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Gazzetta di Modena-'A scuola si respira un clima d'impotenza'

L'analisi di un 'addetto ai lavori': chi avesse il coraggio di imporsi sarebbe additato all'opinione pubblica come un despota 'A scuola si respira un clima d'impotenza' 'Regole che nessuno fa rispet...

27/03/2003
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Gazzetta di Modena

L'analisi di un 'addetto ai lavori': chi avesse il coraggio di imporsi sarebbe additato all'opinione pubblica come un despota
'A scuola si respira un clima d'impotenza'
'Regole che nessuno fa rispettare, personale non addestrato e precario'
'Da noi il poverino non è la vittima ma il persecutore'

Franco Fondriest direttore didattico

Nei giorni scorsi abbiamo raccontato la storia di Ellis e Marco, due ragazzini di 11 anni - uno di colore e uno modenese - costretti a lasciare la scuola media che frequentavano in seguito a gravi episodi di "bullismo". Ellis era diventato bersaglio di alcuni ragazzi della stessa scuola. Insultato, deriso, a volte anche picchiato ha deciso di trasferirsi, e altrettanto ha fatto Marco, l'amico modenese che si era inimicato il "branco" soltanto perchè era intervenuto in difesa dell'amico. Storie difficili, che sono il segnale di situazioni familiari di degrado. Ma segnali allarmanti per chi - e cioè il mondo della scuola - ha il ruolo di contribuire all'educazione delle giovani generazioni. Dopo l'intervento del Comune, pubblicato ieri, ospitiamo oggi una riflessione da parte di un "addetto ai lavori".E cioè Franco Fondriest, direttore didattico, cioè dirigente scolastico delle elementari. Un'analisi "scomoda" sul mondo della scuola e sui grandi limiti che ha nell'affrontare e gestire queste "emergenze" ormai sempre più ricorrenti.
"Gli episodi di bullismo e di razzismo accaduti in alcune scuole della provincia e denunciati nei giorni scorsi dalla Gazzetta esigono una pronta ed univoca risposta della società civile: sono fatti inaccettabili e lo sono ancora di più se accaduti nella istituzione che è preposta all'educazione delle future generazioni. Dopo lo scatto di civismo, occorre però un'analisi più approfondita.
In una società come la nostra dove i valori dominanti sono la competitività, il successo personale e il denaro, come ci possiamo stupire che alcuni ragazzi assumano comportamenti da bulli? Credo, al contrario, ci si possa stupire del fatto che, nonostante tutto, la maggior parte dei nostri adolescenti assuma ancora atteggiamenti solidaristici.
Che il sistema giudiziario, in Italia non funzioni è cosa ormai scontata che, purtroppo non indigna più nessuno. Ormai essere condannati è semplicemente una questione di sfortuna, più che di giustizia. L'illegalità è furbizia e l'impunità il risultato. I colpevoli diventano vittime e chi cerca di far giustizia, un persecutore.
Così nella società come nella scuola. Un preside, un insegnante che vuol far rispettare le regole come sarebbe trattato? Forse come quei vigili urbani che quando vogliono sanzionare un ragazzo perchè è senza casco devono subire le offese del giovane ed a volte, anche quelle dei genitori? o comunque, aspettarsi un ricorso, perchè un ricorso non si nega mai a nessuno?
Probabilmente, quel preside o insegnante sarebbe additato alla pubblica opinione come un autoritario, un despota, un "fascista".
Dall'altra parte che strumenti vengono loro dati per esigere il rispetto delle regole e per sanzionarne le violazioni? Il voto di condotta non conta più niente. Di sospensioni dalla frequenza delle lezioni, meglio non parlarne; interverrebbero come nella difesa dei poveri panda in estinzione, nugoli di associazioni, cittadini, giustificatori sociali e legali a reclamare giustizia per il "povero" punito. Perchè, non dimentichiamolo, per qualche strano ed incomprensibile fenomeno, da noi il "poverino" non è la vittima, ma il persecutore.
In tal situazione, forse, l'unica risorsa disponibile potrebbe essere la preparazione del personale docente. Ma così non è.
Gli unici insegnanti che hanno studiato per insegnare sono i maestri e non per niente le nostre scuole materne ed elementari sono tra le migliori del mondo. I professori sono competenti nelle loro discipline, possono essere bravi ingegneri, architetti e commercialisti, ma nessuno ha mai insegnato loro nè come s'insegna nè come sono fatti i ragazzi. Per fortuna, molti di loro sono migliori dei nostri decisori politici che li butterebbero allo sbaraglio e, nonostante l'ultimo contratto di lavoro (siglato ai tempi del centro-sinistra) abbia tolto l'obbligo di aggiornarsi, continuano a farlo a volte per sopravvivere, altre per essere più bravi, anche se nessuno glielo riconoscerà mai.
Per quanto riguarda i presidi che con l'autonomia scolastica hanno assunto un ruolo di particolare rilievo nella direzione degli istituti, circa il 50% è precario, come è precario quasi il 25% degli insegnanti ed il 35% dei bidelli. E spesso precario è sinonimo di "impreparato al compito", anche se armato di tanta buona volontà.
In tal situazione, al di là di alcune vite che rischiano di essere precocemente rovinate (e ciò è inammissibile) è preoccupante il messaggio che la società, attraverso la scuola, dà ai giovani: i miti perdono e gli arroganti vincono, in un clima di impotenza che può diventare anche indifferenza. Non vi è niente di più sbagliato che imporre delle regole e poi non farle rispettare. D'altra parte, non è un caso se, a detta degli insegnanti la materia meno insegnata a scuola sia l'educazione civica.
Tante materie, tanti insegnanti, tante ore a scuola, poco tempo per parlare con i ragazzi, per discutere con loro, per fare le cose più utili e necessarie in una età come l'adolescenza dove la diversità può essere vissuta come una minaccia. E poi, quanto tempo si dedica nella scuola ad attività di tipo collaborativo, quelle che ci fanno capire che ognuno ha qualcosa di buono da scambiare con gli altri, qualcosa indipendente dal colore della pelle, dalla religione, dal ceto sociale? La scuola pubblica, che accoglie ancora più del 90% degli iscritti, si caratterizza come scuola di tutti, luogo di convivenza per eccellenza, luogo dove fianco a fianco convivono operatori scolastici e studenti appartenenti a tutte le religioni, le razze, le idee politiche, i ceti sociali.
Quella della convivenza è una grande sfida, ma una sfida difficile. Sicuramente è più facile insegnare in quelle scuole private3 che si scelgono accuratamente i propri studenti, o in paesi come l'Olanda, ove esistono scuole separate per cattolici, per protestanti, per "neutri".
Non è questo che vogliamo: la scuola pubblica italiana ha il compito di educare il rispetto delle tante sensibilità e differenze presenti sul nostro territorio.
La liberalizzazione delle iscrizioni e l'assegnazione dell'autonomia alle scuole rischiano di provocare la costituzione di scuole ghetto e di scuole di élite.
Il meccanismo è semplice: i genitori più attrezzati culturalmente evitano di iscrivere i loro figli alla scuola più vicina a casa se non la considerano adeguata alle loro esigenze; e così restano solo i figli delle classi sociali più disagiate. Forse anche la mamma di Ellis era tra quelle che cercava una scuola migliore.
Ma la mamma di Ellis non ha fatto i conti con un dato perfettamente conosciuto agli addetti al lavoro: più le scuole sono considerate (o si autoconsiderano) migliori e meno sono attrezzate a gestire la diversità.
Affinchè i ragazzi gestiscano bene la diversità è necessario un contesto in cui società, famiglie, insegnanti condividano l'idea che la pluralità è una ricchezza e non un problema; questa è la condizione affinchè non si formino scuole ghetto e non si manifestino episodi di bullismo e di razzismo, questa condizione va al di là dei pur necessari provvedimenti organizzativi: è dentro di noi.
Ellis ed il suo amico Marco, dopo la dura prova che hanno dovuto sopportare, capiranno che non è tutto oro ciò che luccica ed avranno ancora tanto tempo per riscontrare che la nostra società è migliore di quanto abbiano potuto pensare.