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Messaggero: «Università e ricerca saranno settori trainanti per lo sviluppo»,

lo promette il Governo

11/12/2006
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE
ROMA - «Università e ricerca saranno settori trainanti per lo sviluppo», lo promette il Governo dopo i tagli del 20% dei fondi (200 milioni di euro in termini assoluti), il recupero dovrebbe arrivare con la prossima Finanziaria. Intanto, selezione, verifica e meritocrazia sono le parole d’ordine che ispirano le nuove strategie, di cui ha parlato Fabio Mussi annunciando la nascita dell’Agenzia nazionale della valutazione. «Una quota crescente di fondi sarà distribuita in rapporto alla qualità e ai risultati ottenuti», ha detto il ministro. Per la ricerca c’è «un impegno a raddoppiare, poi a triplicare quel misero 1% del Pil». «Non si può continuare a spendere poco e male», è il grido di dolore degli scienziati e dei rettori delle università. Tuttavia, nonostante la ricerca sia sottofinanziata, per numero di pubblicazioni e citazioni i nostri ricercatori si collocano in posizioni di tutto rispetto, come dimostra il grafico in pagina. Questo non sminuisce i problemi, e non allontana il rischio di declino. L’ultimo academic ranking of world universities redatto dallo Shanghai Jiao Tong, del Giappone, che stila classifiche internazionali, ha messo in evidenza la nostra inadeguatezza. Non siamo in grado di competere con i “grandi”. Delle nostre università solo la Sapienza si colloca tra le prime cento, ma compare in fondo, al 97mo posto.
Così perdiamo i talenti migliori, senza riuscire a rimpiazzarli con quelli provenienti da altri Paesi. «La fuga dei cervelli - avvertono i ricercatori - è in aumento». Ma è anche l’assenza di stranieri nelle nostre università sta a indicare che qualche cosa non funziona. L’incapacità di attrarre studiosi dall’estero è forse il fatto più grave. Il Belpaese ha perso competitività. I giovani promettenti preferiscono Boston, Cambridge e Londra. C’è anche chi si sta spostando nei laboratori di Madrid e Barcellona per fare ricerca. Nelle nostre aule, invece, la presenza dei dottorandi stranieri è molto esigua: uno sparuto 2%, che fa impallidire confrontato con il 35% del Regno Unito e con il 26% degli Usa. Anche Spagna e Portogallo hanno più appeal di noi, con l’11 e il 6% di stranieri rispettivamente.
«I ricercatori migliori vanno - dicono i rettori - dove trovano interlocutori autorevoli, dove i fondi per la ricerca sono adeguati e le remunerazioni più alte». Da noi un giovane ricercatore riceve non più di 1.200 euro al mese. «Meno del portaborse di un politico», ha recentemente detto il ministro Mussi.
Il sistema, dunque, è debole. Ma nel Paese ci sono realtà di eccellenza, nicchie dove si fa ricerca di alto livello. Pesano i ritardi e il fatto il sistema è vittima del nepotismo, che qualcuno ha sostituito con il termine di “tribù accademiche”. Le carte dei concorsi non rivelano le forzature, ma negli atenei e negli enti ci sono figli, mogli, fratelli e parenti vari, che si spartiscono cattedre, posti, creando delle vere e proprie lobby disciplinari. Conclusione: non abbiamo procedure capaci di garantire merito e trasparenza