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Fuoriregistro.Il Giudizio della storia-di Giuseppe Aragno

Il giudizio della storia di Giuseppe Aragno - 25-04-2003 La lezione si avvia alla fine in una facoltà semideserta. Turati mi conduce dall'età giolittiana al fascismo ed a me, che ho seguito...

24/04/2003
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Il giudizio della storia
di Giuseppe Aragno - 25-04-2003

La lezione si avvia alla fine in una facoltà semideserta. Turati mi conduce dall'età giolittiana al fascismo ed a me, che ho seguito Salvemini nella sua polemica contro il ministro della malavita sostenuto dal leader riformista, appare naturale rendere l'onore delle armi all'antico socialista.
A ragazzi che di storia sanno poco non puoi prescrivere la terapia d'urto.
Lascio perdere il durissimo giudizio di Antonio Labriola sul PSI che "pesca" nel "bestiame votante" e ricordo la nobiltà della politica che Turati incarnò con la sua storia di militante e dirigente del movimento dei lavoratori. Pongo l'accento sull'assedio fascista, cui lo strappano Rosselli e Pertini, e sull'epilogo doloroso in terra straniera, quando il tramonto della vita assume i colori bui della disfatta ideale. E' senza retorica che ricordo un'altra disfatta, quella che nell'aprile del 1945 assume il sapore della nemesi storica. Ricorro istintivamente ai toni alti e sento che il richiamo è appropriato: è Pertini che incontra a Milano Mussolini battuto: Pertini, che aveva condotto in Francia Turati battuto. Poche parole, la resa senza condizioni e una solo garanzia: salva la vita e un processo.
Il duce sceglie la fuga ed è piazzale Loreto.
La storia talvolta è anche giusta, commento. E provoco senza volerlo la domanda naturale: in che senso?
Un abisso - rispondo - separa sul piano morale Pertini e Mussolini.
Dietro Pertini ci sono i partigiani. Combattenti di lingua, cultura e religione diversa - altro che guerra civile - lottano in tutta Europa, soldati della democrazia, esercito irregolare che non ha patria e nazionalità: è fatto di francesi, jugoslavi, belgi, olandesi, polacchi, russi, angloamericani sfuggiti alla cattura o evasi. Li unisce un ideale: la volontà di battere il nazifascismo. Dall'altra parte ci sono italiani e tedeschi soprattutto e sparute unità militari fornite da governi fantoccio e dall'inferno dei campi di concentramento. Difendono le leggi razziali, la follia del genocidio fatta scienza di governo, il disprezzo per la democrazia eletto a dottrina politica. Uno spartiacque che non è possibile superare - e che non consente strumentali paragoni nemmeno con la degenerazione stalinista - ideali che non si possono in alcun modo confondere né sul piano morale, né su quello materiale. E se i morti meritano rispetto, non altrettanto si può dire per gli ideali che li hanno visti lottare e cadere.
E' un fatto: da morti, i ragazzi di Salò sono uguali ai ragazzi caduti in armi dalla parte opposta.
Uguali, per il rispetto dovuto alla morte.
Da vivi no.
Da vivi furono ciechi o criminali difensori di un'aberrazione.
Non ci saranno leggi o governi a modificare il giudizio morale della storia.