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Aprile-Quello che la Moratti non dice

E' ormai una regola nella Casa delle libertà: spiegare a quelli che stanno sempre peggio che invece stanno meglio. Si fa anche con la scuola. E, dismesso il linguaggio neoliberista, la ministra...

26/04/2004
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E' ormai una regola nella Casa delle libertà: spiegare a quelli che stanno sempre peggio che invece stanno meglio.
Si fa anche con la scuola. E, dismesso il linguaggio neoliberista, la ministra Moratti racconta, affacciandosi in qualsiasi spazio pubblico possibile e dilagando sui giornali, che la riforma più contestata dai cittadini è stata fatta proprio per garantire istruzione e futuro ai più deboli.
La realtà di un sistema impoverito dalle ultime finanziarie, di un progetto che seleziona e divide, di una politica che diminuisce la quantità e qualità dell'istruzione pubblica, dalla scuola, all'Università, alla ricerca, viene annegata in un mare di cifre, che fanno sempre una " bella impressione" .
Peccato che nel sostenere che mai un governo ha speso tanto per l'istruzione, il ministro si guardi bene dal parlare di investimenti- diminuiti in tutte le finanziarie- e parli invece di dati relativi alle spese per le strutture amministrative (scuola e università insieme ) che garantiscono il funzionamento del sistema.
Peccato che si continui a non spiegare dove siano finiti gli 8.000 milioni di euro che avrebbero dovuto finanziare la legge 53, visto che in finanziaria ce ne sono solo 90. E nessuno dice- forse non farebbe una bella impressione - che nell'ultima finanziaria i soldi destinati alle famiglie che mandano i figli alla scuola privata sono sottratti dal fondo per le politiche sociali.
Così come fa un certo effetto continuare a leggere che il governo ha assunto 60.000 docenti nel 2001, provvedimento già deciso e finanziato dal centrosinistra, mentre si tace sul blocco delle assunzioni in ruolo per gli anni successivi, e sulla confusione fatta sulle graduatorie da cui il governo stesso non sa come uscire.
E sicuramente non si dice che mentre non si garantisce l'immissione in ruolo per tanti precari, tanti vincitori di concorso e tanti abilitati nelle scuole di specializzazione- tutti ormai alla disperazione- si trovano i soldi per immettere in ruolo 18.000 insegnanti di religione cattolica.
Certo, la guerra dei numeri rischia di premiare chi riesce ad avere più accesso ai media e a non essere contraddetto.
Proviamo invece a parlare di quello che succederà alle persone in carne ed ossa. Basta scorrere un po' di stampa locale per entrare in un altro mondo. In continuità con gli anni passati, si procede con tagli consistenti di cattedre in Puglia, in Emilia, in Friuli, in Sardegna, per nominare le situazioni più drammatiche. E tagli sono anche i posti che non si attivano. Rimangono inevase tante domande di iscrizione per la scuola dell'infanzia, per il tempo pieno, ma ora anche per i licei, visto che l'incertezza sul canale professionale indirizza lì la domanda. Insomma la politica del risparmio in otto punti promessa a Tremonti a inizio legislatura, (lettera del 2 agosto 2001), ha finito col colpire la qualità del sistema (classi più affollate senza garanzia di continuità didattica nelle superiori, eliminazione del tempo pieno come possibilità di contitolarità dei due docenti sulla classe per garantire un progetto pedagogico unitario- e non lo spezzatino custodialistico - chiusura di scuole sperimentali, di scuole medie a indirizzo musicale, progressiva eliminazione dei docenti specialisti per l'insegnamento dell'inglese, eliminazione di quel numero di insegnanti- organico funzionale- che ha permesso alla scuola di articolare il suo lavoro, per rafforzare le capacità di apprendimento di ognuno).
E una scuola così provata nei suoi punti di qualità può essere una scuola che aiuta i più deboli? (cfr. Letizia Moratti su Il Riformista del 10 marzo 2004: "Così la scuola italiana smetterà di essere una scuola che funziona solo per i ricchi"). Ma in base a quali analisi, a quali elementi di conoscenza si ritiene che la ricetta della personalizzazione dei percorsi nella scuola primaria, "scivolo" verso la canalizzazione precoce, garantisca meglio l'apprendimento di ognuno? Laddove si è scelto il modello della differenziazione/separazione dei percorsi, come negli Stati uniti, ci si ritrova con un analfabetismo di ritorno altissimo. E la scuola e l' università sono in quel paese sempre meno strumenti di mobilità sociale.
Mentre i dati forniti dalla ricerca dell'OCDE sulle capacità di lettura degli alunni di dieci anni, testimoniano che la scuola italiana, pur in presenza di un livello di istruzione dei genitori di gran lunga più basso di quello della media OCDE, è riuscita a fornire risultati decorosi, e soprattutto a contenere la dispersione. E che la scuola italiana è quella che, nel confronto con gli altri paesi OCDE, favorisce di più i non abbienti e comunque i più deboli culturalmente, perché i risultati negli studi (ricerca P.I.S.A sui quindicenni) sono meno determinati dalla provenienza sociale di quanto avvenga in Francia, in Germania, in Inghilterra.
Certo non c'è da contentarsi perché la dispersione c'è ed è un problema drammatico di tutti i paesi europei. Ma la proposta per uscirne è legata strettamente al modello di economia, di cultura e di società che si ha in testa.
Ma davvero si pensa di raggiungere gli obiettivi di Lisbona (combattere la dispersione e elevare la qualità dei sistemi di istruzione entro il 2010) con una scelta di darwinismo sociale ? Occultando la dispersione e canalizzando precocemente?
Per questa strada si finisce invece con l'assecondare la miopia del sistema produttivo italiano che nell'offerta di lavoro chiede (dati Unioncamere) solo il 5% di laureati, il 24% dei diplomati, il 46% di lavoratori con qualifica professionale. E si rinuncia a fare dell'istruzione una leva per lo sviluppo dell'economia. E' questo l'auspicato dialogo tra scuola e lavoro?
La nostra scuola deve cambiare e presto. Ma le modeste ricette proposte da questo governo non possono funzionare.
Perché non partono da scelte forti. Come quella di aumentare gli investimenti pubblici per scuola, università, ricerca,anche forzando il patto di stabilità.

Alba Sasso