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Corriere-Lasciate che i vostri figli lavorino durante l'estate"

L'INTERVENTO / Risposta a Covacich "Lasciate che i vostri figli lavorino durante l'estate" "Non siamo in grado di apprezzare l'ozio se non abbiamo un'occupazione" "Il lavoro è un ...

14/08/2003
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Corriere della sera

L'INTERVENTO / Risposta a Covacich

"Lasciate che i vostri figli lavorino durante l'estate"

"Non siamo in grado di apprezzare l'ozio se non abbiamo un'occupazione"

"Il lavoro è un valore universale che unisce i giovani. E' necessario per realizzare la loro personalità". L'affermazione è contenuta nel messaggio del presidente Ciampi alla giornata internazionale della gioventù, promossa dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (Corriere, 13 agosto). Pochi giorni fa Mauro Covacich ha lanciato un appello che apparentemente va in una direzione opposta: "Non fate lavorare i vostri figli d'estate" (Corriere, 28 luglio). Credo che Covacich abbia centrato un problema importante, quello di lasciare ai ragazzi il tempo di annoiarsi per porsi le domande giuste. Ma abbia scelto un obiettivo sbagliato, il lavoro. Non si può apprezzare l'ozio se non si conosce il lavoro. Covacich si rivolge soprattutto ai giovani del Nord Est che sarebbero precoci prede del workholismo . Ma questo è ormai un luogo comune che sopravvive all'evidenza. I nostri giovani, al Nord come al Sud, all'Est come all'Ovest, conoscono il lavoro troppo tardi e nel modo sbagliato. Conoscono il denaro troppo presto e nel modo sbagliato. Se c'è da tagliare nell'esperienza dei nostri ragazzi, tagliamo altre cose, non la pedagogia del lavoro, quella praticata per scelta. Il lavoro non come risposta al bisogno, ma come espressione del desiderio. Personalmente non potrò mai dimenticare la fiammante bicicletta acquistata con i lavoretti estivi. Vista sotto quest'aspetto, qualche precoce e saltuaria esperienza lavorativa, se caricata di un senso personale, non potrà certo inibire le fondamentali scoperte che il giovane deve fare, anche attraverso l'ozio. Non credo ci sia contraddizione tra le parole di Ciampi e l'intervento di Covacich che si riferiscono a situazioni diverse: l'ozio come costrizione per mancanza di lavoro e l'ozio come scelta a fronte di un eccesso di lavoro. Ma è difficile non rilevare come la nostra cultura, in tema di lavoro, non ha l'attenzione che ci si aspetterebbe da chi ha il ruolo di rappresentare la coscienza critica e svelare le mistificazioni del linguaggio. Faccio alcuni esempi. Perché, nel linguaggio comune, è l'imprenditore che offre lavoro e il lavoratore che lo domanda, mentre nella realtà è l'inverso? E' il lavoratore che dà il proprio lavoro e l'imprenditore che lo richiede. Questa capriola semantica svela che la centralità del lavoro è tutt'altro che metabolizzata quando non è, come in questo caso, nascosta. La nostra Repubblica è fondata sul lavoro, ma viene il dubbio che sia più tutelata la rendita edilizia. Perché gli affitti si pagano anticipati con l'aggiunta di due o tre mensilità di cauzione (non si sa mai), mentre gli stipendi si pagano posticipati e la cauzione la lascia il lavoratore con il Tfr? E il Tfr, un tempo, si chiamava indennità di licenziamento. Una minaccia, più che una garanzia. Il rapporto di lavoro è, con buona pace di Marx, anche uno scambio mercantile, ma i suoi termini sono regolarmente capovolti. Anche queste sono domande giuste, per dirla con Covacich, e i giovani non possono attendere fino ai trent'anni per porsele. Certo, non diventeranno per questo pericolosi rivoluzionari, ma avranno con il lavoro un approccio più realistico, più laico. Non credo sia molto utile presentare ai giovani il lavoro come una droga che toglie consapevolezza esistenziale e lucidità. Non è singolare che il linguaggio comune e talora anche quello giuridico, da tempi remoti e non sospetti, definiscano il lavoratore come "dipendente"? Espressione ormai considerata politicamente non corretta persino per coloro che dipendenti, in un altro senso, lo sono davvero.
L'appello di Covacich "non mandateli a lavorare" andrebbe trasformato in "lasciateli lavorare". Ci sono anche le mamme che si lamentano perché ai loro figli negli stage, che per fortuna si stanno sempre più diffondendo, fanno fare le fotocopie e non le strategie. E' facile rispondere che storicamente i tipografi sono stati un'élite professionale perché leggevano i testi che componevano: si può imparare più alla fotocopiatrice che in molti altri luoghi aziendali. Anche qui, ponendosi le domande giuste.
* Docente di Organizzazione Aziendale, Università di Padova