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Messaggero: Titolo di studio, aumentano i sì all'abolizione del valore legale

Paolo Grimoldi, della Lega, rivendica la «grande vittoria» del suo partito per avere fatto approvare il 9 gennaio l'ordine del giorno «sull'abolizione del valore legale del titolo di studio» in occasione del voto sul decreto Gelmini

13/01/2009
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Il Messaggero

ROMA - Paolo Grimoldi, della Lega, rivendica la «grande vittoria» del suo partito per avere fatto approvare il 9 gennaio l'ordine del giorno «sull'abolizione del valore legale del titolo di studio» in occasione del voto sul decreto Gelmini sull'Università. L’ordine del giorno impegna il governo a discutere del problema. Per Grimoldi «le università hanno bisogno di un vero cambiamento seguendo la linea della meritocrazia, dell'efficienza, della competitività». Per questo «abolire il valore legale del titolo di studio rappresenterebbe il primo passo per premiare gli studenti meritevoli e aiutare le università che fanno realmente formazione». Intanto, sale il numero dei sostenitori dell’abolizione. Aveva iniziato il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, annunciando che per «arginare il proliferare delle cattedre e ottimizzare la gestione delle risorse» avrebbe presentato una proposta di legge per l’abrogazione del valore legale del titolo di studio. A sorpresa ha risposto il ministro ombra del Pd Linda Lanzillotta che ha detto di essere d’accordo. Così Brunetta non si è fatto sfuggire l’occasione e ha invitato la “collega” a firmare la proposta di legge assieme. L’azzeramento del titolo di studio secondo Brunetta farebbe scattare una virtuosa concorrenza tra atenei. «Necessaria perché - sostiene la Lega - ci sono università che si sono trasformate in laureifici e questo non è accettabile».
Sempre i sostenitori dell’abolizione dicono inoltre che la mancanza della necessità del ”pezzo di carta” spingerebbe a frequentare le scuole e le università solo i giovani realmente motivati, con un miglioramento dell’intero sistema formativo. Il dibattito sull’attestazione di idoneità è vecchio di anni. Stavolta, però, il governo sembra intenzionato a farne un cavallo di battaglia per la seconda parte della riforma Gelmini.