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Meno test, più creatività: la ricetta

Il guru britannico fa il punto sull’approccio educativo più adatto alla nostra epoca. In Italia? «Se si seguissero di più gli insegnamenti di Maria Montessori non ci sarebbero il 44% di giovani senza lavoro»

10/11/2015
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Corriere della sera

Antonella De Gregorio

Una Buona Scuola? Quella che aiuta i ragazzi a capire il mondo e a entusiasmarsi, a trovare lavoro e a essere felici. Non entra nel merito della riforma della scuola italiana Ken Robinson, autore inglese, docente universitario, consigliere internazionale sull’educazione per i governi e le istituzioni no profit. Ma approfitta di un passaggio in Italia, in occasione del World Business Forum di Milano, per riproporre la sua visione su quale sia l’approccio educativo più adatto alla nostra epoca. Curriculum ampio e radicato nel patrimonio culturale; spazio alla creatività e all’apprendimento collaborativo; spinta a sviluppare le risorse che consentono di trovare lavoro, fare scelte responsabili, partecipare con consapevolezza alla vita sociale. Insegnare a vivere: questo è l’obiettivo della scuola del futuro. Senza smarrirsi nell’ossessione dei test. In quel fanatismo per la misurazione contro cui in molti, Oltreoceano, si stanno rivoltando. A partire dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ha preannunciato una rivoluzione: «ridurre la quantità di test in classe durante l’anno e far sì che a scuola i ragazzi si divertano a imparare».

Sta dunque imboccando la strada sbagliata l’Italia, che alle prove standardizzate per misurare competenze dei ragazzi e qualità dell’insegnamento è arrivata da poco, con i test Invalsi?
«Dipende dall’uso che se ne fa. Le prove standardizzate non vanno demonizzate sono utili per verificare i livelli raggiunti dalle scuole e per comunicarli all’esterno. Ma vanno viste come uno degli strumenti possibili di valutazione. Negli Usa, invece, i ragazzi passano troppo tempo a fare test non sempre necessari, che peraltro alimentano un’industria miliardaria. Tra i 5 e i 16 anni ne fanno centinaia e le scuole impiegano moltissimo tempo a prepararli e valutarne l’impatto. Un’attività da impiegati, che in molti casi rimpiazza le lezioni tradizionali e toglie ai docenti passione per il loro mestiere. Senza peraltro evidenze di miglioramenti nell’apprendimento».

Autorità mondiale in materia di creatività e istruzione innovativa, «Sir» Robinson (baronetto dal 2003, per i servizi resi all’educazione) è professore emerito all’Università di Warwick, in Gran Bretagna e vive a Los Angeles.
Le sue celebri conferenze TED hanno registrato milioni di visualizzazioni in tutto il mondo. Nel suo libro più famoso «Out of our Minds», che è appena stato tradotto in italiano («Fuori di testa. Perché la scuola uccide la creatività», Erickson) e arriva in questi giorni nelle librerie, si interroga su come la scuola possa cambiare per stimolare la creatività. Ingrediente sempre più essenziale – afferma – sia nel mondo dell’istruzione, sia nel lavoro.

Il suo libro, provocatorio e stimolante, frutto di anni di conferenze e riflessioni, affronta innanzitutto il tema della creatività: perché vada promossa e perché così tante persone ritengano di non essere creative. Che risposte si è dato?
«Tutti nasciamo con talenti naturali, ma pochi di noi li scoprono o sono in grado di svilupparli. Paradossalmente, una delle cause di questo immenso spreco di talenti è proprio il sistema che dovrebbe valorizzarli: la scuola. Gli attuali approcci all’istruzione sono infatti impregnati di convinzioni sull’intelligenza superate e adottano valutazioni standardizzate che soffocano la creatività e appiattiscono le ambizioni».

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo?
«Evidentemente no, se il 44% dei giovani si trova senza lavoro. Spesso mi trovo a dire che se in Italia si fossero seguiti un po’ di più gli insegnamenti di Maria Montessori non si sarebbe a questo punto».

Bisognerebbe riformare i programmi?
«Piuttosto che seguire tutti lo stesso percorso, sarebbe importante che ciascuno potesse studiare in base alle proprie abilità e ai propri interessi. Molte delle cose che si fanno a scuola sono richieste dalla legge o dalla burocrazia: la divisione per età e per classi, per esempio. Ma si può pensare in modo diverso. E costruire una scuola capace di interessare, di formare, di motivare gli studenti. E di restituire senso si all’insegnamento sia all’apprendimento».

Il pensiero creativo piuttosto che l’omologazione delle intelligenze. Da dove partire?
«Dall’eliminare il falso efficientismo. Fa venir meno il desiderio di suscitare passione, curiosità e il desiderio di conoscere. E poi dalla volontà di spingere i ragazzi a scovare la loro vera attitudine».

Minore enfasi sugli apprendimenti, quindi?
«No, non si tratta di questo: la creatività non è l’opposto del raggiungere determinati livelli di conoscenza, ma anzi è parte del processo. Spesso si mettono paletti, ma i Paesi che riescono meglio nei test Pisa sono anche quelli dove viene coltivato l’apprendimento collaborativo, il lavoro di gruppo. E dove gli insegnanti sono considerati e ben retribuiti».

Servirebbero più insegnanti? Una formazione speciale?
«Più insegnanti no. Certo, una formazione adeguata e dirigenti scolastici capaci di innovare».

I bambini più piccoli si sanno entusiasmare, sanno meravigliarsi e sono curiosi di conoscere. Poi tutto cambia. Perché?
«Spesso è proprio la scuola a spegnere questa scintilla e a far perdere ai ragazzi freschezza e spontaneità, spingendoli a preoccuparsi solo di verifiche, voti, e di trovare scappatoie per ottenere risultati con il minimo sforzo e senza molto interesse».