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Liberazione: Votiamo si ma senza drammi

Pubblichiamo l'intervento di Guglielmo Epifani al direttivo Cgil "Votiamo sì, ma senza drammi" Pubblichiamo quasi per intero il testo della relazione del segretario della Cgil Gugliel...

08/05/2003
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Liberazione

Pubblichiamo l'intervento di Guglielmo Epifani al direttivo Cgil
"Votiamo sì, ma senza drammi"
Pubblichiamo quasi per intero il testo della relazione del segretario della Cgil Guglielmo Epifani tenuta ieri in apertura dei lavori del Comitato direttivo nazionale della Cgil.

Il dopoguerra in Iraq ci consegna un quadro a livello internazionale denso di ombre e rischi per le prospettive di chi crede in un governo democratico della mondializzazione e di un ordine fondato sul multilateralismo dei punti di vista e degli interessi, prospettando davvero per intero la complessità e la grande dimensione del tempo necessario per conseguire tali obiettivi. (...). In questo quadro non ci sorprende la decisione del nostro Governo che si appresta a mandare uomini in armi e mezzi, al di fuori del mandato dell'Onu o dell'Unione Europea, dal momento che questo era stato il motivo della nostra condanna della scelta annunciata in Parlamento e che, probabilmente, era frutto di accordi intercorsi fra il Governo italiano e l'amministrazione degli Stati Uniti già prima che la guerra scoppiasse.

Tutto questo ci deve spingere a insistere a muoverci lungo il percorso difficile ma necessario della costruzione di un nuovo ordine mondiale, senza il quale la globalizzazione produrrà tensioni crescenti, competizioni senza regole, riduzione dei diritti e l'inevitabile affermazione del prevalere del principio fondato sulla forza. (...).

Noi speriamo che il Congresso della Ces di Praga abbia la volontà e la forza di far pesare il punto di vista degli interessi del lavoro in questa fase delicata e decisiva di costruzione della nuova Europa: e questo sarà il compito che dovremo svolgere unitariamente come delegazione italiana.

Situazione deteriorata
Anche qui da noi in Italia, la situazione politica, istituzionale, economica e sociale appare fortemente deteriorata.

Gli attacchi alla Magistratura del Presidente del Consiglio confermano - da ultimo- l'esistenza di un'idea fortemente autocratica del potere, che si vuole sciolto dalle leggi e dal rispetto della funzione autonoma dell'ordine giudiziario. (...). Il Paese conferma visibili e crescenti problemi di ordine industriale e produttivo, e l'occupazione mostra caratteri sempre più precari, anche e soprattutto in quei settori o aziende tutelati fino a ieri da posizioni di monopolio o di rendita assicurata. La stessa difesa di retribuzioni e pensioni è messa in discussione dall'assenza di una vera politica antiinflazionistica con evidenti ripercussioni sulle condizioni di vita di molte persone e sul livello dei consumi interni. (...).

In arrivo il Dpef
Tanto più in una fase in cui si comincerà a predisporre il Dpef per il 2004 e verso il quale mi sembra, innanzitutto prioritario per noi, riuscire a determinare nel confronto che si aprirà con il governo un principio di trasparenza e di chiarezza necessario per le ricadute che questo può avere per tutte le partite che ci riguardano, in cui sono necessari stanziamenti di spesa, dai contratti agli investimenti.

Dall'insieme di questi giudizi, l'impressione che se ne ricava è le cose possono migliorare solo in dipendenza da fattori esterni a noi, mentre il governo del paese è incapace di proporre una strategia di uscita dalla situazione fondata sul binomio qualità-coesione sociale. (...).

Il naufragio del Patto
A quasi un anno di distanza il Patto per l'Italia funziona solo per le flessibilità senza contrattazione che ha determinato e per l'assoluto svuotamento dei rari punti di riforma che conteneva. Mentre è meglio stendere un velo di silenzio sugli obiettivi di crescita che si proponeva. La fase che si apre di fronte a noi, nel mezzo di un ciclo economico piatto, e a due mesi dalla presentazione dei lineamenti del Dpef, è quindi quella di tenere alto il fronte della critica, della nostra capacità di proposta, di utilizzare tutti gli spazi che si possono aprire per spostare in direzione degli interessi che rappresentiamo e dei programmi che abbiamo, tavoli di trattativa, occasioni di confronto. Tenendo insieme la forza della mobilitazione e l'uso della lotta per mettere in campo risposte di segno contrario.

Questo è il senso di quello che stiamo facendo in tema di pensioni. (...). In questo caso - e nel caso in cui non si fermasse l'iter parlamentare - non potremmo sottrarci dal chiedere a Cisl e Uil, in coerenza con le posizioni unitarie, una risposta di mobilitazione e di lotta.

La stessa cosa vale per il confronto aperto con la Confindustria sullo sviluppo. (...).

In modo particolare è sulla formazione che potremmo forse operare, se ci riusciamo, delle risposte positive in tema di integrazione fra scuola, formazione e lavoro, in modo da aiutare in questo anche lo svolgimento dei confronti contrattuali.

Il confronto comunque deve ancora entrare nella fase decisiva. E per noi farà testo il merito che si potrà definire che, per quello che ci riguarda, sta dentro i contenuti del convegno dell'11 febbraio e poi dello sciopero del 21 febbraio contro il declino.

Tute blu a rischio
In questo quadro di deterioramento di regole e tutele, e di disegni di controriforma, non può stupirci il complicarsi del quadro dei rinnovi contrattuali. Nel settore pubblico a 15 mesi dall'intesa generale restano fermi tutti i contratti più importanti. E per questo la categoria, unitariamente, ha proclamato lo sciopero. (...).

Nel turismo, il contratto è fermo per i problemi normativi attinenti al recepimento della legge delega in materia di orari, tempo determinato e flessibilità. Infine il contratto dei metalmeccanici, dove si può arrivare - in queste ore - ad una firma separata fra Federmeccanica, la Fim e la Uilm. E' evidente la gravità di questa possibilità, per ragioni di democrazia, di modello di relazioni che prefigura, per le soluzioni che vengono rimandate all'approvazione dei decreti delegati in tema di durata dell'orario, formazione, contratti a termine, istituti di flessibilità e di aumento retributivo con la riproposizione di una parte di salario di anticipo, che in tal modo diverrebbe strutturale. Abbiamo, come segreteria, fatto sabato un estremo appello per evitare che Federmeccanica compia questo passo. Se così non sarà, dovremo aiutare la categoria lungo due direzioni: il tema della democrazia e quello della riconquista a partire dai luoghi di lavoro di un effettivo potere negoziale. Ma penso che dovremo tornarci, con una discussione che vada al fondo di una crisi dei comportamenti negoziali, nella più importante area dell'industria e saper indicare una ragionevole e positiva via d'uscita.

Penso, infatti, che un accordo separato, in quelle condizioni di merito, rappresenta per la Cgil innanzitutto una sconfitta delle lavoratrici e dei lavoratori di quel settore.

La conclusione di questa vicenda, e più in generale le oscillazioni nei rapporti unitari richiedono una discussione esplicita.

Noi abbiamo lavorato, come segreteria, per ricostruire accettabili rapporti unitari a partire dal merito dei problemi. Mezzogiorno, politica industriale, ambientale, pensioni, la pace, il 1 maggio, lo sciopero generale prossimo a Reggio Calabria.

Lo abbiamo fatto con pazienza e fermezza.

La stessa fermezza con cui abbiamo denunciato e criticato la logica degli insulti e delle offese nei confronti di Savino Pezzotta, al quale rinnovo la più forte solidarietà della Cgil per quello che è accaduto a Milano il 25 aprile. (...). Ma la difesa del lavoro unitario fatto passa per la coerenza e l'affidabilità reciproca nel rapporto fra contenuti comuni e comportamenti conseguenti; e per la volontà che bisogna mettere nel provare a ridurre i punti di distanza che ci separano su questioni fondamentali. L'autonomia è anche la nostra parola d'ordine, così come vorremmo avere in comune, se non la stessa idea di democrazia sindacale, almeno regole minime per misurare la rappresentatività nel settore privato. Su questo punto la nostra intransigenza è figlia di un'idea alta del pluralismo presente fra i lavoratori e fra le organizzazioni sindacali.

L'attesa più grande per i lavori del nostro Comitato Direttivo concerne il tema del referendum.

Il Sì della Cgil
Anche se in parte attesa, è però singolare che polemiche, interventi e critiche si siano appuntati su percorsi che di formale non avevano niente, con descrizioni di fatti e di indiscrezioni talvolta, per me, incomprensibili.

Per questo e per rispetto dei poteri del Comitato Direttivo, dopo avere in segreteria nazionale esposto il punto di vista che ritenevo più coerente e giusto per le scelte della Cgil, non ho voluto né commentare né esporre quello che, invece, ho il dovere di sottoporre alla vostra discussione e al vostro voto.

Aggiungo anche che lo faccio a titolo personale, stante i diversi orientamenti presenti in segreteria, in tutto legittimi ed espressi, in quella sede, con modalità e toni di un confronto del tutto corretto e trasparente.

L'orientamento che propongo al Direttivo di assumere è basato su tre premesse politiche e una scelta, tutta ispirata - o almeno questa è la mia intenzione - alla proposizione di un nostro punto di vista autonomo, a una coerenza sostanziale con le impostazioni tradizionali della Cgil in materia referendaria, e alla ricerca della maggiore unità possibile, nella coerenza, della nostra Confederazione.

La prima premessa riguarda la conferma del giudizio critico sulla scelta di indire questo referendum, già decisa dal Comitato Direttivo del giugno 2002. Confermo, in particolare, l'inopportunità di scegliere la via referendaria per battaglie di carattere propositivo, nelle quali si smarrisce il senso diretto delle responsabilità contro cui esso si muove, sottoponendo così al corpo elettorale il giudizio sulle proprie politiche e sulle proprie strategie, al contrario di quanto avviene nei referendum abrogativi (...).

Allo stesso tempo è evidente che il quesito posto dal referendum si rivela, da un lato, limitativo della più generale strategia dei diritti della Cgil (appunto nel suo carattere estensivo) creando problemi alla tenuta di un fronte sociale dei diritti più articolato, più vasto e più equo. (...). Dall'altro si rivela solo parzialmente idoneo a rappresentare una reale difesa del diritto a non essere licenziati senza giusta causa nelle imprese sotto i 15 dipendenti. Difesa che noi troviamo assicurata in modo più efficace secondo le vie indicate nel nostro disegno di legge.

A questo bisogna anche aggiungere, per lealtà fra di noi e a futura memoria, che l'istituto referendario attraversa una crisi di partecipazione al voto evidente. (...).

Tutto questo dovrebbe suggerire al legislatore (come proponemmo qualche anno fa) di riformare l'istituto e deve a noi darci la necessità - da affrontare in un altro momento - di regole e sedi di discussione preventive circa la scelta di adire la via referendaria da parte di nostre strutture sia di categoria sia confederali, stante naturalmente il carattere generale di ogni singola decisione.

Tutto questo spinge naturalmente - ed è la seconda premessa - ad affermare senza esitazione o tentennamenti il valore strategico che ha e avrà per la Cgil il contenuto delle nostre riforme legislative, quelle sostenute dalla campagna di firme e approdate in Parlamento. Come abbiamo già detto la nostra non era né è una scelta di momento o tattica e vive, perciò, come nostra scelta primaria e fondamentale. C'è semmai da lavorare per superare il ritardo nella discussione di massa dei relativi contenuti, anche perché dove questo si è fatto l'orientamento produce il consenso e la condivisione generali.

Dall'altra parte - sempre per lealtà fra di noi - non possiamo neanche fingere di non vedere come l'azione del Governo e della maggioranza va in senso diametralmente opposto ai contenuti delle nostre leggi, di come la legge 30 apra varchi alla riduzione di fatto dei diritti fondamentali, compreso l'articolo 18, caricando di problemi i rinnovi contrattuali; e di come, su un altro versante, non tutte le nostre proposte hanno incontrato condivisione nel fronte delle forze politiche di opposizione, e quelle in materia di estensione e dei diritti nelle imprese sotto i 15 dipendenti, l'aperta ostilità delle associazioni imprenditoriali, dell'industria, commercio, artigianato e di piccola e media impresa. E questo nella ricerca di alleanze e di mediazioni politiche e sociali, potrebbe già oggi, e soprattutto nel futuro, rappresentare un problema.

Decidere nel merito
Detto questo, e prima di passare alla discussione sulla scelta da assumere come Cgil, è necessario ancora soffermarsi su una premessa che è imposta dalla discussione che si è aperta sullo strumento referendario.

Ho già detto, senza infingimenti e con forza i motivi di critica severa alla scelta adottata, e anche alla necessità che si imponeva già prima e che oggi si conferma, della riforma dell'istituto referendario (numero delle firme da raccogliere, tempi del giudizio di ammissibilità dei quesiti e il resto). Il nodo che sta di fronte a noi è però più generale: se si ritiene inopportuno, e sbagliato, e anche ingannevole un quesito posto a referendum, che conseguenza generale bisogna assumere?

Si deve ad esempio trarne una conseguenza logica che porta a disimpegnarsi collettivamente dal confronto democratico, oppure no?

Pongo il problema perché il problema c'è fuori di noi e forse anche fra noi. Ed è un problema che ha una sua logica e una sua forza. A quesito sbagliato, nessuna risposta come è stato autorevolmente detto.

Ho a lungo riflettuto su questo passaggio, sia nelle sue implicazioni pratiche che in quelle di carattere generale.

Alla fine mi sono persuaso che per una organizzazione che ha superato per sé la logica e la concezione della democrazia dei fini, in base alla quale è la condivisione dei fini che rende o meno legittimo il mezzo, la norma, la regola, in nome di una corretta e liberale distinzione fra fini e mezzi, tanto più quando questi sono di natura costituzionale, la risposta non può essere questa.

Deve, invece, partire dal rispetto del valore democratico dell'istituto referendario, che si deve a tutti i quesiti, quale che sia il nostro giudizio, una volta ammessi dalla Corte Costituzionale; e fare discendere la scelta dell'organizzazione se esprimersi o meno, e nel primo caso anche in che modo, basandosi sul giudizio di merito e su null'altro.

D'altra parte questo è quello che abbiamo sempre fatto.

Ricordo l'84 e le sirene che indicarono a molti di noi di disertare le urne di quel referendum.

Ricordo che fu lo stesso principio, la stessa etica a non farci disertare come scelta collettiva i referendum radicali, anche se sapevamo che il non raggiungimento del quorum ci avrebbe difeso meglio e con più possibilità di successo. C'è qualcuno di noi che non pensò allora che a proposito dei quesiti radicali che il quesito sulla delega non fosse insieme falso, insidioso, ingannevole e come si dice oggi "una trappola"?

E' dunque il merito e solo il merito, anche se il contesto generale ha ovviamente il suo peso, a orientare le scelte che dobbiamo assumere.

Lo quali sono solo due: o pronunciarci come organizzazione o non farlo, le due scelte che da sempre abbiamo di volta in volta assunto. "Lasciare libertà di voto o di coscienza" non è l'espressione giusta perché è evidente che nessuno può lasciare o negare o riprenderci un diritto di libertà che ogni cittadino ha di suo, come titolo inalienabile e primario, compresi naturalmente i cittadini iscritti alla Cgil.

Il merito ci dice, al dunque - insieme con la ovvia considerazione che si tratta di un argomento di strettissimo interesse sindacale - tre cose: che il quesito si propone di estendere le tutele dell'articolo 18, secondo modalità in parte diverse da quelle che noi proponiamo e per noi meno efficaci; che, indirettamente, il quesito - se vincessero i sì- avrebbe riflessi sulla difesa e il mantenimento dell'articolo 18; che il quesito non affronta altri fondamentali diritti dei lavoratori, anche delle piccole e piccolissime imprese.

E' sulla base di queste considerazioni - e anche indipendentemente dalla convinzione che ho, che difficilmente il quorum sarà raggiunto - che propongo al Comitato Direttivo di assumere l'orientamento, che a me sembra più logico e conseguente, di un sì strettamente correlato ai contenuti e al merito del nostro impianto di riforme.

Un sì per le riforme
Un sì per le riforme e per i diritti.

E - lo dico in esplicito - non perché ci sia continuità necessaria fra le battaglie fatte negli ultimi 18 mesi e il referendum, ma perché la battaglia che è in campo, la nostra, e deve continuare, ha bisogno delle persone in carne ed ossa che voteranno sì a questo referendum.

E' vero che il referendum divide e per questo non si doveva fare, ma noi non possiamo dividerci da una parte importante dei sentimenti e degli umori profondi dalle persone che vogliono essere rappresentate da noi.

Tanto più se volessimo nel futuro proporre o avanzare noi la scelta referendaria di abrogazione di quelle norme che non condividiamo.

E aggiungo, inoltre, che anche per questo è necessario avere verso l'istituto referendario un atteggiamento costituzionalmente e politicamente molto attento.

Aggiungo ancora due considerazioni.

Interpreto una stessa e comune motivazione nei pronunciamenti di molte strutture non richiesti e molte volte da noi fermati.

E ritengo che la scelta contraria, altrettanto legittima e seria, e cioè quella di non fare oggi pronunciare l'organizzazione per decidere oggi in questo senso determinerebbe in realtà una grande prevalenza delle scelte per il sì delle nostre strutture, senza potere coordinare e governare le modalità di attuazione di questo orientamento.

E alla fine avremmo una organizzazione molto più divisa e molto meno coesa di quello che io immagino potrà esserci dopo questo Comitato Direttivo.

Se questa scelta sarà assunta dal nostro Direttivo e diventerà orientamento della Cgil, ne conseguirebbe che la Cgil dovrà stare in campo in questa fase con un profilo rigorosamente autonomo, con la propria caratterizzazione riformatrice, senza estremismi e senza chiusure e, naturalmente, senza aderire ai comitati referendari presenti.

Determinata e serena, aperta al confronto con l'impresa minore, soprattutto nei territori, nel nome del comune interesse a contrastare la politica economica del Governo, e a far crescere nelle piccole e medie imprese qualità e riconoscimento dei diritti e delle tutele di chi lavora.

Il sì per le riforme esige che il fronte sociale che il referendum può restringere venga tenuto costantemente aperto. D'altra parte, andrà detto con più forza che non si può guardare all'impresa di oggi sotto i 15 dipendenti - e ancora di più a quella di domani - con gli occhi degli anni 70. Tanto più con la nuova legge che accentua la disarticolazione dei rami aziendali.

Care compagne e compagni, vi chiedo di discutere liberamente e tranquillamente della proposta che avanzo e poi di decidere.

Avverto l'importanza di questa discussione e delle scelte che dobbiamo assumere. Non vedo però davvero i margini per drammatizzazioni, o divisioni profonde.

Le abbiamo avute, altre volte, a ragione, nel passato.

Oggi non ne vedo né il clima e né le condizioni. Discutiamo serenamente e responsabilmente decidiamo.

Io per primo ho rispetto per opinioni diverse da quella che ho sostenuto e delle quali, però, sono profondamente convinto.

Usiamo tutti lo stesso rispetto, per rispetto fra noi e soprattutto per la Cgil che è ancora al centro di attenzioni, polemiche e attacchi non propriamente amichevoli.

E soprattutto non disperdiamo anche noi - come molti provano e proveranno a fare - quello che abbiamo fatto in questi anni con la segreteria di Sergio Cofferati al quale voglio rivolgere e rinnovare i sensi del mio affetto e stima.

E ricordiamoci tutti che tutti siamo legati da mandati che abbiamo ricevuti dal nostro Congresso e per primo, naturalmente, il vostro segretario.

Voglio infine porre a me e al Comitato Direttivo una domanda che mi pare sempre più pressante: di fronte alle tensioni democratiche e istituzionali di questi giorni, dopo le dichiarazioni di ieri del Presidente del Consiglio che sembrano voler aprire una campagna elettorale lunga almeno un anno, di fronte a un'economia che non va, a contratti separati che possono aprire scenari visti cinquant'anni fa, davvero è la scelta di come votare a un referendum che probabilmente non avrà effetti diretti, il cuore fondamentale del nostro dibattito, delle nostre scelte e delle nostre priorità?

Io penso davvero di no.

E se così è, dopo aver discusso e deciso, mettiamo l'unità e la forza della Cgil al servizio di quello per cui c'è bisogno di spendersi assieme.