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Corriere-L'insegnante si schiera e la scuola è più debole

L'insegnante si schiera e la scuola è più debole Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein ci si è molto interrogati su come i giornali e la televisione abbiano informato rigu...

08/05/2003
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Corriere della sera

L'insegnante si schiera e la scuola è più debole

Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein ci si è molto interrogati su come i giornali e la televisione abbiano informato riguardo al conflitto iracheno. Pochissimo ci si è interrogati, invece, su un argomento non meno importante: come ha reagito la nostra scuola, se essa sia riuscita, in un campo inevitabilmente segnato dalle passioni politiche, a svolgere la sua funzione di favorire la discussione e la conoscenza critica. A richiamare l'attenzione su questo argomento è venuta, alcuni giorni fa, una lunga lettera che alcuni insegnanti ed ex insegnanti del liceo "Berchet" di Milano hanno pubblicato sulla Stampa . Gli oltre quaranta firmatari vi esprimono una posizione assai critica nei confronti degli Stati Uniti, la cui collocazione nel conflitto concluso un mese fa è giudicata "diametralmente opposta" a quella avuta durante la Seconda guerra mondiale.
Ad avviso dei professori e delle professoresse del "Berchet", il "motivo propagandistico della "guerra di liberazione"" sarebbe servito soltanto a mascherare il desiderio americano di mettere le mani sul petrolio e a coprire la realtà del "massacro inaudito" causato dalla guerra. Sono asserzioni discutibili, di cui non sarebbe difficile mostrare la scarsa fondatezza. Ma il punto è un altro. Se quei docenti avessero firmato un testo diverso, che so, contrario alla guerra però "con qualche se e qualche ma", o anche favorevole all'intervento in Iraq, lo sconcerto che la loro lettera suscita non sarebbe minore. Ciò che meraviglia, infatti, non è lo specifico contenuto antiamericano della loro denuncia, bensì il fatto che essi non abbiano percepito l'inopportunità di prendere una posizione pubblica, di schierarsi ufficialmente e politicamente in quanto insegnanti.
Come è ovvio, non voglio certo mettere in dubbio il fatto che gli insegnanti abbiano, come tutti gli altri cittadini, il diritto di manifestare le loro opinioni. Ma qui siamo di fronte a un fatto diverso: ai docenti di una scuola che prendono posizione in quanto (e soltanto in quanto) docenti, tant'è che la raccolta delle adesioni è appunto limitata agli insegnanti del "Berchet". Così facendo, di fatto contraddicono uno dei caratteri fondamentali della scuola come luogo in cui viene riconosciuta la legittimità di tutte le posizioni.
Non è difficile capire da dove nasca la loro iniziativa. Nasce dalla convinzione, che ha largamente circolato negli ultimi tempi, secondo la quale l'essere contro la guerra in Iraq non costituirebbe in realtà una posizione politica, discutibile perciò come tutte le posizioni politiche, ma una scelta di tipo morale. La lettera-manifesto degli insegnanti del "Berchet" - che i firmatari con ogni probabilità non considerano, come invece è, un manifesto politico - implica appunto l'idea che il contrasto tra i favorevoli e i contrari alla guerra non rappresenti uno di quei contrasti politici normali, per quanto accese possano esserne le manifestazioni, di cui vivono le democrazie liberali.
A quel contrasto viene invece attribuito il carattere di una contrapposizione assoluta, di un conflitto ultimativo come quello tra libertà e dittatura o tra fascismo e antifascismo, nel quale una delle due posizioni non può che risultare illegittima. Ma la scuola dovrebbe cercare di non rendere le cose del mondo illusoriamente semplici, dovrebbe coltivare il dubbio più che instillare facili certezze. Per questo motivo è da augurarsi che la lettera-manifesto degli insegnanti del "Berchet" resti un caso isolato.