchalance: poiché nel sistema nazionale dell’istruzione -si dice ipocritamente- le istituzioni statali scolastiche sia statali che paritarie concorrono a realizzare l’offerta formativa, va da sé che le amministrazioni pubbliche debbano intervenire «a sostenerne l’efficacia e l’efficienza». Di entrambe, naturalmente. Una bella trovata che apre il rubinetto dei finanziamenti pubblici non esclusi quelli diretti dello Stato. Così la destra non dovrà più passare per le forche caudine degli osteggiati «buoni scuola».

Tra gli annessi e i connessi di una così illuminata circolare, anche l’attribuzione di responsabilità (e pieni poteri) al «gestore», «garante dell’identità culturale e del progetto educativo della scuola» nei confronti di amministrazione e utenti. A sparire, questa volta, è la valutazione del sistema scolastico paritario da parte di un sistema nazionale e attraverso standard pure essi nazionali. Nient’altro che una devolution in odor di feudalizzazione.

Quanto alla sicurezza, nessun richiamo a norme certe. C’era da aspettarselo.