Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Manifesto: Un'accademia di ultra cinquantenni

Manifesto: Un'accademia di ultra cinquantenni

Chi oggi vince un concorso da ricercatore in Italia ha spesso i capelli bianchi e figli a carico. Ma soprattutto, ha una prolungata carriera di precariato e di espedienti .

15/11/2009
Decrease text size Increase text size
il manifesto

Daniele Archibugi
Gli appetiti famelici della finanziaria non risparmiano nessuno. Il reclutamento di nuovi ricercatori, considerato una priorità dalla destra e dalla sinistra, dalla Confindustria e dai sindacati, ha subito un pesante e forse irrimediabile stop al Senato. Tecnicamente, i fondi erano già stati iscritti a bilancio nel 2007 dal ministro Mussi, ma serviva l'approvazione di un emendamento per stanziare la terza tranche di ben 80 milioni di euro. Che non c'è stato. Dovranno quindi aspettare ancora, e chissà quanto, quei ricercatori che da molti anni aspirano ad un posto fisso. Dovranno continuare a vivacchiare con borsucce e assegnetti, contrattucoli e collaborazioncine, sottraendo risorse a ricercatori più giovani di loro, e quindi scalciando via ulteriori leve dalla ricerca. Chi oggi vince un concorso da ricercatore in Italia ha spesso i capelli bianchi e figli a carico. Ma soprattutto, ha una prolungata carriera di precariato e di espedienti che gli hanno consentito, spesso grazie all'aiuto di genitori disponibili, di studiare senza propri contratti di lavoro.
Le statistiche sull'invecchiamento dei docenti italiani sono impietose: quasi il 60 per cento di chi insegna nelle università ha più di 50 anni, contro il 40 per cento della Spagna. Non parliamo poi degli altri maggiori paesi europei quali Germania, Gran Bretagna e Spagna, dove gli ultra cinquantenni sono meno del 30 per cento. Fuori d'Italia c'è ancora una piramide con molti giovani in basso e pochi maturi in alto, mentre da noi c'è esattamente il contrario. Si dirà che ciò riflette il generale invecchiamento della società italiana, ma nella nostra accademia - il settore che dovrebbe generare idee e conoscenze per il futuro - l'invecchiamento progredisce in maniera accelerata.
Le conseguenze sul sistema scientifico e tecnologico sono disastrose. I giovani di talento non hanno alcuna possibilità di dedicare gli anni verdi alla ricerca e alla specializzazione, con una ragionevole certezza che, se sono capaci e producono risultati, troveranno un posto di lavoro. I docenti si ritrovano senza lo stimolo dei più giovani, e rischiano anch'essi di fossilizzarsi.
Le incertezze sulla disponibilità di posti ha anche effetti perversi sui concorsi che, dopo agonie burocratiche e torture amministrative, sono finalmente banditi. Si tratta solo formalmente di concorsi liberi: come in quel bel film di Sydney Pollack, «Non si uccidono così anche i cavalli?», finisce che vincano non i più meritevoli, ma i più persistenti. Si incoraggiano così i vizi peggiori dell'accademia italica, consentendo che i già pochi posti siano assegnati ai figli, ai nipoti e alle amanti dei baroni.
Ma soprattutto, se salta una generazione, a chi riusciranno gli accademici italiani a trasmettere il loro sapere? Chi farà da guida alle nuove leve quando coloro che oggi detengono il bastone del comando andranno in pensione? Se un giovane talento si dovesse porre queste domande, il modo più ragionevole di investire l'ultima rata dell'ultima borsa sarebbe acquistare un biglietto di sola andata per qualche altro paese.