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MA GIÀ OGGI LA SCUOLA È REGIONALE -di Paolo Ferratini

Giovedì 5 Dicembre 2002 MA GIÀ OGGI LA SCUOLA È REGIONALE di PAOLO FERRATINI * IL DOPPIO richiamo di ...

05/12/2002
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Giovedì 5 Dicembre 2002
MA GIÀ OGGI LA SCUOLA È REGIONALE
di PAOLO FERRATINI *
IL DOPPIO richiamo di Ciampi, nel giro di poche ore, al ruolo insostituibile dello Stato nel settore della scuola va senza dubbio interpretato come parte di un ragionamento più ampio, con il quale il Presidente ha dato in questi giorni voce alla sua preoccupazione in materia di devolution, dinanzi ad un percorso legislativo assai poco armonizzato con il quadro vigente, in particolare dopo la riforma costituzionale del Titolo V. La scelta della scuola, anziché della sanità o della polizia locale, come settore rispetto al quale invocare la conservazione di competenze statali (coordinamento delle politiche e risorse finanziarie) esplicitamente non devolubili, non pare tuttavia dettata solo dal contesto (inaugurazione dell'anno accademico dell'Università di Siena), ma anche e più ancora dal valore simbolico che l'istruzione di un Paese riveste per la sua identità e unità, temi carissimi, come è noto, al Quirinale.
Se del resto, di là dal rigetto dell'opposizione, a suscitare perplessità e rilievi di merito non marginali anche nella maggioranza è l'intero impianto della riforma Bossi, con i suoi limiti evidenti di congruenza e di applicabilità, per quanto riguarda la scuola la sua eventuale approvazione porterebbe conseguenze del tutto particolari e per certi versi paradossali. Vediamo. La riforma costituzionale del 2001 affida allo Stato competenza esclusiva solo per quanto concerne le 'norme generali sull'istruzione". Tutto il resto è materia di legislazione concorrente fra Stato e Regioni. Il comma 4 del nuovo art. 117 chiarisce poi che, nel caso di competenze concorrenti, la potestà legislativa spetta alle Regioni, nel rispetto dei 'principii fondamentali" dettati dallo Stato. Alla lettera b) dell'articolo unico della riforma Bossi, la 'organizzazione scolastica" e la 'gestione degli istituti scolastici e di formazione" diventano competenza esclusiva regionale. Il passo in avanti, in direzione di un più accentuato federalismo, è tuttavia solo apparente, se per organizzazione e gestione si intende l'effettiva predisposizione amministrativa dei servizi sul territorio e la programmazione dell'offerta formativa, già attualmente appannaggio delle Regioni; sarebbe reale invece se le Regioni stesse, in virtù di questa norma, si ritenessero autorizzate a legiferare in materia di istruzione indipendentemente dai 'principii fondamentali" fissati dallo Stato (per esempio i criteri di universalità dell'accesso, di uniformità dello stato giuridico degli insegnanti, ecc.). Di certo il testo, così concepito, non consentirebbe di essere applicato, se non a prezzo di un contenzioso permanente dinanzi alla Corte.
Il paradosso allo stato puro lo raggiunge tuttavia la lettera c), che accoglie la novità più rilevante e maggiormente contestata, là dove affida alle Regioni potestà esclusiva in materia di 'definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico" del territorio. Il paradosso sta nel fatto che il centralismo statalista dei 'programmi di Viale Trastevere", che la norma vorrebbe scalzare, è già stato superato dalla legislazione vigente e, nello specifico, dalla introduzione dell'autonomia scolastica (1997). Da allora infatti nessuno parla più di 'programmi": allo Stato spetta solo il compito di fissare gli obiettivi di apprendimento e i livelli di competenze da raggiungere. Le scuole hanno dunque la facoltà e il diritto di impostare già ora un proprio originale percorso. L'introduzione di una 'quota" di programma locale dettata dalle Regioni sarebbe un evidente arretramento in termini di libertà progettuale. Con ottime probabilità di tradursi in una riedizione del vecchio centralismo ministeriale moltiplicato per venti.
* Direttore Biblioteca
del Mulino