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Nuova Sardegna-Mettiamo Bongiorno al posto di Dulbecco

Mettiamo Bongiorno al posto di Dulbecco Guido Melis Sessantadue rettori che si dimettono per protestare contro il Governo sono più di un campanello d'allarme. Anche perché nel gruppo non pre...

13/12/2002
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Nuova Sardegna

Mettiamo Bongiorno al posto di Dulbecco

Guido Melis

Sessantadue rettori che si dimettono per protestare contro il Governo sono più di un campanello d'allarme. Anche perché nel gruppo non prevalgono affatto i simpatizzanti per l'opposizione.

Anzi: lo stesso Piero Tosi, il rettore di Siena attualmente alla guida della conferenza dei rettori, è notoriamente un moderato, simpatizzante per la Casa delle Libertà. Non si era mai visto, a memoria d'uomo, un dissenso così radicale, è all'ultima spiaggia. Chiede una somma in Finanziaria che equivale, ci ha spiegato Tosi in televisione, alla spesa per 30 chilometri di autostrada asfaltata, in pianura. Ma la scure di Tremonti ha tagliato anche quei soldi. Ora il superministro del buco assicura offeso che provvederà. Staremo a vedere. Intanto per convincerlo ci sono volute le dimissioni in massa dei rettori.
Non è un caso se l'università va a fondo. In un Paese che sta perdendo la maggiore e la più significativa delle sue industrie (quella automobilistica), che si prepara a fare dopo oltre un secolo della Fiat uno spezzatino da rivendere al ribasso sul mercato internazionale, la ricerca scientifica è da decenni tenuta a livelli di sopravvivenza, al punto che l'Italia detiene in materia gli ultimi posti della classifica europea. Qualche timido accenno a invertire la tendenza si era avuto durante il governo di Centrosinistra, per merito soprattutto del ministro Berlinguer (si era invertito, allora, il segno "meno" al capitolo ricerca, si era iniziata una sia pur lenta rimonta).
Ora la Moratti affossa definitivamente la ricerca di base. Non si vedranno subito gli effetti, ma sapete cosa comporta risparmiare sulla ricerca? Comporta che tra 10-15 anni non avremo ricercatori (i pochi se ne saranno fuggiti all'estero), avremo laboratori obsoleti, non avremo biblioteche, la sperimentazione sarà ferma e in generale tutto il settore entrerà in stato di collasso. Ovunque la ricerca è un fiore all'occhiello dei governi, perché serve all'industria, produce innovazione, consente di tenere il passo della concorrenza internazionale. In Paesi come il nostro, che da industriale si avvia ormai a diventare postindustriale, fare ricerca è essenziale, perché significa produrre tecnologia. Ma in Italia no. Noi affossiamo la spesa per la ricerca come fosse un lusso inutile.
L'università italiana attraversa un momento delicatissimo. Sta sperimentando la riforma del cosiddetto tre più due (cioè la laurea di base), sta cercando di limitare la mortalità dei suoi studenti (ne perdeva per strada quasi i due terzi di quelli che entravano), sta rinnovando programmi e modi di insegnamento. Può farlo se non c'è alle spalle una solida ricerca? Evidentemente no. Senza la ricerca, si romperà il binomio che ha sinora consentito al sistema di funzionare e resterà solo la didattica, ma una didattica priva di contenuti nuovi, ripetitiva, conservatrice.
A chi serve tutto questo? Serve a chi punta sulla scuola privata (premiata infatti nella stessa finanziaria contestata dai rettori con i bonus), a chi punta su una piccola industria subalterna e non crede nella grande industria competitiva, a chi immagina l'Italia come un immenso mercato per merci prodotte altrove. Il presidente imprenditore è al governo da due anni, ed ecco i risultati: la maggiore impresa del Paese va in pezzi e lui propone di cambiarne il marchio in quello della Ferrari e di assumere gli operai come infermieri; la ricerca scientifica scompare, e lui propone non so che cosa: forse di sostituire Rita Levi Montalcini e Dulbecco con Mike Bongiorno.