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Il liceo che sequestra i cellulari " Ragazzi, tornate a parlare tra voi"

A Piacenza la prima scuola d’Italia che ha deciso di isolare gli studenti da Internet e social

18/09/2018
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la Repubblica

Tiziana De Giorgio

Durante l’intervallo c’è chi ha lo sguardo immobile nel vuoto. In tanti si rigirano fra le mani quella custodia muta dai bordi fluo, un po’ come si fa con le sigarette non accese quando si cerca di smettere di fumare. Il loro smartphone è fuori uso da due ore: non una notifica di Facebook dalla campanella, non un messaggio su WhatsApp ha fatto illuminare display nascosti sotto ai banchi o chiusi negli zaini. Tutte le comunicazioni fra le aule e l’esterno della scuola sono bloccate. «Una sensazione di blackout terribile, difficile da descrivere — raccontano — Anche solo liberarsi dall’abitudine di tenere il telefono in mano sarà difficilissimo».

Il primo giorno di scuola allo scientifico San Benedetto di Piacenza rischia di far venire la tachicardia agli adolescenti di mezza Italia: eccolo il debutto del primo liceo che ha deciso di mettere al bando i telefonini grazie a una speciale custodia che scherma ogni singolo dispositivo in mano ai ragazzi. Una specie di grosso porta occhiali importato dagli Usa che questo istituto paritario ha deciso di consegnare come (per ora sgradito) regalo agli studenti. «Devono tenerlo sul banco dalla prima all’ultima ora, solo noi possiamo sbloccarlo», spiega Giovanni Spelta, prof di lettere. E indica un magnete simile a quello che usano le commesse per liberare i vestiti dall’antitaccheggio.

Alle otto e mezza, con un diluvio memorabile fuori, i ragazzi si mettono in coda per prendere in consegna la tasca. Pantaloni e capelli zuppi di acqua, l’aria perplessa di fronte a quei preziosi centimetri quadrati di tecnologia che scompaiono dentro a un tessuto che rende impraticabili social, fotocamere, messaggi. «In tutti i tempi morti il controllo scatta in automatico: WhatsApp, Instagram, Facebook. L’ordine è questo», racconta Maria. Ha quattordici anni, il telefono ce l’ha da quando ne aveva dieci. «Ma solo in seconda media ho iniziato a portarlo a scuola». All’uscita non tornava a casa per pranzo, per la mamma un messaggio era importante. «In classe però mai usato». Poi ci pensa, capisce di non essere credibile. E sorride, con l’ingenuità allegra di una bambina: «Vabbè magari ogni tanto nelle ore di arte».

I cento alunni di questo piccolo liceo sportivo e delle scienze applicate nato sopra un convento di monache di clausura hanno scoperto la novità solo da qualche giorno, quando il preside, Fabrizio Bertamoni, ha convocato i genitori: «Per guardare le stelle bisogna alzare lo sguardo — dice citando lo scienziato Hawking — dobbiamo aiutare i ragazzi a scollare lo sguardo dai display».

Non c’è solo l’idea di evitare distrazioni. «Devono tornare a parlare fra loro: nelle pause sembrano zombie chinati sugli schermi». A dare il la definitivo, un episodio spiacevole: «Uno studente fotografava il sedere di una sua compagna e postava la foto», ricorda la vicepreside, Ilaria Tiberio. Ad ogni modo, mamme e papà non hanno fatto obiezioni. E anche gli alunni più piccoli non sembrano farne una tragedia.

«All’inizio mi sono fatta prendere dal panico — ammette Camilla, di terza — Poi mi sono resa conto che il telefono ce l’ho sempre in mano.

Mi manca messaggiare con il mio moroso ma forse è giusto disintossicarmi».

Se i più piccoli ostentano saggezza, i grandi non l’hanno presa bene. Francesco, all’ultimo anno, è seduto in prima fila. «Il telefono fa parte di noi. Fatico a capire perché non possiamo guardarlo almeno durante l’intervallo». E durante la pausa delle dieci e venti, i diciottenni sembrano in crisi d’astinenza.

Quando all’una gli smartphone tornano gloriosamente nudi in mano agli adolescenti, il clima è quello di una liberazione: gli schermi brillano uno dopo l’altro, una notifica dopo l’altra. In un tintinnio continuo come dopo un lungo volo. «WhatsApp, Instagram e poi Facebook, cosa vuole che guardiamo?». E il primo giorno di scuola si chiude con un lungo, corale sospiro di sollievo.