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Liberazione-A proposito del referendum

Eugenio Scalfari - che sarebbe un liberale - ha scritto sulla "Repubblica" di domenica un articolo che, nel metodo e nello spirito, sarebbe stato sottoscritto con entusiasmo da Stalin o da Andre...

21/01/2003
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Liberazione

Eugenio Scalfari - che sarebbe un liberale - ha scritto sulla "Repubblica" di domenica un articolo che, nel metodo e nello spirito, sarebbe stato sottoscritto con entusiasmo da Stalin o da Andrej Zdanov. Con toni assai più moderati, Emanuele Macaluso prosegue sulla linea delle "collusioni col nemico", e spiega sul "Riformista" di ieri che la colpa degli errori di Bertinotti è tutta di Cofferati. Sul "manifesto" di domenica, invece, Rossana Rossanda ragionava sul referendum in termini problematici, auspicando la fine delle divisioni a sinistra. A noi - che non siamo liberali - ci è parso comunque utile pubblicare uno stralcio di questi tre articoli, pur tra loro diversi. Davvero questo referendum è una cartina di tornasole, oltre che un'arma (pacifica) che fa paura. (r. g.)

Scalfari: "Bertinotti
e Berlusconi uniti... "
Tra tanti milioni anzi miliardi di esistenti pensanti e parlanti ce ne sono alcuni (molti) che si preoccupano soltanto di sé. Tra questi Fausto Bertinotti occupa una posizione di speciale rilievo che merita d'essere segnalata, in qualche modo speculare a quella di Silvio Berlusconi. Infatti tra i due esiste da tempo una consonanza oggettiva (o anche soggettiva?) che si propaga giù per li rami ai rispettivi ripetitori del rispettivo verbo: meglio un padrone delle ferriere con la grinta e la frusta del tycoon - dice il primo - che le anime esangui del riformismo rinunciatario; meglio il comunista verace che ha il coraggio di chiamarsi e dichiararsi tale che il comunista travestito da democratico, dice il secondo. I due son fatti per intendersi e infatti s'intendono a perfezione dal 1994 in poi perché l'uno è l'alibi dell'altro. (')
quel referendum ha un solo bersaglio e cioè Sergio Cofferati. L'ex segretario della Cgil rischiava di catalizzare una buona parte dei simpatizzanti di Rifondazione comunista tirandoli fuori dal ghetto politico in cui Bertinotti li ha segregati da dieci anni e convogliandoli in uno spazio di partecipazione attiva alle sorti della sinistra e del paese. Se questo sforzo andasse a buon fine la ditta Bertinotti si ridurrebbe al suo capo e a pochi familiari e intimi, con notevole vantaggio per la sinistra e per la democrazia italiana.

Ecco la causa che ha messo in moto il referendum: un tentativo estremo del compagno Fausto di difendere la ditta "Bertinotti e C. ", così come avvenne nel '98 quando mandò gambe all'aria il governo Prodi incurante delle conseguenze che quel suo gesto avrebbe provocato.

Per il compagno Fausto il fatto che le sue a lungo pensate iniziative giovino alla destra berlusconiana non importa assolutamente nulla. Quello che importa è che il risultato sia un consolidamento della ditta, magari del mezzo per cento in termini di voti e di uno strapuntino in più nell'audience televisiva. Il resto è del tutto trascurabile.

Sergio Cofferati tenta di assemblare su una piattaforma di riformismo serio tutta la sinistra italiana? Ed ecco esplodere la bomba a orologeria dell'articolo 18 da estendere a tutte le aziende, anche a quelle - come esemplifica D'Alema - del chiosco del fioraio dove il padrone è il marito e l'unico dipendente è la moglie che, in caso di dissapori coniugali, potrà sempre puntare sul reintegro.

Diciamolo francamente: non è una buffonata? E' però una buffonata sulla quale la sinistra e l'Ulivo rischiano di frantumarsi e Berlusconi di superare la crisi di consenso e d'immagine che sta logorando il suo governo dopo neppure due anni di vita. Berlusconi aveva bisogno di qualcuno e di qualcosa che lo rimettesse sulla linea di galleggiamento; Bertinotti aveva bisogno di sottrarsi alla fascinazione di Cofferati. Si sono dati reciprocamente una mano. Il fatto che il referendum bertinottiano sarà sconfitto non ha nessuna importanza per i suoi promotori.

Non dobbiamo principalmente a loro se oggi siamo governati dal "patron" di Mediaset?

Macaluso:
"Complimenti a Cofferati"
Ma, ecco il punto, cosa ha significato opporsi in nome di "un diritto costituzionale di libertà" e non in nome di una conquista sociale? Con quell'impostazione massimalista si è aperta la porta al referendum chiesto da Rifondazione comunista, a cui si sono associati i metalmeccanici Cgil. Il ragionamento era semplice e convincente. Se si tratta di un diritto costituzionale di libertà, non si capisce perché deve fermarsi sulla soglia delle aziende che hanno meno di 15 dipendenti. Le firme sono state raccolte su questa base. E oggi è in campo un referendum che per molti versi si presenta come una lacerazione a sinistra. Coloro i quali nei giorni scorsi, dopo la dichiarazione di Berlusconi, hanno sottolineato il genio vittorioso di Cofferati, non avevano presente la trappola del referendum approntata grazie ad una impostazione massimalistica.

Votare "sì" come propongono Salvi e altri, significa rompere l'Ulivo e contrapporsi a tutte le associazioni del ceto-medio produttivo. Un suicidio. Votare "no" vuol dire convergere con il centrodestra e contrapporsi a quella sinistra con cui si vuole fare la maggioranza per sconfiggere Berlusconi. Quando una forza politica si colloca sul letto di Procuste, per cui da qualunque parte ci si giri sono dolori, è segno che non ha una guida adeguata. I Ds e l'Ulivo non hanno avuto la forza di affermare una posizione autonoma rispetto a quella assunta da Cofferati. Il quale così trasferisce una sua sconfitta nei Ds e nell'Ulivo.

Rossanda: "Se
ci dividessimo di meno"
In questi giorni la Consulta ha dichiarato valido il referendum proposto da un gruppo di sindacalisti e da Rifondazione per l'estensione dell'art.18 anche alle aziende di meno di meno di 15 dipendenti, come era giusto e prevedibile. E Berlusconi rigira il coltello nelle differenze della sinistra. Ma era obbligatorio arrivarci come ci si è arrivati? Nessuno può sostenere che il diritto di un lavoratore cessi alla soglia dei 15 addetti, valga per il quindicesimo dipendente ma non per il quattordicesimo. E infatti nessuno, che io sappia, lo sostiene. Ma molti, fra i quali Cofferati, si sono domandati se un referendum del genere abbia consistenti possibilità di riuscita in presenza di una forte diminuzione del numero di addetti per impresa dagli anni '70 - sarebbero 4.800.000 le imprese con in media da due a tre dipendenti - e di un paio di milioni almeno di lavoratori a contratto di collaborazione coordinata continuativa, che l'art. 18 non concerne. Non sarà semplice mobilitare una maggioranza referendaria per il sì. Ma non vincere avrebbe conseguenze assai pesanti. Le divisioni della sinistra non sono in questo caso sulla sostanza, ma sulla tattica. Non si poteva fare in modo di discuterne assieme? Certo non è uno degli errori minori della sinistra al governo non aver messo mano a queste disparità contrattuali e salariali, e tutti i nodi vengono al pettine. Adesso, per quel che può valere il mio avviso, bisogna far tutti di tutto perché il sì passi. Ma non è muovendosi come ci si sta muovendo in questi giorni che si rafforza una sinistra antiliberista, in grado di spostare padronato e governo - dovremmo rifletterci tutti. Il fatricidio non giova a nessuno, non giovano troppe reciproche diffidenze, il farsi l'elenco dei reciproci errori, né mettersi reciprocamente di fronte ai fatti compiuti - in tema di fatti compiuti, il mestolo rischia di restare in mano al padrone. Tutto si può capire, tutti i percorsi sono difficili, ma non se ne può più di fare di ogni mossa della sinistra una vicenda esistenziale di torti e ragioni.