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Fuoriregistro-A proposito di uguaglianza

A proposito di uguaglianza di Piero Di Marco - 31-05-2003 "(...)...non c'è cosa più ingiusta che fare le parti uguali tra disuguali. (...)" (Scuola di Barbiana, Lettera a una profess...

01/06/2003
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Fuoriregistro

A proposito di uguaglianza
di Piero Di Marco - 31-05-2003

"(...)...non c'è cosa più ingiusta che fare le parti uguali tra disuguali. (...)"
(Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa)

Tullio De Mauro e Marco Borzetti
Vicchio, 24 -25 maggio 2003

Uguaglianza significa avere uguali opportunità e diritti.
Tutto il resto è paglia.
L'uguaglianza dei diritti comincia da quella di poter frequentare scuola della stessa qualità per tutti, e che tutti siano messi in grado di terminare il ciclo di studi minimo.

Invece di tante dissertazioni sull'uguaglianza, io ne farei molte sui giudizi che si agitano intorno all'uguaglianza.
Ci sono sempre stati molti che si affannano grandemente e con un certo entusiasmo a prendere nota che l'uguaglianza non c'è, nella vita, nella società, nel mondo, nell'universo, mescolando l'ovvio con l'arbitrario, l'esistenziale con il politico, e prendendo da ciascuna categoria quel che fa più comodo.
L'uguaglianza è un problema e un obiettivo politico, e me ne dispiace per tutti quelli che si fanno venire i pedicelli quando sentono nominare la politica.

E' tradizionale e tipico della destra - dopo aver trionfalmente stabilito che dio ci ha creato diversi - rubricare il problema nella condiscendenza della bontà o dell'equanimità personale di chi è gerarchicamente superiore.
Un problema paternalistico e morale, tutt'al più.
E' recente acquisizione della sinistra un impasto egualitario che non è facile definire, tanto è sconclusionato. Una scempiaggine che deriva principalmente dal tentativo di conservare il punto di vista politico originario, ma depurato di ogni consistenza ideologica, e dunque ridotto al più vago concetto di "sociale" - dove s'incontra bene con l'altrettanto vago egualitarismo cattolico, per confluire entrambi in quella forma di paternalismo assistenziale collettivo, che prende il nome di "volontariato".

Nella scuola, nell'insegnamento, dal punto di vista didattico l'egualitarismo è in aperta contraddizione con la necessità di fornire a ciascuno un servizio che sia il più perfettamente commisurato alle sue esigenze, alla sua personalità e alle sue vocazioni.
In questo senso, una didattica diseguale è l'unico modo per realizzare l'uguaglianza dei diritti e delle opportunità.
Come e quanto tutto ciò possa trovare una continuità in un sistema sociale e produttivo, prima e dopo la scuola, è tutto da vedere: diciamo che questa continuità non c'è affatto, ed è questo a porre problemi che sembrano "della scuola". Politici, che poi si può scegliere di vedere o di non vedere, dentro le aule e dentro le salette dei professori.
Ma se uno sceglie di non vederle, è inutile che si fa uscire il sangue dal naso per ricercare improbabili soluzioni all'interno della didattica e dell'organizzazione scolastica.

Attenzione, però. La disuguaglianza dell'insegnamento non deve servire da alibi - o peggio, essere la ghiotta occasione - per riproporre eternamente la disuguaglianza come destino, il classismo e la visione gerarchica della vita.
Disuguaglianza d'insegnamento (flessibilità, personalizzazione) non significa creare percorsi per futuri barbieri e percorsi per futuri economisti o capetti d'azienda, per manicure e per donne in carriera.
Quanta arroganza, quanta spietatezza occorre per decidere qual'è il destino, il futuro, il lavoro e la collocazione sociale di un ragazzino o di una ragazzina di dodici, tredici anni? E decidere di "ammaestrarli" secondo il destino assegnato?
Mi rendo conto che questa arroganza, questa spietatezza (che pure è convinta di essere pietosissima) sono assai più omogenei al classismo e alla feroce disuguaglianza di questa nostra società e di questo nostro sistema economico, e per questo possono sembrare e forse anche essere più efficienti, e risolvere qualche problema pratico con maggiore facilità. Un po' come l'elemosina.

Io non credo che l'obiettivo di una scuola (o di un insegnante) sia quello di creare dei servi efficienti.
Io vorrei operai, contadini e parrucchiere che conoscessero la matematica e la letteratura, le lingue e la storia dell'arte.
Io vorrei un sistema economico che consentisse guadagni realmente commisurati alla fatica, al tempo necessario per imparare, al valore di mercato che hanno: forse allora un tipografo o un operaio, e un contadino diventerebbero lavori ambiti e interessanti, e non roba di serie B o C.
Per capire meglio il senso di tutto questo, mi chiedo: come mai le "vocazioni" di parrucchiera e di operaio sono così poco ravvisate nelle scuole private confessionali, nei collegi esclusivi, o comunque tra la figliolanza dell'upper class? Possibile che in queste zone non ci sia mai un oculato supervisore che molto "saggiamente" veda che la loro carrera elettiva sia quella del perfetto idraulico o spaccatore di asfalto con la mazzetta, una sciampista, un ascensorista?
Come mai non c'è un solo figlietto di politico, di giornalista o di finanziere - e neppure di macellaio di successo - nel quale siano individuati le stimmate del tornitore - nobiltà del lavoro manuale, antica facoltà umana della face e dell'opra scaturita dal vaso degli dei ...

Sì, lo so, non sono un pragmatico. Ma con tanti pragmatici, con un intero mondo pragmatico all'opera, uno di più o uno di meno non fa una gran differenza .