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Gazzetta del sud-Vogliono che i nostri figli rinneghino i loro cervelli

LETTERA DI UNA MADRE DELUSA DALLA SCUOLA "Vogliono che i nostri figli rinneghino i loro cervelli" Sono la mamma di un ragazzo diciottenne che frequenta il Liceo scientifico 'E. Fermi'. Sono una ...

26/02/2003
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Gazzetta del Sud

LETTERA DI UNA MADRE DELUSA DALLA SCUOLA

"Vogliono che i nostri figli rinneghino i loro cervelli"

Sono la mamma di un ragazzo diciottenne che frequenta il Liceo scientifico 'E. Fermi'. Sono una mamma come tante, con un figlio come tanti. Una mamma che ha un figlio adolescente con le sue crisi adolescenziali come tutti, che si oppone alle regole e morde il freno come tanti suoi coetanei, e che come quasi tutti i ragazzi trascorre buona parte della giornata a scuola, annoiandosi tra interrogazioni, compiti e spiegazioni e il pensiero del mondo che è tutto fuori da quelle quattro mura, lontano da quei deschi, lontano da quei libri. Ogni tanto arriva la voce di un insegnante che cerca, come può, un contatto che non può avvenire, perché troppo sono lontani i due mondi, perché troppo sono diversi i linguaggi. E allora arrivano ovattate frasi che sembrano scritte in un codice sconosciuto: "E' per il tuo bene... Devi studiare per raggiungere almeno gli obiettivi minimi... Stai attento... Basta.... Vieni alla lavagna!...". A volte il tran tran delle lezioni è interrotto dall'arrivo di un bidello che porta una circolare e anche questo può essere considerato un diversivo, ma le circolari sono anch'esse scritte per rendere la vita un po' più complicata e così quei fogli sbandierati dai bidelli vengono letti e già dopo poche frasi si capisce il messaggio: "Da domani gli alunni che dovessero arrivare in ritardo verranno...". Un altro divieto, un'altra minaccia, un altro messaggio tonante che arriva dal mondo dei 'giusti'. E così questi nostri figli imparano, ma non la matematica o l'italiano, no! Imparano a subire, imparano che lo studio è il fio che bisogna pagare per avere un apprezzamento a casa. Ma lo studio non è questo, cosi come la vita non questa. Con queste mie riflessioni non vorrei si pensasse che io sia contro le regole, che io pensi che a scuola ognuno possa fare ciò che vuole, o che l'istruzione non debba passare attraverso la scuola. Io credo che la vera emancipazione passi attraverso la cultura e la scuola. E' il più valido strumento perché ciò avvenga. Credo altresì che le regole vadano rispettate da tutti, ma non imposte o usate come armi da chi pensa di essere il più forte. Bisogna essere autorevoli, non autoritari. L'autorevolezza presuppone la giustizia, la coerenza a se stessi, l'amore e il rispetto per l'altro. E ora che ho spiegato il mio pensiero volevo capire quale autorevolezza c'è stata nella scuola di mio figlio, quando tantissimi ragazzi sono stati puniti con un secco sette in condotta e dove in alcune classi si sono avuti addirittura dei sei. Quale tipo di dialogo si vuole aprire con gli alunni quando già la scuola si è chiusa in se stessa e ha dato a tutti l'immagine di un mostro che si morde la coda. Quale messaggio educativo recondito si cercava di far passare? E così si è pensato di tenere riunioni con i genitori, cercandone l'appoggio perché aiutassero gli insegnanti a capire come mai i loro figli, così intelligenti, fossero così apatici. Io ho partecipato ad una di queste riunioni, dove si parlava degli alunni come fossero enti astratti, come lontani mondi imperscrutabili e ho pensato che forse non potendo affrontare il vero problema che è quello di una scuola vecchia, che utilizza vecchi metodi e cattive strategie, si cerca quell'autorevolezza che non si riesce a trovare, utilizzando un autoritarismo di scarsa qualità. E allora io dico che la scuola faccia ciò che crede, ma senza il mio assenso! Io agirò come potrò e come saprò, ma contro questi metodi, contro tutti coloro che vogliono che i nostri figli rinneghino i loro cervelli.

Una madre