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Come scoprire in quali università si insegna meglio

La recente graduatoria delle università nel mondo (in cui i nostri atenei occupano buone posizioni) è basata su diversi parametri di valutazione della qualità, nessuno dei quali, però, riguarda specificatamente la qualità dell’insegnamento, da cui dipende in buona misura la qualità del «prodotto finale», cioè i laureati

30/04/2019
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Corriere della sera

di Guido Coggi e Lucia Zannini*

La recente graduatoria delle università nel mondo (in cui i nostri atenei occupano buone posizioni) è basata su diversi parametri di valutazione della qualità, nessuno dei quali, però, riguarda specificatamente la qualità dell’insegnamento, da cui dipende in buona misura la qualità del «prodotto finale», cioè i laureati. Conoscere il «come» e il «cosa» si insegna nelle università è forse altrettanto importante. I parametri da aggiungere nella valutazione sono numerosi, e vanno dalle metodologie utilizzate dai docenti alla validità e modernità dei curricula e dei programmi di insegnamento, dal sistema di tutoraggio all’attenzione al ruolo attivo degli studenti e al loro coinvolgimento, la qualità della relazione tra studenti e docenti, la qualità, adeguatezza e modalità di utilizzo dei laboratori e, molto importante, la validità dei criteri usati nella valutazione degli studenti agli esami. E la lista potrebbe continuare. Naturalmente, perché una cultura della valutazione in questo campo si diffonda, è necessario che gli atenei ne accettino il valore e definiscano una «Strategia della formazione», una sorta di «Statuto dell’insegnamento superiore», che ne rappresenti il brand e che sia per i docenti un punto di riferimento nella loro pratica quotidiana. Insomma, giudicare il valore e la qualità di un ateneo solamente sulla base dei parametri fino ad ora usati e costruire su questi una graduatoria mondiale, appare oggi fortemente limitativo. Da ultimo, l’inserimento nella graduatoria del parametro «qualità dell’insegnamento» spingerebbe gli atenei a riconsiderare anche le modalità di selezione dei professori, oggi affidata (specie nel nostro Paese) in massima parte alla «certezza» che i professori siano buoni scienziati ma alla «presunzione» che siano anche buoni docenti. Ciò, perché la capacità didattica per divenire docente non è oggetto di approfondita valutazione qualitativa, come accade invece per la produzione scientifica. Il docente universitario è, infatti, in tema di insegnamento, un autodidatta: nessun corso di formazione, nessuna esperienza o valutazione preliminare: il suo è un percorso individuale, quasi una navigazione in solitaria. Solo gli studenti lo giudicano, ma solo quando è già «in cattedra». Che questo tema sia oggi sottovalutato, almeno nel nostro Paese, è anche dimostrato dalla rarità di incontri e confronti fra docenti universitari sul tema della formazione, sulle metodologie comunicative, sulle integrazioni e collaborazioni in campo formativo o ancora sulle metodologie di valutazione degli studenti. Curiosamente, questi momenti di condivisione sono invece del tutto quotidiani tra gli stessi docenti, allorché si tratti di un progetto di ricerca. L’iniziativa di alcune università italiane che, sulla linea di altre università europee ed extraeuropee e al seguito della proposta dell’Università di Padova, hanno dato avvio a un progetto di «Faculty Staff Development», potrà forse permettere di giungere, in un prossimo futuro, a una più realistica graduatoria mondiale delle università, con indubbi vantaggi per tutti