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I talenti perduti dell'università italiana

Francesco Maiolo insegna Filosofia politica in Olanda

19/09/2017
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la Repubblica

dalla rubrica "Invece Concita" di Concita De Gregorio

Grazie a Francesco che ci scrive da Utrecht

Il tema è quello dei “cervelli in fuga”. È un’espressione, non tanto bella, ormai familiare. Sennonchè la usiamo così di frequente, per accomunare situazioni anche molto diverse fra loro, che essa finisce per rappresentare ben poco di preciso. Quando capita, leggo con grande attenzione gli interventi di colleghi che, come me, hanno avuto la possibilità di farsi una carriera accademica all'estero. Io vivo e lavoro nei Paesi Bassi dal 1996. Sono un docente di Filosofia politica. In questi anni ho avuto modo di conoscere anche altre realtà universitarie europee, incontrando diversi colleghi italiani.

Quando leggo gli sfoghi di alcuni miei colleghi rivivo lo stesso tipo di sensazioni e sentimenti. In tanti interventi fa capolino, oltre alla rabbia e alla frustrazione, anche la soddisfazione e l'orgoglio per essere riusciti a far breccia in ambienti completamente diversi da quelli di provenienza. Le posso garantire che la cosa non è affatto semplice. Nel nostro Paese circolano vere e proprie leggende metropolitane su quanto sia facile adattarsi, affermarsi e ottenere risultati all’estero.

Al tempo stesso, mi accorgo che c'è puntualmente qualcosa che manca nei nostri racconti. Prevale, comprensibilmente, il desiderio di mandare il nostro Paese a quel paese! Non possiamo non sensibilizzare l'opinione pubblica sul disagio di chi è ha tentato la carta dell'espatrio per poter svolgere attività accademica in quanto i canali a disposizione in Italia erano tutti intasati, spesso per motivi grotteschi o poco edificanti.

Mi rendo conto, però, che la situazione di degrado che molti di noi denunciano, con i chiari di luna che abbiamo, non sia una priorità. Ci sono tanti altri problemi che l’opinione pubblica percepisce come prioritari. Eppure il costo che il nostro Paese s'accolla per le tante "fughe" non è indifferente, sia da un punto di vista simbolico-esistenziale sia economico. Il fenomeno non è nuovo.

La prima cosa che manca in tanti di noi “cervelli in fuga” è la consapevolezza che c’è un’enorme differenza tra noi e tante altre categorie di emigrati, persone che avevano o hanno alle spalle ben altre difficoltà. È importante ricordarlo, specialmente in tempi di fenomeni migratori di proporzioni notevoli come quelli odierni. Forse quelli che appartengono alla categoria alla quale appartengo io sono in qualche modo privilegiati rispetto a tanti altri. Perciò il disagio che abbiamo patito non ci deve far perdere il senso delle proporzioni. Non è buonismo. Semmai, buon senso.

Ci lamentiamo della mancanza di meritocrazia in Italia, e finiamo per tessere le lodi di chi ha voluto investire in noi, all’estero. Giusto. Ma anche riduttivo. Perché gli accademici italiani riescono a farsi strada all’estero? Perché siamo così apprezzati? La risposta è semplice: con tutte le sue pecche il sistema universitario italiano spesso sforna talenti, ovvero menti versatili che dispongono di ampie conoscenze.

Negli altri paesi europei, Germania compresa, non è più così. Nella media, come forza lavoro, costiamo pure relativamente poco. Inoltre, nei programmi di studio partoriti dal così detto Processo di Bologna, oggi, gli studenti nelle sedi universitarie estere devono studiare per non passare un esame! Lo sappiamo, ma non ne parliamo. Sebbene sia innegabile che nell’Universitá italiana sussistano delle gravi carenze, che vengano sprecate risorse e portate avanti persone che non hanno minimamente le competenze e le qualità necessarie per far bene in ambito accademico – a farne le spese sono i più capaci e gli onesti – è altrettanto innegabile che l’immagine che vede l’Università italiana piena di brocchi disonesti e quella estera piena di campioni è una vera e propria patacca, una falsificazione di proporzioni preoccupanti.

Noi “cervelli fuggiti” dovremmo mostrare una considerazione più convinta nei confronti dei tanti che fanno il loro mestiere benissimo in Italia, a contatto con ostacoli molto diversi da quelli che noi incontriamo all'estero. La retorica che vede l'Università italiana, appunto, piena di mediocri opportunisti e quella estera come il paradiso della meritocrazia e delle competenze è da superare. Faranno la loro parte gli organi d’informazione? Noi non parliamo mai del nepotismo e delle falle che esistono nelle Università estere.

Di solito noi non diciamo molto (eufemismo) sulle procedure di selezione del personale e sulle procedure per l’ottenimento dei fondi per la ricerca.  Il desiderio di riconoscenza, ma anche la paura delle ripercussioni negative, ci portano a stendere un velo pietoso su pecche che sono vistose. In questo modo non aiutiamo davvero nessuno. Ci accontentiamo di lanciare sassate e rompere qualche vetro.

Il problema vero è che l’Università in tutta Europa è in crisi. Una crisi profonda che avrà conseguenze deleterie nel prossimo futuro. Non dovremmo più puntare l’arma della critica selettivamente. Dobbiamo invece contribuire ad avviare una riflessione seria su scala continentale. Noi Italiani continuiamo ad offrire un alibi comodissimo a chi in questo modo non farà altro che alimentare illusioni il cui peso graverà oltre le barriere nazionali. Cerchiamo di capire come funziona effettivamente l’Università nel resto di questa Europa allo sbando.

Francesco Maiolo