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Corriere-Milano-LA SCUOLA CHE MANCA

Abbandoni e devolution LA SCUOLA CHE MANCA Le notizie che giungono dalla scuola milanese, secondo le quali uno studente su tre (34 per cento) non arriva al diploma e solo uno su quattro (23 per cent...

26/02/2003
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Corriere della sera

Abbandoni e devolution
LA SCUOLA CHE MANCA
Le notizie che giungono dalla scuola milanese, secondo le quali uno studente su tre (34 per cento) non arriva al diploma e solo uno su quattro (23 per cento) si iscrive all'università, sono agghiaccianti. Se questi sono i risultati raggiunti dall'istruzione nella nostra città, tradizionalmente considerata la migliore del Paese, c'è poco da stare allegri. E forse più ancora della bassa affluenza universitaria - ben nota anche in altre regioni, come il prospero Veneto, dove i giovani preferiscono andare a guadagnare subito piuttosto che impegnarsi in anni di studi accademici - colpisce il dato sulla diserzione scolastica che porta un terzo dei ragazzi milanesi tra i 14 e i 18 anni a perdersi tra casa e strada e, nel migliore dei casi, tra lavori e sottolavori di livello molto modesto. Pur tenendo conto, in primo luogo, delle responsabilità degli alunni spesso assai poco disposti all'impegno, nonché, subito dopo, di quelle delle famiglie che, non raramente, nonostante il suggerimento contrario degli insegnanti, si ostinano a iscrivere i figli nei licei o nei più impegnativi tra gli istituti tecnici e commerciali, non si possono dimenticare le colpe della scuola che è diventata una rete a maglie così larghe da lasciarsi scappare un numero impressionante di ragazzi. C'è chi si aspetta molto dalla riforma Moratti ma, incominciando questa dal basso, ci vorranno comunque anni finché toccherà le classi superiori: anni nei quali altri alunni si perderanno per strada. Nel frattempo, forti della famosa devolution, a Milano si potrebbe far qualcosa per integrare i programmi scolastici, per affiancarli con materie facoltative in grado di coinvolgere gli allievi, legandoli maggiormente alla scuola, ma tali anche da pesare favorevolmente in un eventuale futuro curriculum.
Cento anni fa i liceali viennesi, accanto al greco e al latino, avevano l'obbligo di imparare, a scelta, il mestiere di fabbro, falegname o elettricista. E' soltanto un bell'esempio, naturalmente, né si può pretendere che Milano munisca le sue scuole, spesso cadenti e con palestre inagibili, di efficienti laboratori artigianali. Tuttavia non sarebbe forse sbagliato proporre a chi per tredici anni studia teorie e solo teorie, qualche ora un poco più pratica, dove si faccia qualcosa concretamente: musica o teatro o cinema o fotografia o restauro o scrittura creativa; oppure dove si parli finalmente la famosa lingua straniera, il tanto sbandierato (e ignorato) inglese, senza eternamente soffermarsi su infinite regole e regolette che forse nemmeno i veri inglesi conoscono.
Se, tuttavia, come annuncia l'assessore regionale alla cultura, la grande proposta innovativa per gli studenti milanesi consisterà in lezioni di grammatica padana, di storia celtica e di cucina locale, molto probabilmente l'emorragia scolastica continuerà come prima. E forse non solo quella scolastica: senza interventi davvero seri continueranno ad andarsene i milanesi dalla loro città, perché non basterà un buon risotto cucinato alla maniera dei nonni per trattenerli nella metropoli che perfino i dizionari scolastici definiscono, come si riferiva due giorni fa in queste pagine, "assai poco vivibile a causa del traffico caotico e del forte inquinamento".
ibossi@corriere.it