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La Stampa-Insegnanti avviliti così muore la scuola

Stampa Articolo 14 Agosto 2003 "LETTERA DI UNA PROFESSORESSA", BILANCIO D'UNA CRISI Insegnanti avviliti così muore la scuola Alberto Papuzzi "ALLORA, cari ragazzi, lascio". Così scrive...

14/08/2003
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La Stampa

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14 Agosto 2003

"LETTERA DI UNA PROFESSORESSA", BILANCIO D'UNA CRISI

Insegnanti avviliti così muore la scuola

Alberto Papuzzi
"ALLORA, cari ragazzi, lascio". Così scrive ai suoi studenti la prof di lettere di una scuola media, che getta la spugna, dopo tredici anni di una personale appassionata battaglia per l'istruzione pubblica (e stressante pendolarismo, da Roma a Torrita). La storia è in un libriccino: Francesca Martini, Lettera di una professoressa (Antalia, 62 pagine, 7,00 euro), un titolo che evoca quello celebre della Scuola di Barbiana. Non è il primo caso di insegnanti che capovolgono il modello proposto da don Milani nel 1967 con la Lettera a una professoressa: si può parlare di un piccolo filone, di libri-testimonianza, a cui i docenti affidano il disagio di non poter realizzare il loro compito pedagogico e didattico, perché bloccati da eccessi di lassismo, ormai entrati anche nella legislazione. Nel 1998, per esempio, l'insegnante napoletana Francesca Giusti, pubblica già una Lettera di una professoressa, idealmente indirizzata alla Scuola di Barbiana, nella quale contesta "l'imperativo di non bocciare".
Il libretto della Martini, che ha avuto una vivace e polemica circolazione nelle scuole romane, è meno orientato sul piano storico: Barbiana e don Milani restano sullo sfondo, i veri interlocutori della prof sono gli studenti, i genitori, il ministro, i colleghi.
Ai primi, rimprovera di considerare la scuola sempre meno importante: "Lo studio è sempre più maginale nella vostra vita". Ai secondi rinfaccia "l'autismo intellettuale" e "l'assoluta indisciplina" delle nuove generazioni. Ai politici imputa di aver trasformato l'istruzione in un mondo paralizzato dalla burocrazia. Con i colleghi discute la totale perdita di autorità (e di potere) subita dagli insegnanti.
È il bilancio d'una sconfitta, personale e collettiva, su cui la società italiana non sembra voglia riflettere, sorda alle ammonizioni sui deficit - sociali, culturali ed economici - che i ritardi di formazione inevitabilmente producono. Passando in rassegna al volo, attraverso queste pagine, un decennio di progetti riformistici sulla scuola, concretamente realizzati o rimasti sulla carta, ripensandoci, rivedendoli, si resta sbalorditi dalla fatuità con cui si è operato su un settore così delicato, sia da destra sia da sinistra.
Il punto chiave è la disgregazione stessa della figura dell'insegnante, del suo ruolo, del suo carisma. E' assai probabile che gli insegnanti ci abbiano messo del loro, per favorire questo processo di disgregazione, sia la generazione che proprio ai tempi della Scuola di Barbania usava la selezione come un fucile e scambiava, ahinoi, l'autorevolezza con l'autoritarismo; sia la generazione post-sessantottina che ha scelto la strada ideologica e pedagogica della facilità e dell'indulgenza (pensiamo a quando si è considerato reazionario far mandare a memoria le poesie).
Ma i vari provvedimenti ministeriali hanno peggiorato le cose: l'insegnante non solo non ha autorità, ma oggi non ha neppure uno status; è un signor nessuno, soprattutto perché - come si capisce bene dal libro di Francesca Martini, che riferisce la situazione di una media inferiore - è stata soppressa l'idea del rapporto docente-discente come relazione affettivo-pedagogica. Il traguardo ideale cui la scuola, soprattutto se dell'obbligo, avrebbe dovuto puntare, pur tra mille difficoltà, era quello di una capacità di comprensione da parte dell'insegnante nei confronti dello studente: l'incontro di personalità, una con bisogni basilari di formazione, l'altra con gli strumenti per soddisfarli.
Tutto questo è stato messo da parte con sufficienza, sostituito, per esempio, dal Pof, "il famoso (o famigerato) Pof", come scrive la professoressa Martini. Cioè il Piano dell'offerta formativa, che liquida la formazione intesa come crescita personale, come maturità. Giustamente la Martini riproduce nel libro le pagine di un registro, con la griglia fittissima di voci (da Impegno a Partecipazione, da Attenzione a Osservazione, e via dicendo), che hanno la pretesa di "misurare oggettivamente"le competenze degli alunni. Come se fossero macchine, non persone.