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Messaggero-ALLA SCUOLA NON SI APPLICA IL FAMOSO "COSTO ZERO

ALLA SCUOLA NON SI APPLICA IL FAMOSO "COSTO ZERO" di MARCO ROSSI-DORIA* QUARANT'ANNI fa la nostra Repubblica applicava finalmente il dettato costituzionale e rendeva obbligatoria l'is...

01/02/2003
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Il Messaggero

ALLA SCUOLA NON SI APPLICA IL FAMOSO "COSTO ZERO"
di MARCO ROSSI-DORIA*

QUARANT'ANNI fa la nostra Repubblica applicava finalmente il dettato costituzionale e rendeva obbligatoria l'istruzione fino al quattordicesimo anno di età, unendo, così, i nostri ragazzi, di ogni ceto sociale, in un'unica scuola media, alla fine della quinta elementare. Prima non era così: terminata la quinta, a dieci o undici anni, o si andava alla scuola media propedeutica al liceo o c'era un breve avviamento indirizzato al lavoro o la scuola finiva lì e i ragazzini, per lo più, andavano a lavorare senza alcuna qualifica mentre le ragazzine aiutavano ad allevare i fratellini e le sorelline e a governare la casa.
Come avviene nei sistemi di istruzione di tutto il mondo, il prolungamento dell'obbligo alle medie ebbe un virtuoso effetto di traino sulle elementari, tanto che, nel volgere di tre lustri, fu eliminata la dispersione scolastica infantile e, invece, ebbe un effetto più lento per l'adolescenza.
Più in generale, quella riforma contribuì a fare della scuola pubblica statale il più potente fattore di promozione sociale e dei diritti delle persone nella storia del nostro Paese: le bambine incominciarono a studiare tutte e a rompere il destino segnato dal genere, cadde il tasso di lavoro e sfruttamento minorili, si qualificò enormemente il lavoro soprattutto nelle aree forti d'Italia, i tassi di alfabetizzazione diffusa salirono in percentuali macroscopiche, potenziando la cittadinanza attiva degli italiani.
Ma, come ovunque, la riforma creò anche formidabili resistenze nella parte conservatrice della società e tra i docenti meno propensi a cambiare e che continuarono, a lungo, a escludere, di fatto, i figli di operai, contadini e poveri, come denunciò Don Milani. Oggi continua ancora la lotta al lavoro minorile e la battaglia per conquistare alla scuola quel 7% di adolescenti che non finiscono nemmeno la scuola media e quel 15% che non segue il nuovissimo obbligo a 16 anni, in molte aree metropolitane di forte esclusione sociale del nostro Paese.
Al contempo, il nostro Paese continua a registrare una pervicace difficoltà a promuovere la mobilità sociale verticale - e dunque ad essere una democrazia che consente davvero le possibilità per ciascuno - anche perché stenta a diffondersi e a stabilizzarsi un sistema educativo moderno che, come raccomanda l'Unione Europea fin da prima del rapporto Delors, sia aperto ai cittadini di ogni età e sia disponibile, ovunque, ad accertare le competenze realmente raggiunte da ciascuno e a promuoverne di nuove, un sistema plurale e flessibile, capace di coniugare opportunità formative e di istruzione, sapere e saper fare come, invece, accade nelle altre nazioni sviluppate. Tanto è che, ancor oggi, è ben meno del 10% dei nostri giovani che conclude l'università e il 32,7% dei nostri ventenni - uno su tre! - non termina gli studi superiori e non ha un titolo formativo accreditato e spendibile, mentre la registrazione dei cosiddetti alfabeti funzionali degli italiani mostra che siamo agli ultimi livelli, tra i paesi sviluppati, per le scienze, per la matematica, ma anche per l'uso funzionale della lingua nazionale e per le competenze informatiche indispensabili.
Di fronte a queste sfide gigantesche, che riguardano la competitività dell'Italia nella cruciale battaglia della conoscenza e della qualità diffusa del sapere, che è - secondo tutte le agenzie internazionali, Onu in testa - l'arma migliore contro il diffondersi della povertà, appare, francamente, inadeguata e miope la propensione dell'attuale governo a ridurre i problemi dell'apprendere e della scuola a mera questione di budget da tagliare. E appare, oltre che contrario ai modi attuali del sapere, assai triste l'idea di tornare a una scuola che divida tra chi fa e chi sa. La scuola deve autovalutarsi e essere valutata e deve poter cambiare promuovendo le capacità dei suoi docenti.
Ma ciò non avverrà mai a costo zero. E questo appare tanto più vero quanto è più complicato di un tempo, per i nostri ragazzi/e, l'orientamento in un mondo senza cornici certe e la costruzione di identità in questo mondo, attraverso una progressiva e guidata educazione del sé che la famiglia e le comunità stentano ad assumere e che spesso viene demandata proprio alle scuole.
* Coordinatore pedagogico del Progetto Chance - maestri di strada di Napoli