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"A scuola insegnate a combattere con la vita", il sogno di David Puttnam. "E basta riforme a ogni cambio di governo"

Produttore di film famosi, rettore, membro della Camera dei Lords e noto per le sue campagne su istruzione e clima. Fino a programmi di culto sulla scuola in tv e sul web. In questa intervista parla della sua parola d'ordine per cambiare l'istruzione. E' "resilienza", capacità di avere a che fare con la vita

14/12/2014
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la Repubblica

Cinzia Gubbini

Lord David Puttnam ha vissuto più di una vita: produttore di film di successo - tra gli altri Mission (Palma d'Oro a Cannes nell'86), il primo film di Ridley Scott (I duellanti) - rettore universitario, educatore, membro della Camera dei Lords nelle fila del Partito laburista, impegnato sui temi dell'istruzione, della comunicazione, dei cambiamenti climatici. Promotore di spazi pubblici dedicati alla crescita degli insegnanti: dalla trasmissione della Bbc "Teaching Awards", una cerimonia televisiva in cui ogni anno i dieci migliori insegnanti inglesi vengono premiati da star del cinema e della tv, o il sito TES del Times, dove docenti di tutto il mondo caricano e scaricano risorse per l'insegnamento. Puttnam nei giorni scorsi è stato a Roma, dove si è svolto l'incontro annuale della piattaforma europea E-Twinning che mette insieme 280 mila insegnanti: assistere a una sua lezione significa viaggiare tra clip video, ricordi personali e visioni di una scuola futura in cui insegnare sia gratificante sia per i docenti che per gli studenti. Secondo Lord Puttnam la parola chiave della scuola, in questo momento, dovrebbe essere "resilienza".

Che cosa intende, esattamente, con resilienza?
La resilienza è la capacità di avere a che fare con la vita: di prendere i suoi colpi e di saperli respingere. Molti ragazzi, oggi, pensano che la vita sia terribilmente dura. Nessuno di loro dovrebbe uscire dalla scuola senza aver imparato a combattere i suoi rovesci.

Ma come può insegnarlo la scuola?
Prima di tutto con l'esempio. Il mio punto di vista è che noi adulti vogliamo essere troppo amici dei bambini, ma in questo modo non li rendiamo capaci di comprendere le sfide che avranno davanti. A diventare resilienti si impara, la resilienza è come un muscolo: va allenata. La domanda del bambino è essenzialmente una: chi sono io? E la cosa più importante è ricordargli che lui ha talento, è creativo e può cambiare il mondo.

Quali sono secondo lei i tre principali ostacoli che impediscono alle scuole europee di creare future generazioni "resilienti"?
Il primo è la mancanza di una formazione continua degli insegnanti. Dico ai maestri: non pensate che io non sappia quanto è duro. Da piccolo pensavo di essere un campione del tennis e per questo non studiavo, tanto ero sicuro che sarei diventato una star. A 15 anni partecipai al Wimbledon junior e fui sconfitto, ma che dico, letteralmente stracciato da un giovane spagnolo. Così andai da un grande maestro di tennis, uno svedese, che mi disse: "Ragazzo, tu hai un ottimo rovescio e un ottimo servizio. Ma il tuo dritto fa schifo. Devi correggerlo". Gli chiesi quanto mi ci sarebbe voluto e lui: "Almeno due anni". Lasciai perdere, e mi rimisi a studiare. Ma un insegnante non può "lasciare perdere", deve per forza migliorare, rafforzare le proprie lacune, andare avanti.

E il secondo ostacolo?
Secondo me è di natura politica: purtroppo le riforme nel campo dell'istruzione seguono i cicli politici e non quelli della scuola. Le regole cambiano troppo spesso, mentre una riforma per dare i suoi effetti ha bisogno di un respiro più lungo. Il terzo elemento, secondo me, sta nella dirigenza scolastica. Ho visitato centinaia di scuole nella mia vita, e ho capito che un bravo dirigente ne diventa il cuore, sono loro che contribuiscono in modo determinante a fare di una scuola una ottima scuola. Purtroppo, però, oggi nel Regno unito abbiamo un problema: essere dirigente non è qualcosa di ambito. Troppe responsabilità, troppa burocrazia, troppi moduli da compilare. In questo modo la leadership non diventa un obiettivo desiderabile: dovremmo invece creare un ambiente stimolante e formare le persone affinché siano in grado di essere dei bravi dirigenti.

Cosa pensa del sistema scolastico anglosassone? In Europa è conosciuto per essere un sistema molto selettivo, basato su un uso sproporzionato dei test. Qual è la sua posizione?
Non sono contrario al testing, ma dipende dalla qualità dei test. Quando io ero piccolo il sistema era assurdo: a 10 anni i ragazzi venivano sottoposti a un test che decideva del loro futuro. Per fortuna lo superai, altrimenti credo che ora sarei un addetto alla pulizia delle strade. Ricordo ancora i passi di mia madre di corsa sulle scale, quando entrò in camera mia il sabato mattina in cui uscirono i risultati. Io stavo ancora dormendo: mi abbracciò fortissimo e la sentii singhiozzare. Oggi, le cose, sono molto diverse: è vero che ci sono parecchie valutazioni ma i percorsi non sono più così rigidi. Tuttavia sono d'accordo sul fatto che il sistema andrebbe migliorato. Negli ultimi 20 anni abbiamo imparato sul cervello più di quanto non abbiamo fatto in tutta la storia dell'umanità. Un test di qualità può essere utile a capire come rendere efficace un insegnamento, cercando di essere più attenti ai bisogni del bambino