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«È troppo divulgativa» La star delle curatrici d’arte bocciata dall’Università

Niente idoneità per Vettese. «I giovani? Vadano all’estero»

13/06/2020
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Corriere della sera

Pierluigi Panza

«U na gaffe imbarazzante. Angela Vettese “non è matura”. Bocciata? Da chi?»: questa la notizia riportata sul Giornale dell’Arte (Allemandi) da Nicolas Ballario. Angela Vettese, una delle maggiori curatrici e critiche d’arte contemporanea, è stata «bocciata» (terza volta) all’Abilitazione scientifica nazionale da ordinario nel raggruppamento di Storia dell’Arte, ultima di una schiera di illustri vittime del baronismo.

I commissari, Rosanna Cioffi, Cecilia De Carli (unica che ha votato a suo favore), Giovan Battista Fidanza, Silvia Maddalo e Marco Pierattilio Tanzi non l’hanno abilitata giudicandola sulla base dei criteri stabiliti dall’Anvur, «che sfavoriscono chi ha successo nel mondo delle professioni e dello studio individuale e favoriscono chi staziona in università», racconta Vettese. I commissari hanno avuto «gioco facile» nel bocciarla: parametri pseudoscientifici alla mano, Vettese non possiede «responsabilità di studi e ricerche scientifiche affidati da qualificate istituzioni» (cioè la direzione di musei vale zero); non ha «responsabilità scientifica per progetti di ricerca internazionali che prevedano la revisione tra pari» (studiare per realizzare mostre non conta); non ha «direzione a comitati editoriali di riviste» specie di classe A e quindi non conta fare il critico per Il Giornale dell’Arte, il Domenicale del Sole 24 Ore. Le sue pubblicazioni sono (scontato) ritenute «troppo divulgative»: «per bocciarmi — racconta — uno dei commissari ha preso una parte di quanto c’è scritto su di me su Wikipedia». Morale, giudizio: «Non meritevole perché non presenta articoli di fascia A, superficialità e tendenza divulgativa, mancata maturità metodologica». Un classico.

Perché avviene questo?

«Perché si scimmiotta un meccanismo anglosassone privilegiando ricerche interne, più o meno vere, e brevi saggi in rivista A con peer review controllate dagli ordinari e si depotenzia, invece, il valore delle monografie, del lavoro e dello studio individuale. Conosco uno che ci ha messo 10 anni a scrivere un libro fondamentale, quindi oggi non rientrerebbe nei parametri. È un sistema studiato per delegittimare il merito».

Cattiva legge?

«La legge è migliore della precedente, ma si è trovato l’inganno. Il mio raggruppamento, “L ART 04” è di critica, teoria, mercato dell’arte ma io vengo giudicata nell’ambito della Storia dell’arte. È un sistema che penalizza chi fa studi a cavallo di discipline diverse; si è presentata una dall’Inghilterra e la commissione, pur riconoscendo il valore altissimo delle sue ricerche, ha detto che “non rientravano perfettamente nel raggruppamento disciplinare”. Germano Celant disse: “Insegno se mi fanno subito ordinario per chiara fama, altrimenti non mi metto in quel tunnel. Non lo fecero. Si è perso un super professore».

Perché è così?

«È un mondo che crede di essere più importante di quello che è, abbarbicato a pseudo certezze legate a scuole, appartenenze. All’estero tu puoi entrare in università sulla base di quello che hai fatto, senza dover sottoporti a un tunnel fatto di do ut des che sono una spada di Damocle. Si parte con un giovane che fa la tesi di dottorato metà della quale diventa l’articolo dell’ordinario suo tutor».

Le famiglie hanno percezione di ciò?

«In parte. Sanno che è un mondo con qualche opacità. Io invito i figli dei miei amici a studiare all’estero».

Un terzo dell’università è fatta da docenti a contratto che non guadagnano e hanno più titoli degli ordinari.

«Dovrebbero assumere i meritevoli per sostituire chi va in pensione, ma non con un ope legis come nel 1981: ma nessuno se ne occupa».

Mai pensato di lasciare l’università?

«Stupidamente ho lasciato, progressivamente, la carriera di direttrice musei: ho passione per l’insegnamento».

Ci tenterà ancora?

«Sì, anche se la domanda è talmente complicata che ci vuole un mese per farla. Va bene per chi staziona in università, ma per chi lavora...».